mercoledì 11 marzo 2020

Sempre la solita storia non si impara mai


Siamo in tempi di coronavirus questa è l’attualità che ci compete ma in passato anche quello meno recente il Piemonte è stato teatro di altre epidemie. Logico chiedersi e verificare come la nostra gente abbia reagito e quello che è successo nel nostro territorio. La storia ci racconta agli inizi degli anni Trenta del 1800 di un’epidemia di colera che, parte da Marsiglia giunge nel territorio del regno di Sardegna, e si registrano diversi contagi soprattutto nel Cuneese a Torino a Genova e poi a macchia d’olio in tutta Italia. Centinaia i morti accertati e migliaia le persone infettate per una malattia che compare nella storia italiana per altre sei volte in tutto il Risorgimento. Il colera si sviluppa in Asia e più precisamente in India nel 1817 e dopo un lungo viaggio arriva in Europa nel 1830. All’epoca gli scambi avvenivano attraverso i mari e proprio sulle rotte del commercio era più facile che le malattie venissero trasmesse. Le autorità dell’epoca istituirono dei cordini sanitari marittimi e stabilirono anche un giorno di quarantena per le imbarcazioni che provenivano da paesi sospetti.

Avuto sentore della malattia che stava rapidamente prendendo corso alcuni stati italiani, tra cui il Granducato di Toscana, mandarono all’estero i propri medici per studiare la malattia il decorso e per stabilire le misure da prendere. Quando l’epidemia scoppiò nella vicina Francia Carlo Aberto di Savoia ordinò alle truppe di stendere un cordone sanitario tra Sanremo e Ventimiglia e da Cuneo e Nizza. Nel dispositivo di legge si stabiliva che veniva punito con la morte chi violava i cordoni sanitari terrestri e marittimi Nel luglio del 1835 quando il colera era ormai al confine quasi tutti gli Stati, soprattutto quelli al nord, riorganizzarono il sistema di lazzaretti consapevoli che le misure adottate non sarebbero riuscite a risparmiare l'Italia dal colera.
 
Ma l’Italia all’epoca era un coacervo di Stati che mise in difficoltà l’applicazione dei cordoni. La chiusura portò in rovina tutte quelle famiglie che si reggevano su lavori agricoli stagionali che comportavano lunghi spostamenti, o sui commerci di derrate trasportate dalle aree di produzione ai mercati di consumo e alle fiere. Per superare i cordoni marittimi le navi dovevano arrestarsi a distanza di sicurezza dal litorale, il responsabile dell'imbarcazione con una scialuppa si avvicinava alla costa per esibire la patente sanitaria.
 
Ma tutte queste precauzioni furono inutili perché o per motivi pecuniari o altro diverse persone boicottarono i cordoni e la malattia avanzò portando morte e disastri in tutta Italia Una lezione che anche oggi non abbiamo ancora imparato

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