martedì 31 dicembre 2019

che il 2020 sia meglio del 1920



Un decennio quello trascorso che non ha fatto il paio con quello di un secolo prima tramortito dalla Prima Guerra Mondiale e da centinaia di migliaia di giovani vite spezzate. E’ stato un decennio tecnologico, con enormi progressi dal punto di vista della qualità della vita ma questo invece di qualificare la meglio l’umanità ha fatto fare alle stessa una regressione in cui spuntano egoismi e velleità di bandiera. Stranamente sono scomparsi o per lo meno in ruoli marginali se non secondari le Nazioni Unite (nate sotto la spinta della seconda guerra mondiale) le stesse nazioni che andarono in guerra nel 1950 contro la Corea oggi non ne sentiamo più parlare sepolte sotto il potere delle singole nazioni. E si che ci sarebbe bisogno per risolvere fior di problemi invece ognuno si rinchiude a guscio e questo è un pericolo estremo proprio per quello che potrà essere il futuro. Gli anni venti del 900 segnarono proprio la crescita di politiche protezionistiche e di egoismi nazionale (fiume e il fascismo in Italia) ma non mancano altri esempi in tutta Europa. Il guaio è che possa ripetersi, pur se con dinamiche diverse anche nel prossimo ventennio sarebbe decisamente un peccato. Il 1920 lo ricorderei per due episodi il primo la nascita del proibizionismo negli Stati Uniti la seconda per la nascita di un grande maestro di giornalismo Enzo Biagi. Chissà cosa succederà il prossimo anno

venerdì 27 dicembre 2019

Il Milanese che divenne imperatore pagando 25.000 sesterzi



Se in passato avevamo parlato di Pertinace come il piemontese di Alba che cercò di combattere la corruzione a Roma alla morte dell’imperatore Commodo ma non riuscì nell’intento e ci lasciò la pelle. Agli onori della cronaca, ultimamente, è balzato l’imperatore Didio Giuliano che comprò la carica per 25.000 sesterzi e rimase in sella anche lui per soli tre mesi. Se il II secolo dopo Cristo era stato agli albori quello della massima espansione di Roma, l’opulenza e la forza di quel periodo crollò miseramente alla morte di uno dei suoi imperatori più riconosciuti il filosofo Marco Aurelio. La corruzione e il ladrocinio regnavano sovrane, si faceva strada comprando cariche onorifiche, che però era un must di Roma, all’epoca chi governava lo faceva perché o era di famiglia di censo, e si comprava il cursus, oppure attraverso il bottino di guerra. E non fu da meno anche il successore che creò la dinastia dei Severi e che non esitò a sbarazzarsi di senatori a lui ostili, ammazzandoli e mettendone di più fedeli alla propria linea. Insomma denaro corruzione e politica la facevano da padroni nella più profonda era imperiale di Roma

IZ coming



Lo ammetto ingenera entusiasmo l’arrivo di un giocatore che forse dal punto di vista sportivo non ha più molto da dare all’alba dei suoi 38 anni. Ma di sicuro è un personaggio, un icona e se vogliamo anche un leader, proprio per il suo modo buffo di porsi a volte iconico altre volte istrionico. Slatan nel tempo è diventato così più un’icona che non un vero sportivo in grado di far cambiare e svoltare il corso di una stagione. Quelloc he serve allo spogliatoio della squadra non è un campione ma un motivatore e nello sport di oggi serve qualcuno, quando non è l’allenatore, in grado di dare ritmo e motivazioni. Per assurdo è il modello Mourinho che spesso ha funzionato, tutti pronti a parlare di lui e a lasciare in pace la squadra (il triplete all’inter ne è stato il suo capolavoro, una squadra normale ma che ha beneficiato di un leader, e a volte questo serve per svoltare). La qualità della squadra non è malaccio (hernandez paquetà piatek romagnoli ecc sono ottimi giocatori) a volte basta veramente un po’ di autostima in più e credere nel proprio io. Il Milan di Zaccheroni non era certo una squadra incredibile eppure vinse uno scudetto nella normalità a aggredendo la storia e gli avversari, lo stesso può fare questa squadra e così facendo magari costruendo un gruppo che possa tornare a essere protagonista.

