martedì 17 marzo 2020

Tua Madre è morta / il bar e il jukebox #CollegioDalPozzo



Nell’asettico Collegio il bar era il punto di ritrovo di molti di noi, un passaggio obbligato, e non solo per l’acquisto di derrate, stuzzichini e bibite, ma anche per ritrovarsi e per fare gruppo. Era la santabarbara in cui distrarsi, il primo luogo che vedevi la mattina, l’ultimo in cui ti distraevi prima di andare in camera dopo cena. Era posizionato sul fondo del lungo corridoio alla fine di tutte le aule didattiche in cui si suddivideva il collegio, confinava proprio con la settima, la madre di tutte le aule, quella usata per i buchi d’ora e gli esami a fine corso, quella del tutti dentro appassionatamente.
 Posizionato sotto gli armadietti luogo in cui ogni convittore disponeva di uno spazio in cui depositare i propri libri e tribunale punitivo quando venivi convocato dai “vecchi”. Quando questo avveniva salivi quelle scale con il groppo in gola e con i sudori freddi che percorrevano la tua schiena, in attesa dell’estremo giudizio, quasi mai benevolo. Sotto la scala un portone in ferro chiuso, e di cui pochi avevano le chiavi, si apriva alle sette di mattina, il suono di una macchinetta ciclico faceva presagire la concessione della colazione (te o cioccolata a seconda dei gusti). Il nostro precettore, dopo averci svegliato con metodi spicci, guai a dormire a pancia in su, si rischiavano le gonadi, ci attendeva, pronto a salutarci ad uno a uno in un intercalare unico e monotono per muoverci e stimolarci alla giornata
Ma svegliarsi alla prima campanella non era mai facile, alle sette e venti suonava per la seconda e ultima volta la scellerata sirena e toccava fare tutto di fretta, l’acqua freddissima che bagnava la faccia suggeriva ai ritardatari della camerata una corsa veloce, perché i tempi, anche per la colazione, così come le brioche, erano contati e a meno venti, quando suonava la campanella per l’ultima volta prima della scuola, non c’era più spazio per i ritardatari.
Le derrate erano sempre quelle, ma i convittori non protestavano mai, era una piacevole routine. Dopodiché spazio allo studio il bar riapriva solo dopo pranzo, alle due, ed era l’occasione per bivaccare, leggere giornali sfatti, cazzeggi vari sulle improbabili panche, l’immancabile flipper e poi il jukebox (che ne sanno i 2000) canzoni vecchie e ripetute all’infinito, ma una su tutte la più gettonata, quella dei Tears for Fears, Mad World, quando si dice il destino cinico e beffardo. Un florilegio di musica dura e al tempo stesso coinvolgente Rolling Stones, Iron Maiden e tante altre canzoni icone della nostra frustrazione e della prigionia. Rimaneva la bellezza del mezzo che ci riconciliava con il modo esterno e ci dava una parvenza di tranquillità. Ogni tanto qualcuno tentava qualche confidenziale musica italiana ma veniva cazziato e sbeffeggiato in malo modo, rischiando pesanti sanzioni. L’arredamento del luogo era minimalista, lunghe panche in legno flipper, jukebox,  tavolini e l’immancabile bancone, una sorta di confine che però non era precluso a tutti.
Ma il clou del bar era dopo cena, un vero e proprio ricettacolo (una sorta di bar di guerre stellari ante litteram) di incontri, di giochi e di cazzeggi della durata di un’oretta, l’ultima ora d’aria prima del ritorno alle camere, poi chi voleva rimaneva a studio, chi invece non se la sentiva di stare chino sui libri tornava in camera.
Una volta complice anche la rottura di un vetro piccolo, sopra la porta ai “vecchi” venne in mente di trovare una cavia, ovviamente un nuovo convittore, che andasse a recuperare le provviste li depositate, l’esperimento ebbe luogo e naturalmente i committenti beneficiarono di questa inattesa fortuna, ma fu più il gioco e la bravata che non il cospicuo bottino, ovviamente tutti sapevano ma nessuno disse nulla, erano i cosiddetti segreti e storie da raccontare epopea di un mito, quello del Collegio.
E allora torna ancora in mente anche un ‘altra delle hit single del periodo che echeggiava dal juke box Peter Shilling Major Tom Vollig Logsgelost : “nothing left to chance -  all is working - trying to relax -up in the capsule (niente è lasciato al caso, tutto funziona, cerca di rilassarti sei in una capsula). One, two three, four ….. eh Già.

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