venerdì 27 agosto 2021

Sic transit gloria mundi

Come i vecchi gladiatori, i giocatori massima espressione del tifo panem et circensem, passano rigorosamente dall’altare alla polvere in men che si dica. E così dopo tre anni passati a incensare l’extraterrestre quale sommo e divino vate calcistico, oggi lo stesso fugge a gambe levate, pardon con Renegade oscurato e a dire le peggio cose. Che sia un campione nessuno lo mette in dubbio, ha numeri di alta scuola ed è in grado da solo di cambiare il destino di una partita; ma il calcio è gioco collettivo. Faccio il paragone con un altro extraterrestre come Dinho arrivato al Milan nel 2008, una gioia vederlo giocare, ma di titoli nemmeno l’ombra, perché questi giocatori sono un lusso in una squadra di campioni, figuriamoci in una di comprimari. Alla fine un Milan meno pompato di quello del 2005 (kakà, Crespo, Stam, Sheva) portò a casa il trofeo definito  porta-ombrelli due anni dopo con una squadra più coesa. Il tifoso deve essere paziente e guardare sempre in modo acritico la sua creatura fidandosi del lavoro della sua Dirigenza. Chi è rossonero è stato travolto nell’estate delle cose formali della banda cinese, ma poi se abbiamo voluto tornare nell’empireo del football abbiamo avuto bisogno dell’esperienza e della qualità di un capitano che lo era in campo e lo è diventato anche dietro la scrivania: Paolo Maldini. Insomma non facciamoci travolgere dal momento ma guardiamo alla squadra nella sua interezza; poi per carità i campioni vanno e vengono i colori restano

venerdì 20 agosto 2021

Si ho giocato nel Milan ma giuro non volevo


Più falso del calciomercato con improbabili accordi e intrecci a volte ci sono le conferenze stampa di benvenuto dei nuovi giocatori che in modo ruffiano devono prendere gli applausi della nuova curva e allora sotto con sfottò agli avversari e a rinnegare qualunque cosa successa nel passato. Il primo era stato Mourinho e il suo Non sono un pirla, ma a lui questo poteva venire concesso in qualità di trainer. Poi i giocatori che alla vigilia della nuova stagione devono fare professione di appartenenza. Lontani i tempi di Roberto Baggio che ha girovagato tantissime squadre ma ha sempre esultato ed è stato un professionista eccellente, oppure di Aldo Serena (che ha vestito le maglie di Milan, Inter, Juve e Toro). Francamente queste prove di appartenenza hanno un po’ stufato e mi aspetto che i giocatori diano il massimo per il club in cui militano senza secondi fini e senza tirare in ballo nonne e cugini fino al quinto grado e questo vale per tutti. Da Giroud che in conferenza ha preso per i fondelli l’Inter, ma il sottoscritto si aspetta solo che segni nel derby, oppure Bonucci che nel suo girovagare ha fatto professione di amore a targhe alterne tra Torino e Milano, per finire a Locatelli che oggi ha tirato in ballo l’avita nonna, manco fosse la moglie di Carlo Sassi, aveva già analizzato una partita alla moviola. Smettiamola di parlare di sogni, di passato e di appartenenze e guardiamo il calcio giocato, di solito è più bello senza retorica.

giovedì 19 agosto 2021

1842 La lunga marcia da Kabul a Jalalabad ne resterà solo uno


Oggi tutti esperti di geopolitica orientale e la situazione esplosiva dell’Afghanistan mette tutti in guardia sulle future implicazioni di natura politica economica di un mondo che è una perenne polveriera, minata da temi religiosi, ma in realtà dominata dallo sterco del demonio, quel vile denaro, che è il volano di tutti i movimenti a cui assistiamo. Che l’Afghanistan sia la tomba di tutti gli Imperi è già stato abbondantemente detto, che l’Afghano si affitti al miglior offerente anche, che si voglia imporre uno stile di vita diventa per le meno stucchevole dal momento che è dominato da tribù che vantano tradizioni millenarie. Da sempre terreno di competizione tra le varie potenze diventa centrale nella lotta per la supremazia continentale, quella che viene chiamata il Grande gioco alla metà del 1800, come terreno di lotta tra Russia e Inghilterra. Lord Auckland governatore generale dell’India interviene nella lotta alla successione al trono afghano cercando di reintegrare Shujah Barakzai a discapito di Dost Mohammed. La deflagrazione del conflitto diventa ufficiale nel 1838 quando Mohammed si proclama emiro (che significa combattente della fede – guarda le analogie) dell’Afghanistan gli inglesi intervengono e in una facile campagna conquistano la capitale (corsi e ricorsi storici), l’emiro viene catturato e mandato in esilio in India, ma il figlio dello stesso Mohammed Akbar Khan dà del filo da torcere alle truppe inglesi. L’occupazione britannica si protrae e questo scontenta la popolazione locale, la rivolta scoppia il 2 novembre 1841 con l’assalto alla casa di un agente britannico, tale Alexsander Burnes accusato di relazioni promiscue con donne afghane. L’agente viene ucciso e fatto a pezzi e in città compare Mohammed Akbar Khan che diventa capo dell’insurrezione e costringe gli inglesi a fuggire da Kabul. Così il primo gennaio 1842 una lunga colonna tra militare e civili, in totale saranno circa 18.000 persone, esce dalla città. Mohammed si distingue per la propria doppiezza da un lato tratta con gli inglesi promettendo salvacondotti dall’altro in pasthun, la lingua ufficiale, aizza gli afghani contro gli inglesi. Quella che doveva essere una marcia sicura diventa un calvario incredibile, tra gli stenti, il freddo, gli agguati di alcune tribù che usavano i temibili jezail (fucili a canna lunga in grado di colpire bersagli a lunga distanza) a poco a poco vengono tutti uccisi. A Jalalabad arriva solo un medico a cavallo, William Brydon, è stata una carneficina migliaia di morti. Gli inglesi si riorganizzano e nell’autunno dello stesso anno riconquistano Kabul sotto il comando di George Pollock, ma per evitare i problemi dell’anno precedente Dost Mohammed viene liberato e insieme al figlio Mohammed riappare trionfalmente nella capitale afghana qualche mese più tardi quando gli inglesi abbandonano il terreno (costa troppo ed è poco sicuro) e così viene ristabilita l’antica dominazione. A distanza di quasi due secoli il problema è sempre lo stesso, se non comprendi il terreno dello scontro sei destinato a soccombere.

