mercoledì 31 gennaio 2018

Quelli di Piazzale Loreto


Spesso quando si parla di Piazzale Loreto la memoria corre sempre all’esposizione dei cadaveri dei gerarchi fascisti alla fine della guerra, una sorta di orrore e di macelleria messicana come viene chiamata dai più, con i cadaveri presi a calci e sottoposti ad altre vessazioni. Crudeltà verrebbe da dire, sicuramente, ma siccome la storia ha un suo antefatto è meglio ricordare anche i trascorsi-Dal settembre 1943 come tutti sappiamo e con la liberazione di Mussolini dalla sua prigione del Gran Sasso di fatto l’Italia viene suddivisa in aree dal sud Liberato all’Italia Centrale teatro di guerra, al Nord con i partigiani che tennero in scacco le forze nazi-fasciste fino alla fine della guerra. Partigiani che furono fucilati a migliaia, imprigionati, seviziati in una lotta fratricida senza quartiere. L’8 agosto del 1944 a Milano in viale Abruzzi viene compiuto un attentato contro un camion tedesco in cui perdono la vita sei persone, nessun milite della RSI e tantomeno un tedesco. Scatta la rappresaglia (in questo caso ingiustificata perché nessun tedesco è rimasto coinvolto nel fatto) e vengono portati in piazzale Loreto 15 detenuti da San Vittore. Vengono fatti allineare al muro e fucilati alle sei di mattina dai militi della Ettore Muti. I cadaveri in questa afosa giornata di agosto saranno lasciati tutto il giorno sul marciapiede pubblicamente vilipesi e oltraggiati dai militi della stessa Muti e dalle ausiliarie della RSI. La gente viene fatta scendere dai mezzi pubblici e costretta, armi alla mano, ad assistere al macabro spettacolo. Una scena spaventosa che non sarà dimenticata dalla gente di Milano.

I fucilati cono giovani, in gran parte operai, qualcuno partigiano, anche un capitano degli alpini e sono uno spaccato della società che voleva rinascere.

 

  1. Gian Antonio Bravin commerciante, 36
  2. Giulio Casiraghi 45, tecnico della Marelli
  3. Renzo del Riccio 21, meccanico socialista
  4. Andrea Esposito 46, operaio
  5. Domenico Fiorani, 31 Perito industriale
  6. Umberto Fogagnolo 43 ingegnere della Marelli
  7. Tullio Galimberti 22 impiegato
  8. Vittorio Gasparini, 31 dottore e capitano degli alpini
  9. Emidio Mastrodomenico 22 agente di PS
  10. Angelo Poletti 32 operaio all’Isotta Fraschini
  11. Salvatore Principato 52, militante socialista perseguitato politico
  12. Andrea Ragni 23 partigiano
  13. Eraldo Soncini, 43 operaio alla Pirelli
  14. Libero Temolo 32, operaio alla Pirelli
  15. Vitale Vertemati 26 meccanico

martedì 30 gennaio 2018

Arbitri AVARiati


 

Nel marasma del calcio italiano alla prese con le elezioni per il rinnovo delle cariche presidenziali, uno dei punti più bassi del football italiano, ma potremo continuare a scavare. L’attenzione mediatica è tutta rivolta alla Var, tutti pronti a denigrare la tecnologia come foriera di chissà quale maleficio, pronta la telecamera a schierarsi a favore dei potenti di turno. Verrebbe da dire menomale che Silvio non c’è più altrimenti il Milan sarebbe la madre di tutti gli scandali. Ma non è questo il punto la tecnologia ha tolto dubbi sulle reti (altrimenti non avremmo pareggiato il derby con Zapata lo scorso anno e forse avremmo uno scudo in più con Muntari) e ha permesso alla terna o cinquina di avere uno strumento per togliere i dubbi. Pare fin troppo ovvio che gli errori, pur se in modo infinitesimale, possano sussistere e che questi siano determinati dal libero arbitrio arbitrale, ma almeno abbiamo ridotto i danni. Invece i soliti tifosi da tastiera sono pronti, e non potrebbe essere da meno, a scrivere e a scagliarsi contro la tecnologia perché la stessa è pilotabile.
Sembra di assistere allo scontro tra gli illuminati, di galileiana memoria, e l’oscuro potere dogmatico della Chiesa. Quasi che si voglia togliere il sale del calcio. A me francamente sembrano ridicoli per due aspetti e andiamo sul concreto, Cutrone voleva colpire la palla con la mano ?? la risposta è ovviamente negativa. Si poteva annullare? certamente Si ma dopo averla vista cento volte l’azione rimani sempre con il dubbio. Il tocco di mano di Koulibaly è volontario o involontario? non alzando la mano propendo per la prima ma certo tutto l’entourage dei sofisti juventini dirà l’esatto opposto. Quindi rimane la discussione che è poi quella che deve andare avanti per tutta la settimana, altrimenti che scrivi ??, o meglio ancora fino a fine stagione. Con il beneplacito consenso di chi, come il sottoscritto pensa che alla fine vinca sempre il migliore, anche se come direbbe Rocco, sperem de no



