mercoledì 11 dicembre 2019

Qui Vincit non est Victor nisi Victus fatetur


Devo proprio essere un matusa io ho sempre pensato che Vae Victis fosse l’allocuzione latina che si rifà alla storia della prima discesa a Roma dei Galli capitanati da Brenno che saccheggiarono la Città eterna, dopo la vittoriosa, per i celti, battaglia di Allia nel 390 a.c. e pretesero e imposero un pagamento in oro consistente che solo l’ardire di Furio Camillo (pare leggenda) riuscì a contrastare. Ebbene da ieri ho scoperto che è il nome dato a una discoteca all’inizio degli anni 90 a un famoso videogioco e a un parastinchi. E ovviamente si è subito scatenata una polemica simil storica pronti a dare patenti di adesione a una fazione piuttosto che a un’altra. Sorrido pensando a un campione dell’arte pedatoria che ha bisogno di uno stimolo latino per ringhiare sulle caviglie avversarie, forse paragonandosi a un legionario romano pronto a non voltare mai le spalle al nemico. Eppure la storia che inneggia a esempi di grande ardimento spesso e volentieri racconta di catastrofi militari, di fughe impietose, di ritirate strategiche e di massacri epocali (Canne, Teutoburgo, Carre solo per ricordarne alcuni di famosi). L’iscrizione è vero serviva per infondere coraggio, poi però dovevi scendere sul campo e fare di necessità virtù. Di Leonida, tanto per citare un altro esempio, questo spartano, vissuto un secolo prima di Brenno, non ne sono esistiti molti. Forse varrebbe la pena di insegnare ai viziati giocatori di football che la vita del legionario era dura, anni lontani da casa, lunghi periodi oziosi a centinaia di chilometri, una vita passata a costruire e a disfare accampamenti quando in marcia, a spendere la diaria alla ricerca di compagnia femminile in luoghi lontani e come unico pensiero il ritorno a casa dopo anni a fare la vita contadina e a mettere su famiglia. Niente di così eroico, e, se si combatteva, era meglio non essere feriti, o la morte oppure rimanere illesi, le ferite, se non curate portavano comunque alla dipartita e a un gita senza ritorno nei Campi Elisi. Quindi meglio evitare i detti latini o se proprio ne devo citare uno mi piace quello che avevano gli opliti, i fanti della prima linea, sul loro scudo (qui vincit non est victor nisi victus fatetur – chi vince non si può considerare tale se il vinto non lo riconosce), certo però che in quel caso hai voglia a metterti un parastinco con quella scritta – non ci stà

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