venerdì 13 agosto 2021

Una fine necessaria ?


 

“Hiroshima fu la sigla di inizio del nuovo mondo, mentre scorrevano i titoli del drammatico film precedente. Fu sganciata a guerra finita, praticamente, quando il Terzo Reich era già crollato, i dittatori erano morti, l’Asse si era spezzato, il Giappone stesso era in ginocchio e andava verso una onorevole resa (cit.)

Questo scrive il buon Veneziani in un fondo dedicato alla fine della seconda guerra mondiale e seppur in passato ho condiviso alcuni suoi scritti, su questo mi permetto di dissentire, perché forse in maniera semplicistica chiude il capitolo Giappone seconda guerra mondiale come una guerra ormai finita e fa un errore. La bomba atomica, nella sua accezione, è il fiore all’occhiello di una generazione che sperimenta. In realtà non fu così, perché prima di tutto, come avevano dimostrato le battaglie di Iwo Jima e Okinawa, per i giapponesi non esisteva l’onorevole resa ma solo una morte onorevole. Poche decine di soldati giapponesi furono catturati vivi a Jwo Jima e anche a Okinawa non andò meglio. Fece più morti di Hiroshima il bombardamento di Tokyo del marzo 1945 con bombe incendiarie volute da Bomber Harris e per finire la seconda guerra mondiale, una stima e calcolo delle perdite americane, dopo Okinawa, gli americani prospettavano di sacrificare mezzo milione di soldati per invadere il Giappone. L’estrema ratio su la bomba H per piegare la resistenza dell’imperatore e della casta dei generali nipponici. Tutto li. La guerra il Giappone l’aveva persa a Midway il 4/6 giugno 1942 quando la sua flotta fu sconfitta, gli scontri successivi con le risorse ridotte al minimo per gli uomini del Sol Levante erano di fatto una lunga agonia. Proprio nell’ottica di evitare più scontri e sacrificare vite gli americani attuarono la tattica del cavallo a scacchi investendo un isola su tre e tagliando i rifornimenti alle altre. Hiroshima certamente ha aperto un nuovo mondo di paure e di tensioni, ma fu quasi un atto dovuto per mettere fine a una follia che aveva generato 65 milioni di morti. Una sorta di epitaffio sulle guerre future e che invece creò solo tensione.

