sabato 30 maggio 2020

Warum amico olandese …. Lettera aperta


Caro Jeroen, uso il nome più diffuso in Olanda, per identificarti in senso lato dopo aver visto come la stampa olandese sbeffeggia gli italiani dipinti come consumatori seriali di caffè e pizza e dediti solo al fancazzismo più sfrenato, senza lavorare e pronti solo a prendere il sole godendo della vita. Caro Jeroen si sono un consumatore seriale di caffè, l’espresso è un ottimo corroborante per affrontare la vita e il lavoro, la pizza rigorosamente Apicella per me, è un elemento irrinunciabile. Ti stupirò invece sotto l’aspetto lavorativo, sono partita iva da 25 anni, rischio di mio in quello che faccio e credo di poter affermare che poche volte ho mancato di lavorare come gran parte dei miei connazionali, certo i fancazzisti non mancano sia in Italia che nella fulgida batavia, credo sia un retaggio comune. Vivo in una nazione carica di cultura e di bellezza e francamente anche migliore della tua ma non credo di averla mai fatta pesare questa differenza. Se poi guardiamo la storia mentre i Romani dominavano il mondo le tribù, perché tali erano, che risiedevano tra Rotterdam e Amsterdam vendevano i propri servigi ai migliori offerenti, mentre dall’italico suolo vi portavano un po’ di civiltà. Avete poi cercato con le città anseatiche di dominare il continente, puntando sul commercio e sui dazi ma l’inventiva latina, anche sul fronte commerciale, aprendo nuove rotte vi ha messo in disparte. Sono stato ad Arheim e mi ricordo di aver sorseggiato un thè nella casetta dove i colonnelli britannici, fecero altrettanto e hanno poi trattato la resa ai nazisti durante l’operazione Market Garden e pensavo che proprio da li nasceva quell’idea di Europa unita, tra popoli differenti potesse diventare realtà e dove ognuno dei popoli che ne fanno parte portasse una propria caratteristica a favore di un’integrazione continentale. Evidentemente mi sbagliavo ma sono pronto a offrirti un buon espresso e a spiegarti che Noi siamo diversi e migliori di come la tua stampa ci dipinge, abbiamo cultura, inventiva, storia, gastronomia, qualità e la vogliamo condividere ma vorremmo rispetto non chiediamo molto    

mercoledì 27 maggio 2020

Mefistofele - molto piu di una macchina


TORINO E IL Piemonte da sempre sono la patria dell’automobile ma anche delle notizie curiose e in grado di emozionare, nel 1908 e la Mefistofele di Sir Eldridge è una vettura italiana iscritta nella tabella dei record mondiali assoluti di velocità su terra, la prima apparizione in veste originale avviene appunto nel 1908 sulla pista inglese di Broooklands nella gara contro la vettura inglese Napier di Selwin Edge. Quella che si attuò fu una vera e propria sfida lanciata dall’inglese a Felice Nazzaro, capo equipe della squadra Fiat riconosciuto come campione internazionale, la macchina messa a disposizione poteva contare su una potenza di 175 cavalli che giù in prova aveva sviluppato una potenza di 190 kmh, una follia per quei tempi. La prova consisteva in dieci giri di quel circuito della lunghezza di quasi 4 chilometri e mezzo. Nazzaro si superò e condusse a termine quella prova facendo registrare la velocità di 193 kmh, eravamo all’otto di giugno del 1908 e il pubblico ribattezzò il mezzo Mefistofele, chiamandolo a gran voce. Il pilota fece presto ritorno a Torino, ma la macchina cambiò diversi proprietari da George Abercromby a Noel Macklin per arrivare a dopo la prima guerra mondiale a John Duff che la comprò per sole 100 sterline, cambiarono alcuni pe<zi e la macchina venne poi rimontata dal pilota Eldridge che aggiunse un motore d’aereo il Fiat A12 bis e sul cofano fece scrivere a lettere cubitali FIAT, il 6 luglio 1924 venne tentato un nuovo record e questa volta il mezzo arrivò alla velocità di 236,340 kmh orari, ma il record non venne omologato perché l’automobile mancava della retromarcia. Risistemata con la marcia mancante il 12 luglio tornò in pista e si aggiudicò tre record del mondo sul chilometro lanciato a 234,980 kmh, sul miglio lanciato, poco sotto e sul chilometro da fermo a 137 kmh insomma un portento, la macchina poi dopo il secondo dopoguerra torno di proprietà della casa automobilistica piemontese, un modo per suggellare i record ottenuti ma anche per consacrarne la storia     

