domenica 10 maggio 2020

Il futuro è il gas illuminante


L’austera città di Torino come veniva illuminata agli inizi del 1800? A disposizione della municipalità erano installate 481 lanterne ad olio che ardevano tutta la notte per garantire alle zone centrali della città, indipendentemente dal fatto che fosse illuminata o meno dalla luna, una luce artificiale adatta. Per fornire tale illuminazione la città spendeva la ragguardevole cifra, per il tempo, di 70.000 lire annue che venivano in parte recuperate con una tassa legata al consumo su paglia e fieno, ma si trattava comunque di un esborso quanto mai particolare che spingeva per trovare soluzioni alternative. Il progresso avanzava e proprio negli anni trenta e più precisamente nel 1832 venne provato il primo sistema di illuminazione a gas per merito dell’ingegnere francese Gautier al Caffè Biffi in Piazza Vittorio ma l’operazione ebbe un esito alquanto incerto. Il gas illuminante veniva prodotto a partire dal 1838 in uno stabilimento a cui venne concesso il brevetto niente di meno che dal Re Carlo Alberto in persona, da sempre interessato allo sviluppo di nuove tecnologie. Lo spettacolo che si poteva vedere alle pendici di questi punti luce con il gas era al tempo stesso inquietante e intrigante, tant’è vero che la stessa popolazione si divise in due correnti: coloro che ne erano a favore perchè con questo sistema si ravvivava il paesaggio e quelli che invece temevano per la salute per quel fumo nero che sgorgava da questi impianti. Curiosamente Silvio Pellico in una sua nota personale divise i torinesi in gasisti e antigasisti. La discussione andò avanti parecchio e i detrattori di tale novità lamentavano sia i costi, alti di manutenzione, che gli stessi approvvigionamenti, al contrario i favorevoli ne mettevano in risalto la qualità della luce e il chiarore che rendeva la città, soprattutto all’imbrunire di un fascino assolutamente imperdibile. Come sempre il sistema imprenditoriale apprezzò la novità e anzi la sfrutto proprio per aumentare le produzioni il primo esempio è quello della stamperia Favale che ottiene il permesso di utilizzo fin dal 1839 dall’ufficio del Vicariato

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