Ultima lettera dal fronte .... a Vescenkaja 16 dicembre 1942


Ciao Papà
Sono da poco passate le otto di sera del 16 dicembre 1942 qui a Vescenkaja fa un freddo cane, un buio spettrale che non promette niente di buono, il termometro ieri è arrivato a meno 15, il fiume è ghiacciato e ogni sera i bagliori che vediamo all’orizzonte in direzione di Stalingrado sono sempre più forti, chissà cosa sta accadendo là. Qualche giorno fa abbiamo visto un’autoblindo carica di mitragliatrici MG42 con moltissime munizioni a bordo e alcuni soldati tedeschi che avevano una faccia che non lasciava trasalire emozioni, Quasi rassegnati al corso della guerra. Dicono che in quella città si stia combattendo casa per casa, una guerra dura, sporca, senza quartiere, senza domani. Qui invece in confronto sembra tutto molto più calmo, ma da quello che sentivamo presto toccherà anche noi. I rumeni che stanno più sotto, così dicono alcuni commilitoni, hanno preso alcuni prigionieri che dicono che l’attacco russo sia imminente. Io ho paura, sono a più di mille chilometri da casa, riusciremo a reggere ? perché ho accettato questo incarico ? certo in tempi di magra, uno stipendio, da soldato, va bene. Ma mi manca la Belaria, mi manca la campagna, penso ai figli di Beppe, Ester e il piccolo Adriano, con quegli occhietti vispi e curiosi, penso alle mie sorelle, a tutti voi che vi ho lasciato a Ponderano e mi chiedo se rivedrò ancora il Ciucarun. Le sensazioni e le speranze ci sono ma qui siamo in mezzo al nulla, alla neve, al gelo in una terra ostile, con un abbigliamento militare che lasciamo perdere, fare la guardia vuol dire rischiare di perdere le dita per il gelo. Scrivo questa lettera con le mie sensazioni, ben sapendo che potrei incorrere nella censura ma cosa siamo venuti a fare qua……..

Questa mi immagino sia l’ultimo scritto dal fronte di mio zio, una lettera pensata e mai scritta, o forse scritta e andata perduta in quel caos che fu la ritirata. Lui faceva parte del 54 reggimento Umbria (artiglieri) della divisione Sforzesca che costituiva insieme al 53 fanteria, che partì da Biella il 22 giugno 1942, una delle sette divisioni che costituiva l’Armir. Ricordi e testimonianze dicono che forse saltò in aria il 20 dicembre 1942 a seguito di un bombardamento nei pressi della stazione ferroviaria. Mi auguro che sia stato così una morte, pur se orribile, immediata e che non abbia dovuto patire la ritirata, la prigionia e stenti di una follia che fu la seconda guerra mondiale. Quest’anno ricorre il centenario della tua nascita, un atto doveroso ricordarti e se le tue spoglie mortali sono rimaste nella steppa russa, il tuo ricordo vive in mezzo a noi che ne siamo i tuoi eredi.

giovedì 26 dicembre 2019

Torino dicembre 1922


La Marcia su Roma per la conquista del potere assoluto in Italia da parte del partito fascista si è svolta il 28 ottobre, ma in quei mesi del 1922 la tensione era alle stelle e gli scontri non mancavano tra chi si riconosceva nel partito di Benito Mussolini e tra gli oppositori di sinistra e non solo. C’era una certa libertà nella gestione e possesso di armi in quel periodo, la guerra era terminata da un paio di anni ma molti avevano in tasca pistole e coltelli. La sera del 17 dicembre in un agguato contro un militante comunista, Francesco Prato, tre militanti del partito fascista gli sparano alle gambe, Prato risponde e uccide due dei suoi tre assalitori. L’occasione diventa propizia per le squadracce di Pietro Brandimarte, federale, che già all’indomani del fatto occupa con una cinquantina di fedelissimi la Camera del Lavoro di Torino, mettendola a soqquadro e picchiando selvaggiamente il deputato socialista Pagella e il segretario della Federazione Pietro Ferrero, ma questo è solo l’antipasto della repressione. Da Roma arrivano ordini perentori la punizione deve essere esemplare e così inizia il massacro con la connivenza delle autorità di pubblica sicurezza. Il primo a cadere sotto i colpi di pistola e di fucile è il segretario del sindacato Ferrovieri, Carlo Berruti, cui seguono Ernesto Mazzola, sindacalista, l’oste Leone Mazzola e l’operaio Giovanni Massaro. Nella serata del 18 il fattorino Matteo Chiolero, di ispirazione comunista, viene freddato sulla porta di casa sotto gli occhi di moglie e figlia. Anche Andrea Chiomo viene prelevato da sette discepoli di Brandimarte picchiato e portato in strada dove una fucilata alla schiena pone fine alla sua esistenza. Pietro Ferrero che ha già subito un pestaggio alla mattina viene nuovamente pestato a sangue e poi il suo corpo, legato con una corda a un camion viene trascinato per centinaia di metri sull’asfalto. Le ultime due vittime sono Emilio Andreoni, operaio 24 enne trascinato fuori casa e ucciso in campagna fuori Torino, mentre Matteo Tarizzo 34 anni viene prelevato dal proprio letto portato fuori dalla sua abitazione e ucciso a bastonate. La mattanza continua per tre giorni e alla fine sono decine le persone con militanza politica o sindacale a incorrere nella furia squadrista. Brandimarte ha agito su ordine diretto di Benito Mussolini che voleva in qualche modo punire Torino per il suo moto anti regime. Brandimarte stesso alcuni anni dopo dichiarò che nel corso di quell’azione i nominativi a disposizione delle sue squadre erano di 3000 persone da cui furono scelte 24 che incorserò nella ferocia dei commandos di Brandimarte. Una chiara dimostrazione che con l’avvento del nuovo governo non erano tollerate più forme di dissenso. Torino pagò quindi un caro prezzo alla libertà e non a caso sarà la prima città del Nord a ribellarsi dopo molti anni alla dittatura del regime fascista