lunedì 22 gennaio 2018

Non lo guardo più ........ forse


Il Milan non lo guardo più questo il mantra che l’ex Presidente sta ripetendo come un amante delusa dopo aver abbandonato il club solo pochi mesi fa. Verrebbe da dire che probabilmente non lo guardava più da tempo, dall’ultimo scudetto di Allegri nel lontano, ormai 2011. Raggiunto l’apice nel 2007 il tetto del mondo, il club più titolato ha ritenuto chiusa questa esperienza. Comprensibile per carità dopo venti e più anni di successi più continentali che italici, ma aveva raggiunto un suo traguardo. Gli ultimi anni sono stati un canto del cigno tra ritorni di fiamma con alcuni personaggi Pippo, Seedorf su tutti e campionati anonimi. La vendita era scontata, è solo arrivata con qualche anno di ritardo. L’abdicazione nazionale era una sorta di abbandono anche della vita politica. Monti, Letta, Renzi e Gentiloni sono stati i governi che si sono succeduti con il grande assente. Ora che sente di tornare in sella e che i sondaggi gli danno ragione, eccolo pronto a tornare in campo, come un vecchio Carletto Mazzone qualsiasi, pronto a promettere impegni e attenzione, anche al Milan. Perché se dice che non lo guarda in effetti lo fa. Pronto a riprendersi la scena con gli schemi vincenti. A lui non piacciono gli operai alla Gattuso, da lì l’idiosincrasia per il giovane trainer, lui ama l’estro di classe, il finisseur, l’attaccante in grado di inventare qualcosa. Ero a San Siro a gennaio del 2008, l’esordio di Pato quando promise di risolvere il problema della monnezza a Napoli (5 a 1 per i ragazzi) e in realtà sotterrò i napoletani sotto una messe di reti. Quell’anno vinse le elezioni e andò al Governo, un’amministrazione deficitaria e che portò poi a Monti. Non vorrei che si ripetesse la scena, anche perché questa volta a capo del Governo potrebbe mettere Galliani

sabato 20 gennaio 2018

Se avanzo seguitemi ma .... se mi imbosco non cercatemi


Stavo pensando alla retorica che spesso il fascismo usava per pavoneggiarsi e per fare vedere i muscoli ostentando il classico clichè della forza bruta. Frasi ne abbiamo sentite a bizzeffe: se avanzo seguitemi se indietreggio uccidetemi (in effetti), oppure "meglio il pianto di una sconfitta che la vergogna di non aver mai lottato (sic.)" Insomma il carattere temuto e irriverito di una persona che si mette in discussione sempre e comunque e che lotta per le proprie idee. Facendo un leggerissimo passo indietro andiamo a scoprire chi era veramente Benito Mussolini noto interventista che anelava a una patria combattente per riprendersi Trento e Trieste. Animo nobile e gentile verrebbe da dire, ma, se poi, si scava a fondo l’umile bersagliere, che termina la guerra col grado di caporalmaggiore, Benito Mussolini, la prima linea l’ha vista poco.