domenica 24 maggio 2020

Indicium per tutti


La delazione (indicium) fu un mezzo ampiamente utilizzato perché consentiva, a basso costo e in tempi rapidi, di conoscere dinamiche riguardanti un singolo soggetto, un nucleo di persone, un possibile movimento eversivo, una corrente politica avversa. La pratica era molto utilizzata soprattutto nell’antica Roma e nei periodi più burrascosi ed era anche un modo per molte persone per sopravvivere, garantirsi risorse, e vivere della carità dello Stato. Ne fece un gran uso Nerone durante il suo Regno ma era una pratica che si sviluppo soprattutto durante il tardo impero. Ebbene oggi dopo aver letto della notizia degli assistenti civici, in teoria per vigilare in pratica forse anche per altro mi chiedo se siamo in uno stato di diritto, oppure se si torna indietro nei tempi, se non a quelli romani ai fascicoli di informazione dell’intelligence dei Savoia o peggio del ventennio  

1939 - Mirafiori



Mentre in Europa soffiavano i venti di una guerra che avrebbe sconvolto il mondo a Torino veniva inaugurata la Nuova Fiat Mirafiori era il 15 maggio del 1939. I numeri e la costruzione sono imponenti così come li racconta il foglio dell’epoca. Uno stabilimento costato due anni di lavoro e un costo di 180 milioni di lire dell’epoca. 300.000 i metri quadrati disponibili per una forza lavoro prevista di 22.000 unità. Quale segnale premonitore dell’immane tragedia che si sarebbe verificata negli anni a venire 1700 metri quadrati di rifugi sotterranei. Nell’anno che precede l’entrata in guerra di Mussolini la Fiat produce 53.000 autovetture e un fatturato ragguardevole di 2,39 miliardi di lire. Il capitale sociale che è stato portato ai 400 milioni di lire rimarrà invariato fino al 1947. Nel frattempo viene mandata in produzione un auto che farà epoca come la 1100 proprio nel luglio 1939 e che sarà prodotta in oltre due milioni di esemplari. All’inaugurazione della fabbrica in quel giorno presenti il Senatore Agnelli e tutte le maestranze farà presenza lo stesso Duce che però arriva a bordo (atto voluto oppure no?) di un Alfa Romeo, ma non è l’unico passaggio negativo per Benito Mussolini, si accalora per un discorso pronunciato davanti alle maestranze ma le sue pause che presumono una certa accondiscendenza e sulla quale il Duce attende l’ovazione del popolo trovano un certa freddezza dei lavoratori. Fatto che fa infuriare il Cavaliere che sperava in ben altra attenzione e che lo porta ad abbandonare il Palco, salvo poi tornare poco dopo a salutare romanamente la folla dei lavoratori. Non un grande esordio per il Duce quindi che era tornato proprio alla Fiat dopo ben sette anni dalla sua ultima apparizione nel 1932. E il nome invece come era stato scelto? Si trattava di un omaggio alla sua sposa effettuato dal Duca Carlo Emanuele I alla fine del Cinquecento che fece costruire la villa di Miraflores tra il Po e il Sangone, una località amena di pace, una sorta di buen retiro, dove si trovavano i poeti e i letterati del tempo.