martedì 24 dicembre 2019

Rattazzi l'Alessandrino che introdusse la moneta unica


Tra i tanti Presidenti del Consiglio piemontesi vale la pena di citarne uno, di origine alessandrina, che di fatto fece un passaggio di transizione tra il neo stato italiano di ispirazione cavouriana e la sua dimensione moderna. Stiamo parlando di Urbano Rattazzi, che fu a capo del Governo per due stagioni quella del 1862 e successivamente cinque anni più tardi nel 1867. Quella era un Italia turbolenta che non si era ancora placata di tutti i rigurgiti nazionalisti che avevano portato alla sua Costituzione, tutta improntata a trasformare lo stato da Sabaudo a Unitario. E se la parte geopolitica era quasi completata occorreva dedicarsi ad altri aspetti, quella più curiosa fu l’unificazione monetaria proprio a lui, a Rattazzi si deve l’introduzione della lira il 24 agosto 1862, che, di fatto, sanciva la moneta unica per tutto il suolo italiano sopprimendo tutte le monete degli altri stati pre unitari, sotto il consiglio del biellese Quintino Sella vennero poi unificati i sistemi tributari e monetari verso quel pareggio di bilancio, fiore all’occhiello di Sella che poi giungerà qualche anno più tardi insieme all’odiata tassa sul macinato. 

Ma uno stato così giovane con diversi problemi di rappresentanza esterna era un ghiotto boccone per le crisi di governo e le irrisolte questioni, venete e romana erano una brutta spina nel fianco assolutamente troppo gravosa. Garibaldi ancorchè bravo generale e tattico era un pericoloso ingombro, un primo tentativo di liberare il trentino con l’arresto di un gruppo di cospiratori portò a una sommossa con alcuni morti tra la folla che contestava gli arresti, ma l’episodio che ne decretò la fine del suo dicastero fu lo scontro e il successivo ferimento di Garibaldi sull’Aspromonte bloccato dall’esercito italiano/sabaudo per impedire una dura presa di posizione della Francia contro l’Italia. Farini e Ricasoli ne furono i successori ma Rattazzi tornò nel 1867 ma anche questa volta inciampo nella questione romana non prima però di di aver varato una legge che sopprimeva tutti gli ordini religiosi presenti nel Regno, ritenuti superflui alla vita religiosa del paese mentre gli enti ecclesiastici rimasti (seminari, diocesi, parrocchie e tutta una serie di altri fabbricati) fu imposto un aggravio fiscale del 30 %. Ma l’ombra di Garibaldi si stagliava all’orizzonte, i buoni risultati ottenuti in Trentino l’anno prima convinsero il generale a ritentare l’impresa romana ma anche questa volta i francesi ebbero la meglio e Mentana, il luogo in cui venne combattuta la battaglia sancì la fine dell’avventura dell’eroe dei due mondi e anche dello stesso rattazzi che non era riuscito a fermare il generale. Il 27 ottobre 1867 nuove dimissioni consegnate a Vittorio Emanuele. Di qui inizia l’oblio di Rattazzi che pur continuando a svolgere la carica di deputati di fatto non riveste più ruoli di primo piano. Il 5 giugno 1873 muore per un cancro al fegato

