martedì 24 gennaio 2017

O che si vinca o si perda sempre dietrologi siamo

foto blitz quotidiano
 
La dietrologia si sa è Italica, nulla avviene mai per caso, c’è sempre un secondo fine, dal commercio alla politica, dallo sport alla vita comune non esistono gesti spontanei, ma tutto ha dietro di se un preciso calcolo, volto comunque a metterlo in quel posto al malcapitato di turno, sia questo il popolo, il vicino o anche lo stesso singolo che urla al complotto. Nell’età mediatica con una telecamera sempre appresso, in questo enorme grande fratello virale per cui nemmeno in bagno sai cosa sia la privacy, per inciso io l’ho provata 30 anni in collegio, ogni singolo movimento è tracciato. E così, sempre in ambito sportivo, così non tocchiamo i benpensanti, la smoccolatura di Allegri alla fine di un match diventa una prova di lesa maestà nei confronti dei sudditi arbitri, l’abbraccio a fine gara tra giudice e protagonista una querelle senza fine su presunti accordi. Ma basta !!!! ma è mai possibile che fallimenti e successi singoli e di squadra debbano essere sempre sudditi di questa teoria complottistica, possibile che non ci si possa crogiolare una volta nell’opportunità che tu nella tua vita sportiva hai vinto e perso solo perché l’avversario è più forte e basta. Niente, è più forte di noi, una teoria che la dice lunga sulla capacità umana di affrontare successi e insuccessi e che spiega anche il degrado politico e umano di una vita che trova sempre in quello che gli altri non fanno. Poi nel calcio arrivano gli islandesi, una vita a rincorrere e sempre allegri e noi a gridare al miracolo, di una vita senza eccessi. Siamo proprio strani.


giovedì 19 gennaio 2017

Ricordati chi sei e da dove vieni


La riconoscenza si sa fa fatica ad albergare  nei cuori delle persone. Se sei però un personaggio pubblico, meglio ancora uno sportivo che tanto ha avuto sia in termini di visibilità che di risultati (ovviamente ben pagati profumatamente) probabilmente dovresti soppesare bene parole e pensieri. Il riferimento è tutto per Andrea Pirlo, per una decina di stagioni indimenticato numero 21 in casa rossonera, campione del mondo con la casacca azzurra e poi odiato (sportivamente si intende) metronomo del centrocampo della squadra di Venaria. Da un paio di stagioni il suo buen ritiro è negli Stati Uniti, dove, bontà sua, può uscire con le ciabatte ai piedi (Seedorf lo faceva anche ai derby ahimè) cercando una tranquillità più esteriore che interiore. Mi hanno un po’ stupito le sue affermazioni di tifo alla Supercoppa in cui ha detto, senza mezzi termini, di aver fatto il suporter per una squadra piuttosto che per l’altra del suo recente passato. Forse a volte occorrerebbe una migliore attenzione per affermazioni e propositi, perché, se anche una società non ti ha trattato bene, e può capitare, diverso e differente l’impatto che hai per chi ha tifato per te quando indossavi colori che per i tifosi rappresentano vita e successo. Per chi magari per venirti a vedere con quella maglia ha sfidato trasferte lunghe e onerose, ha mangiato salamella in cartavetro e ha sfidato il gelo o il caldo di spalti di cemento. A loro si dovrebbe un po’ di riconoscenza e al di là dell’esultanza o meno quando segni una rete, pur bellissima, ricordarsi che loro in te hanno visto sempre un amico e un fidato compagno a cui dare sensazioni speranze e anche illusioni. Già illusioni di essere una bandiera.

Briganti la serie Netflix che si ispira alla storia del Brigantaggio meridionale

Pietro Fumel  Le fiction storiche da sempre mi attirano e su Netflix mi sono lasciato trascinare a guardare quella dedicata al brigantaggio ...