Lega Anseatica ? Ancora ? NO Grazie


In principio era il parallelo con il 1300 la grande pandemia d peste, quella conosciuta come la Peste Nera che decimò e di parecchio la popolazione europea e costrinse gli Stati a limitare viaggi e affari, era il periodo in cui gli Stati nazionali non esistevano e gli Imperi si disgregavano a favore di piccole comunità che che stringevano rapporti di affari e di buon vicinato. I soldi venivano dai traffici che molte di queste città realizzavano e se l’Italia era famosa per le repubbliche marinare, perennemente in lotta. Nel Nord Europa i traffici erano regolamentati da un gruppo di città – Lega Anseatica - che aveva Lubecca il suo motore insieme ad Amburgo. Anni felici e un gruppo di municipalità che crebbe in modo esponenziale avendo una propria regolamentazione che riuniva città tedesche, olandesi, belghe e del Nord Europa. Dazi pesanti per chi non ne faceva parte e molta autoreferenzialità. Ma con l’avvento delle potenze spagnole, portoghesi e francesi il potere di queste leghe diminuì, le nuove rotte commerciali, i traffici scoperti diedero la mazzata finale. Tecnologia, politica e commercio furono le chiavi di lettura negative. Ora a distanza di tempo cercano di tornare in auge proprio quei figli di quelle potenze, ponendo veti, restrizioni e un sistema di governo differente. Inutile dire abbiamo già dato, insieme non determinarono le scelte di quell’epoca, insieme non determineranno il futuro dell’Europa, se ne facciano una ragione e discutano confrontandosi solo unendo le qualità ne usciremmo vincitori ma senza imposizioni

domenica 17 maggio 2020

Basta ricordi e racconti si torni a giocare


Speriamo che finisca questo lockdown sportivo fatto di racconti, di storie, di ricordi e di passato. Lo sport è vita, è sfida, è mettersi in gioco quotidianamente per raggiungere risultati e record. In questi tre mesi ne abbiamo sentite e lette di tutti i colori, e qualche volta anche le fake news hanno preso il sopravvento. Torno sul fatto di cronaca dell’autobiografia di Giorgio Chiellini, da cui fuoriesce una polemica al giorno, che francamente hanno stufato anche se fossero un piano di marketing, l’ultima dedicata a Sergio Ramos. Un ricordo non propriamente oxfordiano e per chi lavora nello stesso settore non propriamente bello, quando si taccia il collega di essere più che sportivo un furbo. Il tutto ha scatenato una ridda di commenti e qualche buontempone ha addirittura soffiato sul fuoco postando una notizia falsa ripresa persino da giornalisti che ne hanno così decretato importanza e discussione e che pone un dubbio su una categoria che dovrebbe fare della verifica delle fonti il proprio mantra. In più ci si mette Rizzoli che parlando di arbitri, ex colleghi, e polemiche invita i giocatori a non protestare altrimenti i direttori di gara potrebbero innervosirsi e non essere sereni nei giudizi (ma siamo seri?) urge effettivamente che si torni a giocare e al più presto così forse termineranno sproloqui e ricordi, rimarremo sulle polemiche fresche di giornata ma non si può avere tutto nella vita

L'intelligence ai tempi dei Savoia



Il Piemonte dopo i moti del 1821 con Santorre di Santarosa e quelli successivi del 1830 è una sorta di polveriera sempre pronta a scoppiare, le fitte trame mazziniane hanno facile presa soprattutto nella borghesia e nell’esercito, dove miete un numero crescente di consensi. L’Amministrazione piemontese è preoccupata e ne ha ben donde visto che nel 1833 si prepara una sorta di sollevazione popolare che dovrebbe partire nelle intenzioni degli insorti da Alessandria eGenova per poi costringere il Monarca Carlo Alberto all’esilio, viene segnalata una riunione preparatoria a Locarno. La congiura viene scoperta grazie a una rissa in cui viene coinvolto un sottufficiale che spiffera i piani e tutto va all’aria. Tutto questo costringe il Ministro degli Affari interni conte Tonduti dell’Ascarene a vigilare e a scatenare i propri segugi non solo nelle grandi città ma nei piccoli centri urbani Questo è un modo per recuperare informazioni e per tenere sott’occhio la popolazione. Ne abbiamo un chiaro esempio a Corio nel Canavese dove vengono compilati dei rapporti che mettono in evidenza sia nomi che situazioni da monitorare. Ma più che un vero e proprio movimento di insurrezione quello che emerge è un club di quelli che oggi chiameremmo leoni da tastiera: nella relazione si legge che i convitati all’osteria Rostagno del paese si radunano molte persone che leggono con assiduità e commentano gli scritti della Giovine Italia mazziniana portati li dall’Avv. Canaperia, tra gli avventori l’Avvocato Data, lo speziale Ferrero, i fratelli Marchiolatti, uno studente di filosofia tale Bartolomeo Monaco e anche l’avv. Oberti di Rivara” tra le altre segnalazioni si raccolgono anche elenchi di Lanzo capitanati da un certo Casetti e aspetto quasi ludico gli affiliati Giovanni Enrico e Cerva Giuseppe si esercitano al tiro al bersaglio con un effige del Re, quando si dice lo sprezzo del pericolo. Insomma l’intelligence sabauda aveva il suo bel da fare per cercare di sopravvivere e di mantenere al potere il re anche se Carlo Alberto dopo quello che ero successo in passato non era certo affidabile 