We'll Come back



Uscendo dallo stadio dopo la partita contro il Barcellona in Champions anni fa, guardando Nic ci dicemmo che per noi il trofeo poteva finire li. Il riferimento era al doppio scontro contro Messi annichilito a San Siro e poi maramaldo al Camp Nou teatro di sogni europei nel 1989, ma non pensavamo certo a un esilio così lungo dal calcio che conta. La vita come lo sport è fatta di cicli, di cadute e di riprese. Quella del Milan non è forse la peggior crisi nella sua storia, quella che passò dai primi anni del 900 fino al primo scudetto del dopoguerra durò ben 43 anni, qualcuno dice come i traditori che nel 1910 diedero poi vita all’inter e fu forse la più lunga. Ora gli anni dall’ultimo scudetto cominciano a diventare tanti e il decennio che finisce è stati più funestato dagli obbrobri che dalle perle da ricordare. Ci riprenderemo, torneremo a splendere, ci vorrà tempo, forse si, al momento neppure quantificabile, ma rimango un inguaribile ottimista, consapevole che l’affetto e l’amore per una squadra e per i propri colori si vede maggiormente nel momento del bisogno e della sconfitta.

martedì 17 dicembre 2019

Provaci ancora Henry



Il destino cinico e beffardo alle volte reca degli scherzi particolari. Il 30 settembre 1918 gli eserciti alleati stanno per dare la spallata definitiva per le truppe tedesche, la guerra è a una svolta, la comunità è matura per una fine delle ostilità: si combatte ma si sa già come andrà a finire. A est la rivoluzione russa ha smembrato l’Europa e una nazione. A ovest gli americani stanno dominando. Sulle Argonne avvengono gli scontri più brutali in uno di questi il soldato (private) Tonde in un furioso corpo a corpo ferisce un nemico ma per nostra sfortuna lo risparmia. La pietà che si confà anche fra nemici non gli permette di affondare il coltello nell’addome di un caporale tedesco e di ucciderlo. Mai pietà fu più nefasta, quell’uomo aveva un destino e un futuro terribile si chiamava Adolf Hitler. Pensate cosa sarebbe successo in caso contrario, la guerra non sarebbe scoppiata? nessun odio razziale verso gli ebrei? Nella storia le sliding doors capitano spesso, e sono ciniche e beffarde come i due minuti e la rotta sbagliata dei Dauntless americani che piombano alle Midway e cambiano il corso della storia, come i norvegesi che impediscono ai nazisti di recuperare l’acqua pesante ecc. La storia è infarcita di questi episodi certo che quella pallottola il soldato inglese poteva sprecarla

mercoledì 11 dicembre 2019

Qui Vincit non est Victor nisi Victus fatetur


Devo proprio essere un matusa io ho sempre pensato che Vae Victis fosse l’allocuzione latina che si rifà alla storia della prima discesa a Roma dei Galli capitanati da Brenno che saccheggiarono la Città eterna, dopo la vittoriosa, per i celti, battaglia di Allia nel 390 a.c. e pretesero e imposero un pagamento in oro consistente che solo l’ardire di Furio Camillo (pare leggenda) riuscì a contrastare. Ebbene da ieri ho scoperto che è il nome dato a una discoteca all’inizio degli anni 90 a un famoso videogioco e a un parastinchi. E ovviamente si è subito scatenata una polemica simil storica pronti a dare patenti di adesione a una fazione piuttosto che a un’altra. Sorrido pensando a un campione dell’arte pedatoria che ha bisogno di uno stimolo latino per ringhiare sulle caviglie avversarie, forse paragonandosi a un legionario romano pronto a non voltare mai le spalle al nemico. Eppure la storia che inneggia a esempi di grande ardimento spesso e volentieri racconta di catastrofi militari, di fughe impietose, di ritirate strategiche e di massacri epocali (Canne, Teutoburgo, Carre solo per ricordarne alcuni di famosi). L’iscrizione è vero serviva per infondere coraggio, poi però dovevi scendere sul campo e fare di necessità virtù. Di Leonida, tanto per citare un altro esempio, questo spartano, vissuto un secolo prima di Brenno, non ne sono esistiti molti. Forse varrebbe la pena di insegnare ai viziati giocatori di football che la vita del legionario era dura, anni lontani da casa, lunghi periodi oziosi a centinaia di chilometri, una vita passata a costruire e a disfare accampamenti quando in marcia, a spendere la diaria alla ricerca di compagnia femminile in luoghi lontani e come unico pensiero il ritorno a casa dopo anni a fare la vita contadina e a mettere su famiglia. Niente di così eroico, e, se si combatteva, era meglio non essere feriti, o la morte oppure rimanere illesi, le ferite, se non curate portavano comunque alla dipartita e a un gita senza ritorno nei Campi Elisi. Quindi meglio evitare i detti latini o se proprio ne devo citare uno mi piace quello che avevano gli opliti, i fanti della prima linea, sul loro scudo (qui vincit non est victor nisi victus fatetur – chi vince non si può considerare tale se il vinto non lo riconosce), certo però che in quel caso hai voglia a metterti un parastinco con quella scritta – non ci stà

