mercoledì 11 marzo 2020

we shall back


11 marzo di 78 anni fa all’apogeo dell’espansione giapponese c’era un a una penisola che stava resistendo al pericolo giallo, ma l’assenza di rifornimenti, di munizioni e di riserve costringe gli americani e i loro alleati filippini alla resa. A Corregidor nella penisola di Bataan fu fatto uscire, anche controvoglia il generale Douglas Mac Arthur, che prima di andarsene costernato di non poter rimanere a condividere la sorte degli uomini che aveva comandato pronunciò la storica frase “we shall back”. E mantenne la promessa anche a scapito della tattica militare che prevedeva il cosiddetto salto della rana (si trattava di tagliare i rifornimenti di tutte le isole del Pacifico senza attaccarle tutte ma attaccando una in profondità lasciandosi alle spalle truppe nemiche che sarebbero state poi costrette alla resa sui restanti isolotti, per scarsità di rifornimenti) per cui nell’ottobre del 1944 con una flotta immensa sbaragliò i giapponesi a Leyte e tornò da trionfatore nell’arcipelago filippino. Una promessa era una promessa a maggior ragione nel momento estremo in cui era stata pronunciata, quando non si intravedevano spazi di luce e di rivalsa. Sono i gesti che fanno gli uomini e ne costruiscono il mito, Mac Arthur, come Churchill, come Patton e, se guardiamo al fronte opposto come Rommel, danno la dimensione del proprio carisma affrontando il pericolo e la difficoltà ritti sulle loro convinzioni e sui propri principi. Con il loro esempio nulla è precluso e rimane la speranza; e allora parafrasando il periodo attuale e tutte le sue difficoltà vale la pena di gridare ad alta voce “we shall back” ne siamo sicuri

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