martedì 31 dicembre 2019

che il 2020 sia meglio del 1920



Un decennio quello trascorso che non ha fatto il paio con quello di un secolo prima tramortito dalla Prima Guerra Mondiale e da centinaia di migliaia di giovani vite spezzate. E’ stato un decennio tecnologico, con enormi progressi dal punto di vista della qualità della vita ma questo invece di qualificare la meglio l’umanità ha fatto fare alle stessa una regressione in cui spuntano egoismi e velleità di bandiera. Stranamente sono scomparsi o per lo meno in ruoli marginali se non secondari le Nazioni Unite (nate sotto la spinta della seconda guerra mondiale) le stesse nazioni che andarono in guerra nel 1950 contro la Corea oggi non ne sentiamo più parlare sepolte sotto il potere delle singole nazioni. E si che ci sarebbe bisogno per risolvere fior di problemi invece ognuno si rinchiude a guscio e questo è un pericolo estremo proprio per quello che potrà essere il futuro. Gli anni venti del 900 segnarono proprio la crescita di politiche protezionistiche e di egoismi nazionale (fiume e il fascismo in Italia) ma non mancano altri esempi in tutta Europa. Il guaio è che possa ripetersi, pur se con dinamiche diverse anche nel prossimo ventennio sarebbe decisamente un peccato. Il 1920 lo ricorderei per due episodi il primo la nascita del proibizionismo negli Stati Uniti la seconda per la nascita di un grande maestro di giornalismo Enzo Biagi. Chissà cosa succederà il prossimo anno

venerdì 27 dicembre 2019

Il Milanese che divenne imperatore pagando 25.000 sesterzi



Se in passato avevamo parlato di Pertinace come il piemontese di Alba che cercò di combattere la corruzione a Roma alla morte dell’imperatore Commodo ma non riuscì nell’intento e ci lasciò la pelle. Agli onori della cronaca, ultimamente, è balzato l’imperatore Didio Giuliano che comprò la carica per 25.000 sesterzi e rimase in sella anche lui per soli tre mesi. Se il II secolo dopo Cristo era stato agli albori quello della massima espansione di Roma, l’opulenza e la forza di quel periodo crollò miseramente alla morte di uno dei suoi imperatori più riconosciuti il filosofo Marco Aurelio. La corruzione e il ladrocinio regnavano sovrane, si faceva strada comprando cariche onorifiche, che però era un must di Roma, all’epoca chi governava lo faceva perché o era di famiglia di censo, e si comprava il cursus, oppure attraverso il bottino di guerra. E non fu da meno anche il successore che creò la dinastia dei Severi e che non esitò a sbarazzarsi di senatori a lui ostili, ammazzandoli e mettendone di più fedeli alla propria linea. Insomma denaro corruzione e politica la facevano da padroni nella più profonda era imperiale di Roma

IZ coming



Lo ammetto ingenera entusiasmo l’arrivo di un giocatore che forse dal punto di vista sportivo non ha più molto da dare all’alba dei suoi 38 anni. Ma di sicuro è un personaggio, un icona e se vogliamo anche un leader, proprio per il suo modo buffo di porsi a volte iconico altre volte istrionico. Slatan nel tempo è diventato così più un’icona che non un vero sportivo in grado di far cambiare e svoltare il corso di una stagione. Quelloc he serve allo spogliatoio della squadra non è un campione ma un motivatore e nello sport di oggi serve qualcuno, quando non è l’allenatore, in grado di dare ritmo e motivazioni. Per assurdo è il modello Mourinho che spesso ha funzionato, tutti pronti a parlare di lui e a lasciare in pace la squadra (il triplete all’inter ne è stato il suo capolavoro, una squadra normale ma che ha beneficiato di un leader, e a volte questo serve per svoltare). La qualità della squadra non è malaccio (hernandez paquetà piatek romagnoli ecc sono ottimi giocatori) a volte basta veramente un po’ di autostima in più e credere nel proprio io. Il Milan di Zaccheroni non era certo una squadra incredibile eppure vinse uno scudetto nella normalità a aggredendo la storia e gli avversari, lo stesso può fare questa squadra e così facendo magari costruendo un gruppo che possa tornare a essere protagonista.