Sul Monte Musinè cambiano i destini dell'Impero Romano


In hoc signo vinces, quante volte abbiamo sentito questa frase che di fatto segna la dicotomia tra religioni nell’impero romano con la vittoria del cattolico Costantino contro Massenzio a Ponte Milvio a Roma e il conseguente passaggio dal paganesimo al cristianesimo. Una battaglia che di fatto portò in auge per l’ultima volta l’Impero Romano e così i seguaci del cristianesimo, dopo due secoli quasi sempre di tormenti e di persecuzioni, conquistavano il palcoscenico di Roma. Ma prima di arrivare a Ponte Milvio ci furono altri passaggi e altre battaglie. Forse non tutti ricordano come il primo scontro avvenne proprio ad Augusta Taurinorum nel 312 tra il giovane Costantino supportato dalle truppe che avevano stanza in Britannia e che giunse in Italia attraverso il Passo del Moncenisio forte di 90.000 fanti e 8000 cavalieri. Il suo esercito era in gran parte formato da popolazione barbare, come Celti, Germani e Britanni. Ormai l’esercito era affare loro mentre i Romani preferivano darsi ad altri lavori. Il primo scontro avvenne in Italia nei pressi di Segusia (l’odierna Susa), la città venne presa e messa a ferro e fuoco ma Costantino non esagerò e si diresse verso Torino dove Massenzio lanciò contro un altro esercito dotato di un forte contingente di cavalieri pesanti. Costantino si dimostrò abile stratega e con una cavalleria più leggere seppe tenere a bada quella avversaria e con abili manovre tattiche mise in fuga l’esercito di Massenzio. Le truppe di Costantino vennero così acclamate dalla popolazione di Torino e a lui personalmente, proprio dentro le mura cittadine di Torino, venne decretato un vero e proprio trionfo, il suo buon rapporto con i torinesi di fatto gli aprì le porte delle altre città del Nord e con estrema facilità il giovane rampollo romano battè facilmente Massenzio ancora a Brescia e a Verona dove ebbe ragione delle truppe del rivale capitanate da Ruricio pompeiano il generale a cui Massenzio aveva sfidato la conduzione dell’esercito. Con il Nord libero Costantino ebbe vita facile e potè arrivare a Ponte Milvio con molte più chance da giocarsi, la leggenda o la storiografia poi narra come dietro la sua ultima vittoria ci fosse anche il passaggio armi e bagagli sotto un'altra religione, probabilmente un bell’accordo preventivo che la storia ha voluto ricordare e tramandare con quella particolare apparizione. E la stessa avvenne, come ricorda un enorme croce di 15 metri sul Monte Musinè, l’ultima montagna prima di arrivare a Torino cui dista in linea d’aria tra i 15/20 chilometri, l’opera eretta nel 1901 porta proprio alla base la famosa scritta IN HOC SIGNO VINCES che di fatto cambiò la storia dell’impero romano e perché no dell’Italia. 

