venerdì 28 aprile 2017

Biella: provare per credere


Gent.mo Imarisio,

Ho letto la sua inchiesta di mercoledì in cui ha riportato in auge un icona che noi biellesi conosciamo benissimo:  Aiazzone. Noi autoctoni siamo cresciuti con due miti che abbiamo sommessamente creato quella della televisione, attraverso il maestro Peppo Sacchi, e l’advertising selvaggio prima maniera che imperversò sulle televisioni locali negli anni ottanta, decisamente una grave colpa. Non le nascondo che studiando a Milano, negli anni ottanta, dire che venivi da Biella era un po’ come randellarsi. E mi ricordo persino di enormi cartelloni pubblicitari di una nota marca di televisori che invitavano i clienti non proprio intelligenti (all’epoca si chiamavano GINI) a recarsi a Biella, quando si dice la pubblicità selvaggia autolesionista. E fin troppo ovvio che Aiazzone abbia rappresentato una persona e un imprenditore fuori dagli schemi, persino ieratico, ma la Biella che viene dipinta dall’articolo racconta di un territorio completamente abbandonato su se stesso. La realtà non è propriamente così, abbiamo vissuto e stiamo vivendo un momento di crisi, il tessile non è più trascinante come un tempo, ma i marchi di grande valore che abbiamo qui, nella nostra provincia, tuttora persistono, da Zegna a Cerruti per finire a Piacenza. Certo ci sono capannoni vuoti, come in tutte le province del nord. E un Italia che sta cambiando, che sta modificando la propria pelle. Molte sono state le occasioni perse, ma Amazon non è una di queste (anche perché Lei mi insegna che una azienda che fa delle consegne il proprio core business, per funzionare al meglio, deve essere baricentrica e, sicuramente, il collegamento A26 e Vercelli avevano caratteristiche migliori da questo punto di vista). E allora venga, la invito a conoscere meglio la nostra città e la nostra provincia, sono certo che ci sono altre e tante belle storie utili, positive che possono essere raccontate: dalla formazione alle industrie, dall’enogastronomia allo sport. L’occasione è presto dietro l’angolo, il venti maggio ospitiamo la tappa del giro d’Italia del Centenario con arrivo a Oropa, che ancora a tanti anni di distanza celebra l’impresa di Pantani, forza e testardaggine tipiche anche del profilo genetico della nostra zona, ne tenga conto.


Beppe Rasolo, consigliere comunale di Biella 

giovedì 27 aprile 2017

Un poster in camera per sopravvivere

Mai avrei pensato che il futuro politico potesse essere deciso da quello che uno attaccava con lo scotch sull’armadio della propria cameretta in tenera età. Eppure uno dei temi che hanno appassionato (anche se appassionare mi sembra un termine abbastanza elitario) il dibattito sulle primarie è proprio stato quello dell’esposizione di un’icona come nume protettivo del focolare domestico. Ovviamente si sono buttati a pesce tutti gli esegeti dell’advertising e in questo caso le risposte non sono mai spontanee. Bisogna accontentare l’elettorato, meglio se di sinistra. Ecco quindi il povero Orlando esprimersi per una foto- poster (non me le ricordo però) di Berlinguer giusto per accattivare gli uomini di sinistra che rimasti senza Speranza (con la esse maiuscola) cercano di riunire le truppe per un assalto finale al trono di sfidante Pd. Decisamente rattristante pensare al povero Orlando che in camera aveva il poster di Enrico Berlinguer, non perché non creda il buon Ministro all’icona dell’alfiere della sinistra, ma perché negli anni ottanta, quelli della Milano da bere, forse erano altri i modelli che i ragazzi potevano seguire e ne siamo certi. Non mi ricordo di aver mai attaccato qualcosa in camera, pena l’arrivo di una pantofola modello Cruise di mia madre, ma se lo avessi fatto, probabilmente, avrei messo quello di René Simonsen, o del Milan di Raymond Colin Wilkins o dell’abatino Gianni Rivera – un po’ come Diego Abatantuono. Se avessi affisso il poster di Ugo La Malfa o di qualche altro Repubblicano (all’epoca seguivo quel movimento) i miei mi avrebbero, con ogni probabilità, ricoverato. La spensieratezza della gioventù è anche un bene da coltivare e allora non andiamo alla ricerca di modelli antichi, ma viviamo il presente.

giovedì 20 aprile 2017

Dal Che a Emiliano Zapata una revolucion


Zapata era un rivoluzionario messicano che portò allegria e coraggio a un popolo che credeva nella rivoluzione, una sorta di affrancatura, sembra, a voler vedere a un periodo buio in cui era sprofondato il Messico. Il popolo, era un uomo di popolo, amatissimo.  Lo ammetto, ho un difetto, mi piace la storia e mi piace vedere un certo parallelismo con eventi e personaggi passati. E da estimatore di tutte le cose calcistiche del Milan, non posso pensare che in una squadra operaia che sta cercando di rivoluzionare il proprio modo di essere, Zapata non possa che essere accostato a Emiliano il rivoluzionario messicano, proprio per la sua rete realizzata nel derby. Pur tra alti e bassi è stata una stagione che può segnare il ritorno, se non nell’élite del calcio che conta, sicuramente nei piani alti. Montella ha dato un gioco e una filosofia, mai mollare. Piace constatare che nell’era di una Juve tutta Allegra, pronta dominare il Vecchio continente, l’unica squadra che l’ha messa in difficoltà sia stata la nostra. Quattro incroci tutti finiti all’ultimo. Nell’era di Via Paolo Sarpi un buon motivo per sorridere e pazienza se la rete arriva all’ultimo assalto, con grinta e cattiveria, quella mancata al Camp Nou a Messi e compagni. Questa squadra può essere competitiva bastano due acquisti: una punta centrale di razza e un centrocampista di qualità (Fabregas/Belotti o Diego Costa o Ibra solo per fare alcuni esempi, ma senza certezze sui ruoli) potrebbero dare quel tocco in più in grado di riportare la prima squadra di Milano, pardon Pechino, laddove le compete. Io ci credo  

Briganti la serie Netflix che si ispira alla storia del Brigantaggio meridionale

Pietro Fumel  Le fiction storiche da sempre mi attirano e su Netflix mi sono lasciato trascinare a guardare quella dedicata al brigantaggio ...