Ultima lettera dal fronte .... a Vescenkaja 16 dicembre 1942


Ciao Papà
Sono da poco passate le otto di sera del 16 dicembre 1942 qui a Vescenkaja fa un freddo cane, un buio spettrale che non promette niente di buono, il termometro ieri è arrivato a meno 15, il fiume è ghiacciato e ogni sera i bagliori che vediamo all’orizzonte in direzione di Stalingrado sono sempre più forti, chissà cosa sta accadendo là. Qualche giorno fa abbiamo visto un’autoblindo carica di mitragliatrici MG42 con moltissime munizioni a bordo e alcuni soldati tedeschi che avevano una faccia che non lasciava trasalire emozioni, Quasi rassegnati al corso della guerra. Dicono che in quella città si stia combattendo casa per casa, una guerra dura, sporca, senza quartiere, senza domani. Qui invece in confronto sembra tutto molto più calmo, ma da quello che sentivamo presto toccherà anche noi. I rumeni che stanno più sotto, così dicono alcuni commilitoni, hanno preso alcuni prigionieri che dicono che l’attacco russo sia imminente. Io ho paura, sono a più di mille chilometri da casa, riusciremo a reggere ? perché ho accettato questo incarico ? certo in tempi di magra, uno stipendio, da soldato, va bene. Ma mi manca la Belaria, mi manca la campagna, penso ai figli di Beppe, Ester e il piccolo Adriano, con quegli occhietti vispi e curiosi, penso alle mie sorelle, a tutti voi che vi ho lasciato a Ponderano e mi chiedo se rivedrò ancora il Ciucarun. Le sensazioni e le speranze ci sono ma qui siamo in mezzo al nulla, alla neve, al gelo in una terra ostile, con un abbigliamento militare che lasciamo perdere, fare la guardia vuol dire rischiare di perdere le dita per il gelo. Scrivo questa lettera con le mie sensazioni, ben sapendo che potrei incorrere nella censura ma cosa siamo venuti a fare qua……..

Questa mi immagino sia l’ultimo scritto dal fronte di mio zio, una lettera pensata e mai scritta, o forse scritta e andata perduta in quel caos che fu la ritirata. Lui faceva parte del 54 reggimento Umbria (artiglieri) della divisione Sforzesca che costituiva insieme al 53 fanteria, che partì da Biella il 22 giugno 1942, una delle sette divisioni che costituiva l’Armir. Ricordi e testimonianze dicono che forse saltò in aria il 20 dicembre 1942 a seguito di un bombardamento nei pressi della stazione ferroviaria. Mi auguro che sia stato così una morte, pur se orribile, immediata e che non abbia dovuto patire la ritirata, la prigionia e stenti di una follia che fu la seconda guerra mondiale. Quest’anno ricorre il centenario della tua nascita, un atto doveroso ricordarti e se le tue spoglie mortali sono rimaste nella steppa russa, il tuo ricordo vive in mezzo a noi che ne siamo i tuoi eredi.