mercoledì 4 dicembre 2019

La settima arte e Torino


Se Biella è la patria della televisione per via della storica emittente Telebiella che grazie a Peppo Sacchi ruppe il monopolio Rai negli anni settanta del secolo scorso. Torino rappresenta la vera e propria patria della Settima Arte. Nel marzo 1896, infatti, a pochi mesi dalla prima proiezione con il cinématographe avvenuta il 28 dicembre 1895 davanti al pubblico del Gran Cafè del Boulevard des Capucines a Parigi, i fratelli Louis e Auguste Lumière mostrarono per la prima volta la loro invenzione in Italia, proprio a Torino. Nel novembre del 1896, in via Po fu proiettato il primo spettacolo a pagamento d'Italia. Fu una selezione di persone tra cui il Sindaco dell’epoca di Torino per vedere questa nuova formula di intrattenimento, l’organizzazione di Vittorio Calcina un fotografo che rappresentava, una sorta di franchising, i fratelli Lumiere. Fu una serata didattica che faceva vedere l’arrivo di un treno in stazione, bimbi che giocavano insomma momenti classici e diedero il via all’aspetto commerciale con la gente che era affascinata da questa nuova forma di intrattenimento. Ma se il buongiorno si vede dal mattino ricordiamo che proprio a Torino sono nati il primo multisala nel 1983 (L’Eliseo) e il primo cinema d’Essai nel 1971 (il Romano nella Galleria Cisalpina) Nel 1904 nacque a Torino anche la prima casa di produzione la Ambrosio, il ragionier Arturo Ambrosio, che aveva uno studio fotografico in via Roma 2, si appassionò del cinema, e dopo due anni di studi e di proiezioni come "La prima corsa automobilistica Susa Moncenisio" fondò una delle prime case di produzione cinematografica del nostro Paese, quella che divenne poi la Ambrosio Film. Insomma un amore per il cinema che da sempre ha appassionato Torino. Torino è sempre stata al centro dell’attenzione del mondo del cinema fino agli anni trenta, sotto il Regime Fascista venne poi realizzata nel 1937 Cinecittà di fatto trasferendo nella capitale la Settima Arte con il contributo della studiosa Maria Adriana Prolo, la stessa che raccolse i primi materiali per la costituzione del Museo Nazionale del Cinema che oggi ha sede nei locali della Mole Antonelliana e che cominciò a ospitare i cimeli proprio in una sala della Mole concessa dal Comune. Migrò poi a Palazzo Chiablese per poi tornare in Via Montebello solo nel 2000. Cinema storici fanno da cornice a Torino e proprio uno di questi è l’Ambrosio il nome è connesso a quello del Ragioner Arturo, di cui abbiamo parlato prima, ma i capitali e il progetto furono dell'avvocato Cavaliere Giuseppe Barattolo, fondatore insieme ad Ambrosio e altri dell'Unione Cinematografica Italiana nonché grande animatore anche durante il Ventennio della cinematografia italiana. Il cinema Ambrosio è nato nel 1914, e si trova in quello che all'epoca era Palazzo Priotti, poi Frisetti e infine Priocca, uno stabile del 1913. Insomma se la storia è un film Torino ne è la sua degna rappresentante.

lunedì 2 dicembre 2019

la storia grazie ad amazon



A volte un film se fatto bene ti permette di scoprire qualcosa che non sai. Ignoravo la vita di Michiel de Rutyer uno dei personaggi probabilmente più famoso d’Olanda un ammiraglio che grazie alla sua perizia ha saputo trascinare l’Olanda tanto da farla diventare una potenza e mettere alla berlina l’Inghilterra dopo tre guerre combattute sui mari. Guerre di natura economica c’erano i commerci con il nuovo mondo e la geopolitica per il predominio continentale. La piccola Olanda contro la perfida Albione e un successo che di fatto cambiò anche certe gerarchie. Insomma una pagina di storia forse poco conosciuta e che modificò anche i confini e i destini della varie superpotenze. Per una volta grazie Amazon che mi hai fatto riscoprire la storia