Secondo il testo redatto dallo storico Franzinelli Mussolini si trovò impegnato in zone periferiche rispetto ai grandi attacchi e alla dura vita del soldato, anzi aveva tutto il tempo per raccogliere e serrare le sue filippiche e invettive a favore della guerra e del sacrificio dell’Italia. Infine venne ferito durante un’esercitazione il 23 febbraio 1917, un infortunio banale, ma che sfruttò ad arte, non solo esaltando il suo sprezzo del pericolo ma, come un imboscato qualsiasi, fece ben 18 mesi di convalescenza (la sua cartella venne falsificata ad arte per evitargli il ritorno sul campo, e quindi Caporetto e Vittorio Veneto furono vissute in panchina). Da li si esercitò e fece quello che gli veniva meglio, scrivere a profusione contro l’invasore tedesco. Più avanti i suoi diari vennero fatti sparire per il suo forte spirito antitedesco, come si dice la carità di patria e il nuovo alleato imponevano ben altri riti.

mercoledì 17 gennaio 2018

Cronache dalla Grande Guerra 4/1918 San Antoni dla Barba Bianca


Sono giorni ormai che il fronte sul Grappa è caldo, di notte i bagliori dell’artiglieria austriaca minacciosi sparano sulle nostre posizioni e i nostri artiglieri rispondono facendo un fuoco di sbarramento che realizza uno spettacolo inquietante a pochi chilometri di distanza. La sensazione è che gli austriaci vogliano chiuderla al più presto. Non è una sensazione ma anche una realtà, l’altra sera io e Beppe Rampani di guardia abbiamo catturato un disertore sulla riva del fiume, di origine polacca, era scheletrico affamato e si fatto catturare docilmente. Lo abbiamo portato nelle retrovie e mentre legato e scortato continuava a ripetere in continuazione grazie, chiedendo cibo. Noi da questo punto di vista siamo tranquilli il rancio anche se non è dei migliori non manca, lui invece mi ha impressionato. Tornato al campo nelle retrovie ho messo le mani su un vecchio giornale dove era riportato l’impegno del Presidente Americano Wilson i suoi punti per il futuro dell’Europa. Una lettura che mi ha rinfrancato, se gli Americani si impegnano a combattere, credo che vedremo presto la fine di questa guerra. E mentre tornavo indietro alla prima linea con Rampani mi è venuta in mente una vecchia filastrocca che mi raccontava mia madre Lucia “San Antoni dla barba bianca fam catar quel can manca” e in questo caso manca casa e la buona cucina, e così la ripetiamo più volte ad alta voce, come fosse una cantilena. Passiamo così il tempo ma il sorriso ci viene strozzato durante la nostra assenza gli austriaci hanno tentato un paio di volte di forzare il passaggio del fiume, qualche ferito tra di noi e qualche morto tra gli attaccanti, alcuni rantolano in lontananza, sarà una lunga notte d’attesa. Attaccheranno ancora?

Blood, toil, tears and sweat


Blood, toil, tears ad sweat (sangue fatica lacrime e sudore) queste le parole che Churchill nell’ora più buia della seconda guerra mondiale per gli inglesi pronunciò alla Nazione per serrare le fila. Non vuote promesse elettorali di paese come bengodi come sentiamo fare a quasi tutti gli schieramenti, non facili redditi senza fare nulla. Si dirà quello era un periodaccio dove la morte forse era il minore dei mali e la sopravvivenza era una lotta quotidiana. Ma quando hai un obiettivo e devi lottare per portarlo fino in fondo allora ti ci metti d’impegno e cerchi con tutte le tue forze diportarlo a compimento. Il sacrificio che emerge da queste parole, la volontà di scendere in campo e di faticare per uno scopo comune sono elementi che dovrebbero far capire come l’impegno comune di tutti debba andare in un'unica direzione, quella dell’impegno, perché così fa un un team, una squadra e una nazione. Purtroppo oggi assistiamo a una squallido tam tam di annuncio di facili promesse, di proposte sempre più pirotecniche pronti solo a prendere il consenso ma immediatamente dopo a dimenticare quello detto pronti a scaricare la colpa della mancata effettuazione a fantomatiche colpe di fantomatici denigratori. Verrebbe da dire purtroppo.

venerdì 12 gennaio 2018

2018 un anno di gusto in Piemonte e non solo



Su iniziativa congiunta interministeriale, il 2018 sarà l’anno del cibo italiano, proseguendo una progettualità già avviata per la promozione e il rilancio culturale del nostro Paese attraverso il Food. Il 2016 è stato l’anno dei Cammini e il 2017 quello dei Borghi. Per l’anno nuovo, invece, l’Italia mette al centro la sua cultura enogastronomica. “Siamo quello che mangiamo. Per questo il cibo è prima di tutto patrimonio culturale di un popolo” ha dichiarato il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali in occasione del lancio del 2018 anno nazionale del cibo italiano.