giovedì 26 dicembre 2019

Torino dicembre 1922


La Marcia su Roma per la conquista del potere assoluto in Italia da parte del partito fascista si è svolta il 28 ottobre, ma in quei mesi del 1922 la tensione era alle stelle e gli scontri non mancavano tra chi si riconosceva nel partito di Benito Mussolini e tra gli oppositori di sinistra e non solo. C’era una certa libertà nella gestione e possesso di armi in quel periodo, la guerra era terminata da un paio di anni ma molti avevano in tasca pistole e coltelli. La sera del 17 dicembre in un agguato contro un militante comunista, Francesco Prato, tre militanti del partito fascista gli sparano alle gambe, Prato risponde e uccide due dei suoi tre assalitori. L’occasione diventa propizia per le squadracce di Pietro Brandimarte, federale, che già all’indomani del fatto occupa con una cinquantina di fedelissimi la Camera del Lavoro di Torino, mettendola a soqquadro e picchiando selvaggiamente il deputato socialista Pagella e il segretario della Federazione Pietro Ferrero, ma questo è solo l’antipasto della repressione. Da Roma arrivano ordini perentori la punizione deve essere esemplare e così inizia il massacro con la connivenza delle autorità di pubblica sicurezza. Il primo a cadere sotto i colpi di pistola e di fucile è il segretario del sindacato Ferrovieri, Carlo Berruti, cui seguono Ernesto Mazzola, sindacalista, l’oste Leone Mazzola e l’operaio Giovanni Massaro. Nella serata del 18 il fattorino Matteo Chiolero, di ispirazione comunista, viene freddato sulla porta di casa sotto gli occhi di moglie e figlia. Anche Andrea Chiomo viene prelevato da sette discepoli di Brandimarte picchiato e portato in strada dove una fucilata alla schiena pone fine alla sua esistenza. Pietro Ferrero che ha già subito un pestaggio alla mattina viene nuovamente pestato a sangue e poi il suo corpo, legato con una corda a un camion viene trascinato per centinaia di metri sull’asfalto. Le ultime due vittime sono Emilio Andreoni, operaio 24 enne trascinato fuori casa e ucciso in campagna fuori Torino, mentre Matteo Tarizzo 34 anni viene prelevato dal proprio letto portato fuori dalla sua abitazione e ucciso a bastonate. La mattanza continua per tre giorni e alla fine sono decine le persone con militanza politica o sindacale a incorrere nella furia squadrista. Brandimarte ha agito su ordine diretto di Benito Mussolini che voleva in qualche modo punire Torino per il suo moto anti regime. Brandimarte stesso alcuni anni dopo dichiarò che nel corso di quell’azione i nominativi a disposizione delle sue squadre erano di 3000 persone da cui furono scelte 24 che incorserò nella ferocia dei commandos di Brandimarte. Una chiara dimostrazione che con l’avvento del nuovo governo non erano tollerate più forme di dissenso. Torino pagò quindi un caro prezzo alla libertà e non a caso sarà la prima città del Nord a ribellarsi dopo molti anni alla dittatura del regime fascista

martedì 24 dicembre 2019

Rattazzi l'Alessandrino che introdusse la moneta unica


Tra i tanti Presidenti del Consiglio piemontesi vale la pena di citarne uno, di origine alessandrina, che di fatto fece un passaggio di transizione tra il neo stato italiano di ispirazione cavouriana e la sua dimensione moderna. Stiamo parlando di Urbano Rattazzi, che fu a capo del Governo per due stagioni quella del 1862 e successivamente cinque anni più tardi nel 1867. Quella era un Italia turbolenta che non si era ancora placata di tutti i rigurgiti nazionalisti che avevano portato alla sua Costituzione, tutta improntata a trasformare lo stato da Sabaudo a Unitario. E se la parte geopolitica era quasi completata occorreva dedicarsi ad altri aspetti, quella più curiosa fu l’unificazione monetaria proprio a lui, a Rattazzi si deve l’introduzione della lira il 24 agosto 1862, che, di fatto, sanciva la moneta unica per tutto il suolo italiano sopprimendo tutte le monete degli altri stati pre unitari, sotto il consiglio del biellese Quintino Sella vennero poi unificati i sistemi tributari e monetari verso quel pareggio di bilancio, fiore all’occhiello di Sella che poi giungerà qualche anno più tardi insieme all’odiata tassa sul macinato. 