giovedì 12 agosto 2021

Afghanistan: Mission impossible


 FOTO TEMPI

E’ la notizia del momento, a vent’anni dall’intervento degli Stati Uniti e degli alleati nell’Afghanistan, la forza internazionale abbandona il paese e di fatto la riconsegna al dominio dei talebani. L’eco dell’11 settembre e la connessione tra Bin Laden e il regime islamico di fatto provocarono la sollevazione popolare che portò all’intervento e alla lotta senza quartiere contro il nemico degli occidentali. Ma quello che tutti hanno sempre sottovalutato sia quando si parla di Afghanistan e di Libia e che in quei paesi, non vi è mai stata un’identità politica definita ma una conglomerazione di tribù, e queste, a seconda delle convenienze e del momento scelgono una fazione piuttosto che l’altra. Lo dice la storia, lo recita il passato, e lo testimonia il presente. Quello stato è il crocevia o meglio la porta tra il Medio Oriente e quindi anche l’Europa e l’Asia centrale. Luogo deputato a risorse incredibili e inestimabili per il futuro e il progresso tecnologico da sempre crocevia del destino di eserciti occidentali, dove non conta la battaglia del momento ma il percorso della guerra. Inglesi, sovietici e ora americani sono passati in questi territori spesso vincendo una moltitudine di scontri ma poi di fatto perdendo il conflitto, dal 1919 con la fine della terza guerra anglo indiana, per arrivare agli anni ottanta e al pantano in cui crollò il mito dell’esercito sovietico, per finire ora con l’abbandono degli americani che lasciano migliaia di soldati morti in quel territorio e anche la loro fama di tutori dell’ordine mondiale. Per assurdo la tecnologia non solo non ha aiutato ma anzi è stata battuta dalle vecchie tattiche di guerriglia. Se dai quei luoghi persino un condottiero illuminato come Alessandro il Macedone preferì ritirarsi c’è da credere che siano territori e popolazioni difficili da gestire. E allora bisogna cambiare tattica e anche strategia ma ricordandosi sempre la massima di Sun Tzu: il generale vittorioso prepara il terreno dello scontro vittorioso      


mercoledì 11 agosto 2021

S.P.S.G Sono Pazzi Sti Girondini


 foto Calciomercato.com

Uso un classico delle vignette di Goscinny e Uderzo per rappresentare quello che pensano tutti i calciofili europei, una squadra quella francese che ha fatto del far play finanziario una bandiera ma al contrario e che nel corso di questa estate pazza post covid ha introitato prima il Giuda rossonero e il suo amico pizzaiolo, poi il truce difensore Sergio Ramos, ha aggiunto il talentuoso olandese Wijnaldum che dopo due partite epiche all’europeo è scomparso dai radar e adesso la puce (pulce in francese) il pluridecorato e funambolico argentino. Che si vanno ad aggiungere a gente del calibro di Neymar e Mbappe. Insomma predestinati a una serie di vittorie senza senso. Ma il pallone è rotondo, e spesso, una collezione di figurine non fa una coppa. La dimostrazione l’hai con Manchester City e proprio il Psg che hanno immesso nel mercato fondi immensi, ma che, di fatto, non hanno mai inciso, non basta comprare il campione o i campioni e pensare che i successi arrivino da soli. A volte, anzi sempre, è la capacità di mettere insieme le qualità migliori di un gruppo ad avere il sopravvento, fu cosi per Guardiola (Xavi e Iniesta), ed è stato così per Tuchel, ultimo vincitore (Kantè, Thiago Silva, Rudiger). Facendo un paragone con le italiche squadre il Milan perse la finale di Champions del 1993 e 1995 contro squadre non irresistibili e vinse proprio nel 1994 contro la boria di Cruyff imbottito di campioni. Una Juve superiore per campioni a Borussia Dortmund e Real perse le finali del 1997 e 1998. Insomma un percorso pericoloso per Pochettino e siamo pur certi che lo aspetteranno al varco milioni di tifosi delle squadre avversarie, pronti a prenderlo per i fondelli alla prima occasione; anzi alla seconda, la supercoppa francese è già andata al Lille

domenica 1 agosto 2021

Citius, altius, fortius


 Olimpiadi Tokio foto getty images

Com’è vacuo il tifo di tantissime persone, guardi le Olimpiadi che dovrebbero essere l’esempio classico di partecipazione per gareggiare e non spinti dalla brama di vincere e poi dopo una prima settimana di gara in cui tutto sommato in diverse discipline i compatrioti hanno mietuto una messe di medaglie cominciano i processi: spedizione in disarmo, poche vittorie, si mettono sotto processo i capi delegazioni delle varie discipline. La scherma poteva dare di più, non siamo più i cecchini di una volta. Insomma un florilegio di elucubrazioni manco avessimo perso una guerra. E così in rete scoppiano i processi, i giornalisti pronti a decretare gli insuccessi anche di quelli che arrivano terzi o quel che peggio secondi o con la medaglia di legno. D’accordo la vittoria piace ma siamo alle solite non esiste la cultura della sconfitta, quella che ti prepara alla vittoria. E così dopo aver criticato gli inglesi perché si sfilavano la medaglia d’argento all’europeo di calcio facciamo anche peggio. Poi succede che in dieci minuti porti a casa due medaglie d’oro forse inaspettate (cento metri e salto in alto) e scoppia il casino, in senso buono. L’atletica diventa la regina degli sport e non c’è posto per altro se non il racconto della vittoria. Eppure questi atleti c’erano prima e ci saranno anche dopo e non saranno sempre sorrisi ma come il percorso della vita con alti e bassi. Per cui godiamo di questi momenti di felicità e viviamo questi eventi con il vero spirito con cui erano stati creati: contaminazione, confronto, gara e partecipazione.


Briganti la serie Netflix che si ispira alla storia del Brigantaggio meridionale

Pietro Fumel  Le fiction storiche da sempre mi attirano e su Netflix mi sono lasciato trascinare a guardare quella dedicata al brigantaggio ...