domenica 10 maggio 2020

Tutta colpa del virus



Il mondo dello sport in questo periodo di lockdown è andato un po’ in paranoia e complice anche un settore informativo che non sapeva più cosa inventarsi ci siamo sbizzarriti coi ricordi. Ci abbiamo messo del nostro ricordando episodi del passato, beandoci delle vittorie e sfottendo gli avversari sulle altrui disgrazie, in campo sportivo ovviamente. Il florilegio è cominciato dai milanisti dopo Istanbul c’è sempre Atene, chiaro riferimento al periodo in Champions 2005/2007 (non dormo ancora ripensando ai sei minuti di quella partita) per finire al 5 maggio, un tempo anelito della dipartita di Napoleone Bonaparte ma negli anni duemila mantra del tifo juventino e non solo per il suicidio all’ultima giornata di campionato della Beneamata. E da li sono fioccati i ricordi di Materazzi e i contro-ricordi dei pedatori bianconeri. Insomma un can can che nemmeno i bambini dell’asilo (ah già son chiusi) sono più abituati. L’ultima perla la biografia di Chiellini, una volta i ricordi di una vita veniva dati al tipografo solo in tarda età e fuori dal campo, oggi invece basta poco è viene sfornato subito un istant book su quello che hai fatto nei sei mesi precedenti. E sulle vicissitudini del Giorgione Nazionale si è scatenata la rissa mediatica aventi come protagonisti sia il difensore che Balotelli. A questo punto scatta la nostalgia del calcio giocato e dell’impresa sportiva, qualunque essa sia e anche una domanda legittima, ma perché mettere su carta o anche su file ricordi e sensazioni che dovrebbero rimanere confinati negli spogliatoi? ne sentivamo la mancanza? perché?. Palla


Il futuro è il gas illuminante


L’austera città di Torino come veniva illuminata agli inizi del 1800? A disposizione della municipalità erano installate 481 lanterne ad olio che ardevano tutta la notte per garantire alle zone centrali della città, indipendentemente dal fatto che fosse illuminata o meno dalla luna, una luce artificiale adatta. Per fornire tale illuminazione la città spendeva la ragguardevole cifra, per il tempo, di 70.000 lire annue che venivano in parte recuperate con una tassa legata al consumo su paglia e fieno, ma si trattava comunque di un esborso quanto mai particolare che spingeva per trovare soluzioni alternative. Il progresso avanzava e proprio negli anni trenta e più precisamente nel 1832 venne provato il primo sistema di illuminazione a gas per merito dell’ingegnere francese Gautier al Caffè Biffi in Piazza Vittorio ma l’operazione ebbe un esito alquanto incerto. Il gas illuminante veniva prodotto a partire dal 1838 in uno stabilimento a cui venne concesso il brevetto niente di meno che dal Re Carlo Alberto in persona, da sempre interessato allo sviluppo di nuove tecnologie. Lo spettacolo che si poteva vedere alle pendici di questi punti luce con il gas era al tempo stesso inquietante e intrigante, tant’è vero che la stessa popolazione si divise in due correnti: coloro che ne erano a favore perchè con questo sistema si ravvivava il paesaggio e quelli che invece temevano per la salute per quel fumo nero che sgorgava da questi impianti. Curiosamente Silvio Pellico in una sua nota personale divise i torinesi in gasisti e antigasisti. La discussione andò avanti parecchio e i detrattori di tale novità lamentavano sia i costi, alti di manutenzione, che gli stessi approvvigionamenti, al contrario i favorevoli ne mettevano in risalto la qualità della luce e il chiarore che rendeva la città, soprattutto all’imbrunire di un fascino assolutamente imperdibile. Come sempre il sistema imprenditoriale apprezzò la novità e anzi la sfrutto proprio per aumentare le produzioni il primo esempio è quello della stamperia Favale che ottiene il permesso di utilizzo fin dal 1839 dall’ufficio del Vicariato