Ma uno stato così giovane con diversi problemi di rappresentanza esterna era un ghiotto boccone per le crisi di governo e le irrisolte questioni, venete e romana erano una brutta spina nel fianco assolutamente troppo gravosa. Garibaldi ancorchè bravo generale e tattico era un pericoloso ingombro, un primo tentativo di liberare il trentino con l’arresto di un gruppo di cospiratori portò a una sommossa con alcuni morti tra la folla che contestava gli arresti, ma l’episodio che ne decretò la fine del suo dicastero fu lo scontro e il successivo ferimento di Garibaldi sull’Aspromonte bloccato dall’esercito italiano/sabaudo per impedire una dura presa di posizione della Francia contro l’Italia. Farini e Ricasoli ne furono i successori ma Rattazzi tornò nel 1867 ma anche questa volta inciampo nella questione romana non prima però di di aver varato una legge che sopprimeva tutti gli ordini religiosi presenti nel Regno, ritenuti superflui alla vita religiosa del paese mentre gli enti ecclesiastici rimasti (seminari, diocesi, parrocchie e tutta una serie di altri fabbricati) fu imposto un aggravio fiscale del 30 %. Ma l’ombra di Garibaldi si stagliava all’orizzonte, i buoni risultati ottenuti in Trentino l’anno prima convinsero il generale a ritentare l’impresa romana ma anche questa volta i francesi ebbero la meglio e Mentana, il luogo in cui venne combattuta la battaglia sancì la fine dell’avventura dell’eroe dei due mondi e anche dello stesso rattazzi che non era riuscito a fermare il generale. Il 27 ottobre 1867 nuove dimissioni consegnate a Vittorio Emanuele. Di qui inizia l’oblio di Rattazzi che pur continuando a svolgere la carica di deputati di fatto non riveste più ruoli di primo piano. Il 5 giugno 1873 muore per un cancro al fegato

We'll Come back



Uscendo dallo stadio dopo la partita contro il Barcellona in Champions anni fa, guardando Nic ci dicemmo che per noi il trofeo poteva finire li. Il riferimento era al doppio scontro contro Messi annichilito a San Siro e poi maramaldo al Camp Nou teatro di sogni europei nel 1989, ma non pensavamo certo a un esilio così lungo dal calcio che conta. La vita come lo sport è fatta di cicli, di cadute e di riprese. Quella del Milan non è forse la peggior crisi nella sua storia, quella che passò dai primi anni del 900 fino al primo scudetto del dopoguerra durò ben 43 anni, qualcuno dice come i traditori che nel 1910 diedero poi vita all’inter e fu forse la più lunga. Ora gli anni dall’ultimo scudetto cominciano a diventare tanti e il decennio che finisce è stati più funestato dagli obbrobri che dalle perle da ricordare. Ci riprenderemo, torneremo a splendere, ci vorrà tempo, forse si, al momento neppure quantificabile, ma rimango un inguaribile ottimista, consapevole che l’affetto e l’amore per una squadra e per i propri colori si vede maggiormente nel momento del bisogno e della sconfitta.

martedì 17 dicembre 2019

Provaci ancora Henry



Il destino cinico e beffardo alle volte reca degli scherzi particolari. Il 30 settembre 1918 gli eserciti alleati stanno per dare la spallata definitiva per le truppe tedesche, la guerra è a una svolta, la comunità è matura per una fine delle ostilità: si combatte ma si sa già come andrà a finire. A est la rivoluzione russa ha smembrato l’Europa e una nazione. A ovest gli americani stanno dominando. Sulle Argonne avvengono gli scontri più brutali in uno di questi il soldato (private) Tonde in un furioso corpo a corpo ferisce un nemico ma per nostra sfortuna lo risparmia. La pietà che si confà anche fra nemici non gli permette di affondare il coltello nell’addome di un caporale tedesco e di ucciderlo. Mai pietà fu più nefasta, quell’uomo aveva un destino e un futuro terribile si chiamava Adolf Hitler. Pensate cosa sarebbe successo in caso contrario, la guerra non sarebbe scoppiata? nessun odio razziale verso gli ebrei? Nella storia le sliding doors capitano spesso, e sono ciniche e beffarde come i due minuti e la rotta sbagliata dei Dauntless americani che piombano alle Midway e cambiano il corso della storia, come i norvegesi che impediscono ai nazisti di recuperare l’acqua pesante ecc. La storia è infarcita di questi episodi certo che quella pallottola il soldato inglese poteva sprecarla