Si tratta di un’iniziativa interministeriale tra i Ministeri delle politiche agricole alimentari e forestali e dei beni culturali e del turismo che prevede manifestazioni ed eventi legati alla tradizione del cibo italiano per i prossimi 12 mesi. La tradizione gastronomica italiana fosse una delle componenti più fortemente identitarie della nostra cultura. Non solo un cibo buono, amato e invidiato in tutto il mondo, ma un patrimonio di saperi, tradizioni locali ed eccellenze alimentari.  Proprio le eccellenze alimentari nostrane saranno al centro di molte iniziative dell’anno nazionale del cibo italiano. In particolare, “si punterà sulla valorizzazione dei riconoscimenti Unesco legati al cibo come la Dieta Mediterranea, la vite ad alberello di Pantelleria, i paesaggi della Langhe Roero e Monferrato, Parma città creativa della gastronomia e all’Arte del pizzaiuolo napoletano iscritta di recente”. Naturalmente non mancheranno anche azioni a sostegno delle candidature già avviate, per il Prosecco e per l’Amatriciana, che il Ministro Martina aveva annunciato essere un obiettivo del 2018 in occasione della cerimonia inaugurale dell’area food di Amatrice, a fine luglio 2017.
In Piemonte ci sarà il Bocuse d’or, la Biteg, il Museo diffuso del tartufo, la festa della Pasticceria e tante altre lecornie da gustare (insieme all’edizione di Slow Food) tutte sotto la sapiente regia della Regione
 

 





martedì 9 gennaio 2018

Cronache dalla Grande Guerra 3/1918. Quella volta sul Monte Nero ........


 

Sono giorni pesanti, quasi fastidiosi, vissuti a metà tra la pioggia che scende copiosa mista a neve sulle nostre teste, tu ritto nei tuoi ricoveri con una umidità che ti penetra fin dentro le ossa, in attesa di un attacco, di un colpo di mortaio, di un tiro di un cecchino, di uno shrapnel, pronto a buttarti nel fango nella speranza, com’è successo migliaia di volte in questi mesi, di essere graziato. E il tempo che non passa il grande signore e maestro di queste giornate. L’altro giorno sono tornato al comando a prendere gli ordini per la compagnia, queste sono le cosiddette prebende che il grado di sergente mi consente e ho parlato, si fa per dire, con qualche commilitone inglese. A parte il fatto che le mie domande erano più tese a sapere dei loro alloggiamenti nel mantovano tra Ostiglia e Sermide, ma pare non siano passati da Carbonara. Loro raccontavano del saliente di Ypres, un posto in cui la pioggia battente cade 300 giorni all’anno, in cui non ti muovi dalle tue posizioni anche se vuol dire star sdraiato nel fango per ore.
Mi verrebbe da chiedere se i nostri ufficiali siano a conoscenza delle nostre condizioni, ma i comandi Son fatti così; inesperienza e rigore dosati in ugual misura e capacità di prendere gli spazi che competono a noi soldati, lasciando agli umili sottoposti le briciole, al massimo una pacca sulla spalla e una tazza di grappa. Come quella volta sul Monte Nero quando, con due colleghi, un toscano e un emiliano, di pattuglia ci siamo trovati nella terra di nessuno, avvicinatisi a una grotta abbiamo sentito parlare un idioma che sembrava bergamasco. ma molto più stretto. Tornare indietro voleva dire farsi scoprire e così abbiamo buttato due bombe a mano all’apertura, dopo dieci secondi di silenzio, una voce gracchiante in italiano stentato diceva. “buono italiano non sparare”, sono usciti dalla grotta in settanta, ammonticchiando le loro armi: fucili, pugnali e qualche bomba a mano in un cumulo che poi abbiamo fatto brillare. Tornati indietro siamo stati persino rampognati dal tenente che non sapeva cosa fare di tutti quei prigionieri e io e gli altri due a guardarci in faccia a chiederci se avevamo fatto bene o meno.
Mesi più tardi per quell’azione il tenente si è beccato una medaglia, e noi una promozione sul campo per meriti di guerra, ma boia mondo l’azione l’avevamo fatta noi. Sempre pronti i comandi a prendersi la gloria e noi militi di truppa a marciare e ad andare avanti, almeno quella volta non abbiamo avuto perdite e nemmeno gli austriaci, ecco in quel caso ci è andata bene erano austriaci e ungheresi, fossero stati sloveni o croati ci avrebbero sopraffatti. E intanto che ricordo i momenti passati tengo l’occhio vigile sull’orizzonte, scruto le rive del Piave dalla parte opposta nell’attesa di un segnale e di un movimento, al momento ci logorano nell’attesa. Abbiamo pagato dazio due mesi fa e la paura di una nuova ritirata non ci ha ancora lasciato.
I bagliori della notte son sempre a nord, ma la sensazione e che prima o poi si scatenerà l’inferno anche qui