sabato 9 maggio 2020

Didinho - sempre nel mio cuore



Lo ammetto il Fatto quotidiano non rientra tra le mie letture preferite, stile e modi troppo inquisitori in politica come nella quotidianità, però questa volta non posso non intervenire, perché l’obiettivo di un articolo di fondo è niente popo’ dimeno che Nelson Dida, portiere ieratico del Milan, vincitore di due coppe dei Campioni e immortalato anche da Diego Abantantuono in Eccezionale Veramente II in cui il Diego Nazionale lo vorrebbe al centro dell’attacco ( che mi spreco un brasiliano in porta ? ti chiamerò Didinho vedrai i gola che mi farai cit.) rossonero. Da Fenomeno e Brocco recita l’articolo, una definizione ingenerosa per un portiere che ha dettato legge nei primi anni 2000 al Milan arrivando ad assurgere al ruolo di eroe il 28 maggio 2003 capace di rubare la scena a Buffon e ipnotizzare i rigoristi juventini nella finale di Manchester. Da rossonero mi basta quella partita per definire Nelson senza discuterlo, per il giornalista invece esiste un prima, fenomeno, del derby di Coppa 2005 in cui gli arrivò in testa un petardo, al brocco successivo per alcuni errori (ma chi non ne fa. Il portiere come ha dimostrato quello del Liverpool nella finale con il Real è un ruolo bastardo, se fai errori verrai ricordato a vita, se non ne compi passi quasi nel dimenticatoio. Eppure io mi tengo Nelson tutta la vita, istrionico ma senza fare il superuomo ci ha regalato molte gioie e pochi dolori e quando ha tentato di fare il furbo, ci ha provato, è stato smascherato è giustamente punito. I trofei sono in bacheca a testimoniare che in fin dei conti la sua opera è servita. Fenomeno o brocco non mi sembra una distinzione corretta per Nelson, preferisco un umile pedatore come lui a eccentriche prime donne, per me comunque campione 