mercoledì 11 dicembre 2019

Qui Vincit non est Victor nisi Victus fatetur


Devo proprio essere un matusa io ho sempre pensato che Vae Victis fosse l’allocuzione latina che si rifà alla storia della prima discesa a Roma dei Galli capitanati da Brenno che saccheggiarono la Città eterna, dopo la vittoriosa, per i celti, battaglia di Allia nel 390 a.c. e pretesero e imposero un pagamento in oro consistente che solo l’ardire di Furio Camillo (pare leggenda) riuscì a contrastare. Ebbene da ieri ho scoperto che è il nome dato a una discoteca all’inizio degli anni 90 a un famoso videogioco e a un parastinchi. E ovviamente si è subito scatenata una polemica simil storica pronti a dare patenti di adesione a una fazione piuttosto che a un’altra. Sorrido pensando a un campione dell’arte pedatoria che ha bisogno di uno stimolo latino per ringhiare sulle caviglie avversarie, forse paragonandosi a un legionario romano pronto a non voltare mai le spalle al nemico. Eppure la storia che inneggia a esempi di grande ardimento spesso e volentieri racconta di catastrofi militari, di fughe impietose, di ritirate strategiche e di massacri epocali (Canne, Teutoburgo, Carre solo per ricordarne alcuni di famosi). L’iscrizione è vero serviva per infondere coraggio, poi però dovevi scendere sul campo e fare di necessità virtù. Di Leonida, tanto per citare un altro esempio, questo spartano, vissuto un secolo prima di Brenno, non ne sono esistiti molti. Forse varrebbe la pena di insegnare ai viziati giocatori di football che la vita del legionario era dura, anni lontani da casa, lunghi periodi oziosi a centinaia di chilometri, una vita passata a costruire e a disfare accampamenti quando in marcia, a spendere la diaria alla ricerca di compagnia femminile in luoghi lontani e come unico pensiero il ritorno a casa dopo anni a fare la vita contadina e a mettere su famiglia. Niente di così eroico, e, se si combatteva, era meglio non essere feriti, o la morte oppure rimanere illesi, le ferite, se non curate portavano comunque alla dipartita e a un gita senza ritorno nei Campi Elisi. Quindi meglio evitare i detti latini o se proprio ne devo citare uno mi piace quello che avevano gli opliti, i fanti della prima linea, sul loro scudo (qui vincit non est victor nisi victus fatetur – chi vince non si può considerare tale se il vinto non lo riconosce), certo però che in quel caso hai voglia a metterti un parastinco con quella scritta – non ci stà