giovedì 4 gennaio 2018

Cronache dalla Grande Guerra 2/1918 La domenica del Corriere


Detto fatto e nella notte la pioggia fine è diventata nevischio e poi neve ghiacciata, la gestione dei turni di guardia, da cambiare ogni due ore mi ha fatto alzare alle tre, il buio e il silenzio che si stempera di fronte a noi è squarciato dal rombo di qualche aereo che sentiamo volare al di sopra delle nostre teste, pronto per andare a bombardare le nostre retrovie. Sembra, da voci di trincea, che abbiamo bombardato ospedali dov’erano ricoverati i nostri feriti. Decine le vittime, questa guerra assume sempre più i contorni della follia. Lo era prima e continua ora.

Mi viene in mente quando con mio padre Olindo guardavamo le pagine della Domenica del Corriere. Le illustrazioni di Achille Beltrame erano cariche di promesse e invitavano ad aderire a sogni e progetti e devo dire che anche noi contadini, sempre restii a credere a promesse e sogni, leggere e guardare quelle pagine stimolava la fantasia e quasi ti invitava ad aderire.

Ieri sono arrivati i primi rimpiazzi, quella che chiamano la classe del 99, giovanissimi, privi di esperienza e di malizia, ma anche sprovveduti. Io che di anni ne ho solo due più di loro sembro il loro padre, l’esperienza purtroppo ti fa crescere. Due ne sono stati freddati dai cecchini, non si fuma di notte, il bagliore della sigaretta attira il fuoco nemico e mai come in questo periodo i crucchi hanno voglia del nostro sangue, vogliono concludere la guerra e la vogliono finire al più presto.

Intanto in lontananza i bagliori sul Grappa hanno l’effetto di ravvivare l’attesa e di distrarre la truppa. Un altro giorno conquistato.

mercoledì 3 gennaio 2018

Il Barbiere di Siviglia

Una vecchia regola del mondo di lavoro e, anche un certo bon ton, impone che quando finisci un rapporto di lavoro, anche se hai avuto divergenze, lasci con il sorriso sulle labbra ed eviti accuratamente alla prima occasione di sputare veleno contro la vecchia società. Certo anche in presenza di divergenze insanabili e se devi commentare glissi. Immaginarsi un mondo pedatorio privo di veleni è però abbastanza anacronistico e quindi improbabile, ma la velocità con cui l’areoplanino nazionale si è avventato con il veleno contro la vecchia società è quantomeno discutibile, anche perché qui non stiamo parlando di un giocatore poco considerato che ha fatto panchina, ma chi ha costruito quella che doveva essere una gioiosa macchina da guerra e invece alla fine si è dimostrata una ciofeca inenarrabile. Affermare che il Siviglia abbia avuto più cammino europeo del Milan negli ultimi cinque anni non è solo statistico ma ineluttabile, non consideriamo poi che uno dei migliori attaccanti che aveva il Siviglia è venuto a San Siro e non è stato ampiamento valorizzato da Montella al Milan (stiamo parlando di Bacca). Insomma come recita il vecchio adagio il bel tacer non fu mai scritto. Certo ora il Siviglia è in Champions e noi miserrimi siamo in Europa contro il ludogorets, però i conti si fanno alla fine e quindi, come direbbe il vecchio Mou, se alla fine dell’anno nessuno porta a casa un trofeo saremo tutte e due senza tituli, metti che invece si vinca la Coppa Italia, ma tranquilli non succede, allora rideremo noi.