giovedì 7 maggio 2020

La seconda guerra mondiale termina il 7 maggio, pardon l'8


Ben tre pagine di un noto quotidiano oggi sono state dedicate alla fine della seconda guerra mondiale partendo da una data quella sbagliata della fine della guerra indicata nel 7 maggio, in realtà il giorno successivo, ma per carità un refuso, seppur grave, non pregiudicherebbe il resto del giornale se nel complesso la stessa storia fosse presentata nel modo corretto e senza altri errori. Il pretesto della fine della guerra è quello di parlare del ruolo dell’Italia al tavolo dei vincitori con l’aggravante di aver in un primo tempo cospirato con i nazisti; così si presenta De Gasperi al mondo con il peso di aver preso parte alla guerra dalla parte sbagliata. Ma andando sul concreto si parla delle tre battaglie che hanno deciso la seconda guerra mondiale: Stalingrado, El Alamein e Midway, Se guardiamo la cronologia si dovrebbe andare al contrario, giugno Midway, Ottobre El Alamein, Novembre/Gennaio Stalingrado per la cronologia. Ma seguiamo il narratore e partiamo da Stalingrado, quello che colpisce è la narrazione viene sbagliato il nome del cecchino russo (eppure era stato impersonato da Jude Law nel film di Annaud), la ricerca di una via per il Caucaso era stata una necessità per andare verso i pozzi petroliferi del luogo e certamente Stalingrado poteva essere appetibile per la propaganda, ma i tedeschi disprezzavano i russi non solo Stalin, infine si fa menzione del 13 gennaio 1943 come della data del ritiro del Corpo d’Armata Alpino dal Don, magari fosse avvenuta in quella data, molti più ragazzi italiani si sarebbero salvati, in realtà l’ordine venne dato 72 ore dopo e nonostante questo i militari italiani scrissero pagine gloriose sulla via del ritorno a Nikolajewka. Passiamo a El Alamein la sproporzione di mezzi fu enorme e nonostante questo, il glorioso tattico e il pessimo stratega Rommel, come è stato identificato dall’autore dell’articolo, peraltro sbagliando e di brutto e scopiazzando articoli strani comparsi in rete, tenne testa all’esercito inglese che aveva un numero di carri tre volte superiore. Giusto per la cronaca Rommel nemmeno era al fronte quando cominciò l’attacco inglese a El Alamein, la spinta dell’esercito italo tedesca si era esaurita e senza ulteriori mezzi sarebbe stato impossibile proseguire. Eppure Rommel sia come stratega che come tattico aveva messo spesso in difficoltà gli alleati, in Francia, in Libia, in Tunisia e anche in Francia, ma l’articolista preferisce glissare. Su Midway poi la prosa è un po’ raffazzonata, i giapponesi tentarono il colpo ma andò male per una questione anche di fortuna, ma anche se fossero riusciti a sovvertire la battaglia, difficilmente avrebbero vinto la guerra, in sei mesi avevano consumato tutte le risorse. Insomma anche questa volta un’altra occasione persa per un’analisi più completa e più attinenti alla realtà. La foto usata invece è reale ed è quella di Evgeny Chaldej fotografo di guerra sovietico che immortala la posa della bandiera rossa sul Reichstag, anche se quella foto non è del giorno identificato con fine guerra 8 maggio ma di quasi una settimana prima, ma poco importa       

domenica 3 maggio 2020

Mariposa: Starway to Heaven



La data è quella classica dell’arrivo a Milano 19 anni, belle speranze, università, un mondo nuovo, un nuovo sistema di studio, non più il quotidiano tran tran, ma l’organizzazione di un sistema e nel frattempo tempo libero per visitare la metropoli tentacolare. Piazza Firenze, il 12, via Larga, il Chiostro, via Carducci, le prime mete e anche lo struscio di Corso Vittorio. Come un Artemio qualsiasi, ma senza il poderoso Landini, memoria di un passato bucolico familiare, il cazzeggio in giro era un atto dovuto tra le lezioni della Cicalese alle 8.30 in stanza 106 e quella di storia moderna nel tardo pomeriggio. E allora il mondo della musica si apriva ai sogni, ai titoli improponibili, ai concerti a cui si vagheggiava di partecipare e si passava del tempo a guardare le copertine dei vinili, dei bootleg, e di tutto quello che faceva musica e spettacolo. E se la pubblicità martellante diceva che i gini dovevano tornare a Biella (tutta colpa di Aiazzone) al sottoscritto piaceva il mezzanino della metro del Duomo che per me era la Starway to Heaven. Oggi ho scoperto che quel negozio, dopo quello di Porta Romana chiude. Peccato è un pezzo di storia e, nulla è per sempre, ma almeno abbiamo sognato  