Sul Monte Musinè cambiano i destini dell'Impero Romano


In hoc signo vinces, quante volte abbiamo sentito questa frase che di fatto segna la dicotomia tra religioni nell’impero romano con la vittoria del cattolico Costantino contro Massenzio a Ponte Milvio a Roma e il conseguente passaggio dal paganesimo al cristianesimo. Una battaglia che di fatto portò in auge per l’ultima volta l’Impero Romano e così i seguaci del cristianesimo, dopo due secoli quasi sempre di tormenti e di persecuzioni, conquistavano il palcoscenico di Roma. Ma prima di arrivare a Ponte Milvio ci furono altri passaggi e altre battaglie. Forse non tutti ricordano come il primo scontro avvenne proprio ad Augusta Taurinorum nel 312 tra il giovane Costantino supportato dalle truppe che avevano stanza in Britannia e che giunse in Italia attraverso il Passo del Moncenisio forte di 90.000 fanti e 8000 cavalieri. Il suo esercito era in gran parte formato da popolazione barbare, come Celti, Germani e Britanni. Ormai l’esercito era affare loro mentre i Romani preferivano darsi ad altri lavori. Il primo scontro avvenne in Italia nei pressi di Segusia (l’odierna Susa), la città venne presa e messa a ferro e fuoco ma Costantino non esagerò e si diresse verso Torino dove Massenzio lanciò contro un altro esercito dotato di un forte contingente di cavalieri pesanti. Costantino si dimostrò abile stratega e con una cavalleria più leggere seppe tenere a bada quella avversaria e con abili manovre tattiche mise in fuga l’esercito di Massenzio. Le truppe di Costantino vennero così acclamate dalla popolazione di Torino e a lui personalmente, proprio dentro le mura cittadine di Torino, venne decretato un vero e proprio trionfo, il suo buon rapporto con i torinesi di fatto gli aprì le porte delle altre città del Nord e con estrema facilità il giovane rampollo romano battè facilmente Massenzio ancora a Brescia e a Verona dove ebbe ragione delle truppe del rivale capitanate da Ruricio pompeiano il generale a cui Massenzio aveva sfidato la conduzione dell’esercito. Con il Nord libero Costantino ebbe vita facile e potè arrivare a Ponte Milvio con molte più chance da giocarsi, la leggenda o la storiografia poi narra come dietro la sua ultima vittoria ci fosse anche il passaggio armi e bagagli sotto un'altra religione, probabilmente un bell’accordo preventivo che la storia ha voluto ricordare e tramandare con quella particolare apparizione. E la stessa avvenne, come ricorda un enorme croce di 15 metri sul Monte Musinè, l’ultima montagna prima di arrivare a Torino cui dista in linea d’aria tra i 15/20 chilometri, l’opera eretta nel 1901 porta proprio alla base la famosa scritta IN HOC SIGNO VINCES che di fatto cambiò la storia dell’impero romano e perché no dell’Italia. 

mercoledì 4 dicembre 2019

La settima arte e Torino


Se Biella è la patria della televisione per via della storica emittente Telebiella che grazie a Peppo Sacchi ruppe il monopolio Rai negli anni settanta del secolo scorso. Torino rappresenta la vera e propria patria della Settima Arte. Nel marzo 1896, infatti, a pochi mesi dalla prima proiezione con il cinématographe avvenuta il 28 dicembre 1895 davanti al pubblico del Gran Cafè del Boulevard des Capucines a Parigi, i fratelli Louis e Auguste Lumière mostrarono per la prima volta la loro invenzione in Italia, proprio a Torino. Nel novembre del 1896, in via Po fu proiettato il primo spettacolo a pagamento d'Italia. Fu una selezione di persone tra cui il Sindaco dell’epoca di Torino per vedere questa nuova formula di intrattenimento, l’organizzazione di Vittorio Calcina un fotografo che rappresentava, una sorta di franchising, i fratelli Lumiere. Fu una serata didattica che faceva vedere l’arrivo di un treno in stazione, bimbi che giocavano insomma momenti classici e diedero il via all’aspetto commerciale con la gente che era affascinata da questa nuova forma di intrattenimento. Ma se il buongiorno si vede dal mattino ricordiamo che proprio a Torino sono nati il primo multisala nel 1983 (L’Eliseo) e il primo cinema d’Essai nel 1971 (il Romano nella Galleria Cisalpina) Nel 1904 nacque a Torino anche la prima casa di produzione la Ambrosio, il ragionier Arturo Ambrosio, che aveva uno studio fotografico in via Roma 2, si appassionò del cinema, e dopo due anni di studi e di proiezioni come "La prima corsa automobilistica Susa Moncenisio" fondò una delle prime case di produzione cinematografica del nostro Paese, quella che divenne poi la Ambrosio Film. Insomma un amore per il cinema che da sempre ha appassionato Torino. Torino è sempre stata al centro dell’attenzione del mondo del cinema fino agli anni trenta, sotto il Regime Fascista venne poi realizzata nel 1937 Cinecittà di fatto trasferendo nella capitale la Settima Arte con il contributo della studiosa Maria Adriana Prolo, la stessa che raccolse i primi materiali per la costituzione del Museo Nazionale del Cinema che oggi ha sede nei locali della Mole Antonelliana e che cominciò a ospitare i cimeli proprio in una sala della Mole concessa dal Comune. Migrò poi a Palazzo Chiablese per poi tornare in Via Montebello solo nel 2000. Cinema storici fanno da cornice a Torino e proprio uno di questi è l’Ambrosio il nome è connesso a quello del Ragioner Arturo, di cui abbiamo parlato prima, ma i capitali e il progetto furono dell'avvocato Cavaliere Giuseppe Barattolo, fondatore insieme ad Ambrosio e altri dell'Unione Cinematografica Italiana nonché grande animatore anche durante il Ventennio della cinematografia italiana. Il cinema Ambrosio è nato nel 1914, e si trova in quello che all'epoca era Palazzo Priotti, poi Frisetti e infine Priocca, uno stabile del 1913. Insomma se la storia è un film Torino ne è la sua degna rappresentante.