Cronache dalla Grande Guerra. Sul Piave 1/1918


Mi chiamo Giuseppe Menghini Odone classe 1897, sono il primo di sei fratelli, figlio di Olindo e di Lucia Chiavelli e sono qui sul Piave, 66 divisione di fanteria, II armata. Questo per me è il terzo anno di guerra, dopo settimane di ripiegamento, di corse, di agguati ci siamo fermati sulla sponda del fiume. Tutti guardano al Piave con paura, il timore del nemico, le acque limacciose e traditrici del corso d’acqua mettono apprensione ai miei compagni, ma io che sono nato sul fiume, in una golena, a Carbonara Po, non ho paura, conosco l’acqua, questo aspetto mi tranquillizza mi sembra di essere a casa. Il grande fiume è il mio ambiente, l’acqua è risorsa e per noi che lavoriamo la terra sappiamo come utilizzarla al meglio.

Gli austriaci, già ma perché chiamarli austriaci, in realtà sono slavi, alcuni della peggiore specie, specialmente i croati, sanguinari e briganti al tempo stesso. Circolano brutte storie sui territori occupati, alcune magari frutto della propaganda, altre sicuramente veritiere, questo crea uno spirito di corpo, in fin dei conti stiamo lottando per noi.

La casa dei miei vecchi dista poche decine di chilometri, mi sembra quasi di sentire il profumo degli agnolotti che mamma Lucia preparava alla domenica di Natale e che adesso mi mancano terribilmente. Qui, se va bene, ti arriva un pezzo di pane ammuffito e una brodaglia che dovrebbe cibarti, certo meglio di quando eravamo vicini al Monte Nero, dove spesso mancavano i rifornimenti. Per tutta la notte è andato avanti un cannoneggiamento da parte del nemico soprattutto verso Il Monte Grappa, ma non è stato così intenso come in passato. Alcuni reparti di arditi, per me son dei matti, anche se coraggiosi, hanno ripulito la parte del fiume tenuta dalle nostre compagnie e i crucchi hanno perso la testa di ponte a Zenson.

Forse ora il fronte reggerà, ho perso tanti amici con cui avevo condiviso i primi anni di guerra in questa ritirata, la domanda legittima è riusciremo a farcela? Sono stanco e ho nostalgia della campagna, di quando la sera ci si riuniva nella stalla e si raccontavano storie e pettegolezzi di paese, di quando ti svegliavi alle quattro per andare a lavorare, ecco non pensavo l’avrei mai detto. Mi porto dietro un vissuto di venti mesi terribili, di assalti, di difese, di proiettili che ti sibilano attorno e per un puro caso colpiscono il tuo vicino con cui hai riso e scherzato fino a pochi secondi prima, ho conquistato i galloni di sergente sul campo per puro caso, credo sia una sorta di premio alla decimazione cui sono andato incontro.

Torneremo mai a casa ? La tentazione di mollare c’è, ma poi tornano alla mente i ricordi di nonno Natale quando eravamo sotto le giacche bianche austriache, meno di cinquant’anni prima, le vessazioni, le gabelle, le imposizioni, il militare in Galizia e allora tieni duro, sperando in un domani migliore anche se il cielo promette neve e freddo in quantità.

Un ultima partita perfetta, l'Orange si congeda tra gli applausi convinti del pubblico

  La partita perfetta non esiste di solito, ma quella disputata al Palabrumar, oggi, per l’Orange Futsal ha tutti i crismi per diventarla. U...