Menabrea un Presidente del Consiglio tutto dedito al Bilancio



Forse non è stato troppo mitizzato dai media e della storia ma Menabrea a pieno titolo si può considerare uno dei padri fondatori della patria italiana, sia per le sue qualità militari che quelle politiche, tanto è vero che venne chiamato alla carica di Primo Ministro nel 1867.Era un periodo di crisi quello successivo alla terza guerra di indipendenza che pur se aveva portato in dote il Veneto era stato teatro del disastro della battaglia di Custoza, un nome infausto per la genesi dello Stato Italiano e soprattutto dell’incapacità croniche del giovane stato sabaudo di avere un esercito uniforme e in grado di competere. Nel 1867 succede a Rattazzi Luigi Federico Menabrea generale, politico e ambasciatore italiano a lui tocca raccoglierei cocci di quella situazione ingarbugliata e soprattutto a mettere mano al Bilancio con Luigi Guglielmo Cambray e dopo il corso forzoso realizzato da Rattazzi a Menabrea toccò introdurre la tassa sul macinato, l’imposta sulla macinazione dei cereali che si pagava direttamente al mugnaio. Di fatto i più colpiti erano i ceti meno abbienti e soprattutto causo violente proteste sedate dall’esercito ma che costarono più di 250 morti e 1000 feriti sotto la supervisione del Generale Raffaele Cadorna. Anche i tabacchi vennero privatizzati e dati in concessione a un gruppo di capitalisti privati tra cui alcuni istituti di credito stranieri. Come sempre circolarono voci anche di corruzione che sembra toccassero anche l’entourage del RE. Il gettito era di 170 milioni di lire annui. Vennero messi all’asta anche alcuni beni ecclesiastici che fruttarono un altro capitale di 162 milioni. Insomma un vero e proprio ginepraio di balzelli per poi arrivare al pareggio di bilancio che avvenne in capo al biellese Quintino Sella nel 1870, anno in cui finalmente anche Roma fu annessa allo Stato Italiano. Gli ultimi anni di vita di Menabrea furono invece dedicati al ruolo di ambasciatore e a Lui furono date due sedi prestigiose prima quella di Londra e successivamente quella di Parigi, in anni assolutamente caldissimi ma utili per far progredire lo stato italiano al consesso dei grandi stati Europei 


Camillo penso Conte di Cavour


Ci risiamo, Repubblica cambia Direttori ma non impostazione giornalistica, vuole fare riferimenti storici ma li sbaglia con dovizia di particolari. Apprezzo l’intenzione di guardare al passato ma non puoi però piegare alle tue esigenze o convenienze. Sempre detto che alla storia bisogna guardare per trarre utili spunti e riferimenti, le attività umane sono sempre le stesse, le forme di governo, le relazioni internazionali, le opere pubbliche, le tasse, le rivoluzioni, gli eventi in tal senso sono ciclici e quindi trarre utili spunti e riferimenti se non doveroso è assolutamente utile perché puoi trarre beneficio da quello che qualcuno ha già sperimentato. Ora sulla questione Risorgimentale su cui punta Scalfari bisogna fare dei distinguo di non poco conto, al di là del parallelo tra personaggi cui forse non c’è nemmeno una forte somiglianza fisica e di intenti e non solo di connotazione politica. L’italia dell’epoca non esisteva, era un’idea, ma l’idea di combinare le tecnologie e di stringere forte relazioni a uso e vantaggio del Piemonte fu una chiave di lettura vincente.Si circondava di persone capaci e valide come Dabormida, Mi nghetti, De Sanctis Cibrario tanto per nominarne alcuni, e in una decina di anni sovvertì il ruolo del piccolo Stato Sabaudo da sempre cuscinetto delle beghe europee a potenza sul piano internazionale. Morì giovane e con la frase purtroppo profetica: fatta l’italia dobbiamo fare gli italiani, proferita secondo molti da Massimo d'Azeglio ma attribuibile a molti politici dell'epoca. Accostare o pensare di accostare l’opera di un padre della patria, perché così va considerato, all’attuale Premier il cui unico pregio è stato di rimbalzare tra due alleanze completamente diverse, senza avere il benchè minimo sussulto e a gestire un’emergenza non proprio in modo lineare mi sembra un azzardo della peggiore specie e forse più un anelito di speranza ma all’orizzonte vedo più Custoza che San Martino

Briganti la serie Netflix che si ispira alla storia del Brigantaggio meridionale

Pietro Fumel  Le fiction storiche da sempre mi attirano e su Netflix mi sono lasciato trascinare a guardare quella dedicata al brigantaggio ...