lunedì 2 dicembre 2019

la storia grazie ad amazon



A volte un film se fatto bene ti permette di scoprire qualcosa che non sai. Ignoravo la vita di Michiel de Rutyer uno dei personaggi probabilmente più famoso d’Olanda un ammiraglio che grazie alla sua perizia ha saputo trascinare l’Olanda tanto da farla diventare una potenza e mettere alla berlina l’Inghilterra dopo tre guerre combattute sui mari. Guerre di natura economica c’erano i commerci con il nuovo mondo e la geopolitica per il predominio continentale. La piccola Olanda contro la perfida Albione e un successo che di fatto cambiò anche certe gerarchie. Insomma una pagina di storia forse poco conosciuta e che modificò anche i confini e i destini della varie superpotenze. Per una volta grazie Amazon che mi hai fatto riscoprire la storia



c'è sempre un complotto


Fine anno tempo di premiazioni e di mensole stabili su cui posizionare trofei ambiti. Gioco forza pensare che i più grandi miti pedatori se le suonino di santa ragione per un simulacro pronto a fargli gonfiare il petto per una carriera o un anno di successi. E non importa che il valore del premio sia nulla nei confronti di un pngue conto in banca ciò che conta, modello bambino dell’asilo, è poter dire all’avversario io ne ho cinque tu solo quattro. E come in ogni banda che si rispetti interviene anche il tuo compagno di squadra per avvalorare la qualità e il valore di un premio, tutti pronti a pavoneggiarsi per il simulacro in attesa dei like dei tifosi. Siamo all’isteria pura. Un campione se tale dovrebbe comportarsi accettando anche la sconfitta ma non sempre così e così dinieghi, musi lunghi in attesa della prossima premiazione. Ma il teatro dell’assurdo è la teoria del complotto quella messa in atto dal buon Chiellini secondo cui il premio non è stato dato a Ronaldo per colpa di una società abbandonata come il Real Madrid. Insomma il potere dei forti, la stessa squadra contro cui il Giorgione nazionale protestò facendo il gesto dei soldi percepiti dall’arbitro che aveva osato fischiare un rigore al 93 contro la Juve. Non cresceremo mai e allora viene in mente quello che mi ha riferito il buon Bartoletti viene un momento in cui bisogna ritirarsi e lasciare parlare gli altri di calcio. Ecco mi sa che questo è il momento

Briganti la serie Netflix che si ispira alla storia del Brigantaggio meridionale

Pietro Fumel  Le fiction storiche da sempre mi attirano e su Netflix mi sono lasciato trascinare a guardare quella dedicata al brigantaggio ...