c'è sempre un complotto


Fine anno tempo di premiazioni e di mensole stabili su cui posizionare trofei ambiti. Gioco forza pensare che i più grandi miti pedatori se le suonino di santa ragione per un simulacro pronto a fargli gonfiare il petto per una carriera o un anno di successi. E non importa che il valore del premio sia nulla nei confronti di un pngue conto in banca ciò che conta, modello bambino dell’asilo, è poter dire all’avversario io ne ho cinque tu solo quattro. E come in ogni banda che si rispetti interviene anche il tuo compagno di squadra per avvalorare la qualità e il valore di un premio, tutti pronti a pavoneggiarsi per il simulacro in attesa dei like dei tifosi. Siamo all’isteria pura. Un campione se tale dovrebbe comportarsi accettando anche la sconfitta ma non sempre così e così dinieghi, musi lunghi in attesa della prossima premiazione. Ma il teatro dell’assurdo è la teoria del complotto quella messa in atto dal buon Chiellini secondo cui il premio non è stato dato a Ronaldo per colpa di una società abbandonata come il Real Madrid. Insomma il potere dei forti, la stessa squadra contro cui il Giorgione nazionale protestò facendo il gesto dei soldi percepiti dall’arbitro che aveva osato fischiare un rigore al 93 contro la Juve. Non cresceremo mai e allora viene in mente quello che mi ha riferito il buon Bartoletti viene un momento in cui bisogna ritirarsi e lasciare parlare gli altri di calcio. Ecco mi sa che questo è il momento

sabato 30 novembre 2019

Una lezione di giornalismo. Grazie Marino



In un tempo in cui il giornalismo anche quello televisivo è percorso da fremiti e da urla mi è sempre piaciuto chi invece con la sola forza delle parole e dell’ironia a volte pungente a volte sottile ha saputo e sa dare in modo diretto una lezione di giornalismo alle giovani generazioni. Ieri incontrando Marino Bartoletti, l’epigono di un Beppe Viola moderno ho potuto realizzare un’intervista quanto mai efficace e utile: mi è piaciuta in particolar modo la parte in cui sollecitato sulle motivazioni per cui ha abbandonato il calcio parlato ha detto testualmente: oggi tutti sono opinionisti e lascio volentieri a loro l’abilità di parlarne”. Ecco l’essenza è il succo di un abile osservatore in grado di percepire l’evolversi dei tempi e, dopo aver reso una disciplina alla portata di tutti, averla abbandonata per dedicarsi al racconto di altri sport e altre storie. La tavola rotonda condotta tra un esuberante Ghedina, una timida Belmondo e un emozionante e ieratico Bendotti è stata la summa di una serata di abilità giornalistica. La conduzione di un talk di questo genere vale più di mille corsi di formazione, è un vero e proprio pilastro di come uno dei mestieri più belli al mondo dovrebbe essere. Grazie Marino

lunedì 25 novembre 2019

gli accordi politici di novembre e il taglio dei parlamentari (ops)

 

Gli accordi governo non sono una novità dell’ultima ora nè una prerogativa della repubblica italica ma avevano valenza politica anche duemila anni or sono, proprio a novembre del 43 a.c. dopo l’uccisione di Cesare, si strinse un accordo che durò per dieci anni, due legislature se usiamo il metro attuale. L’accordo fu siglato a Bologna (un tempo Bononia). Il patto aveva durata quinquennale ma fu prorogato ed ebbe avvallo legislativo (la lex Titia) tra Ottaviano Augusto, Marco Antonio e Lepido.  Ottaviano all’epoca era il più debole dei tre, ma con le legioni che obbedivano a Marco Antonio si fece fronte comune contro l’esercito dei ribelli che si stava aggregando in Oriente e contro la flotta di Sesto Pompeo figlio dell’avversario di Cesare che invece imperversava nel Mediterraneo: Ad Antonio toccò il governo della Gallia Cisalpina a Lepido la Gallia Narbonense e la Spagna mentre ad Ottaviano le isole e l’Africa. Per trovare i fondi necessari all’arruolamento di truppe necessarie per vincere furono redatte le liste di proscrizione, in cui avversari politici e nemici tra senatori e cavalieri furono iscritti per procacciarsi i loro beni. Praticamente caddero sotto i colpi dei sicari oltre 300 senatori (non vi preoccupate non era il previsto taglio dei parlamentari) e oltre 2000 cavalieri. Non potendo armare sicari fu data una ricompensa a chi, diciamo svolgeva il lavoro sporco. 25.000 denari agli uomini liberi, 10.000 agli schiavi con l’aggiunta della cittadinanza. Insomma un bel repulisti da cui non si salvò neppure Cicerone, che aveva sbeffeggiato Marco Antonio e il triumviro non aveva certo dimenticato l’offesa. Quo usque tandem …. (no questa è un'altra storia chi di invettiva ferisce, di invettiva perisce)

la Gaffe



 
Prima l’ha fatto Van Basten, rispondendo sig heil a un cronista che aveva fatto un intervista approssimativa in tedesco, poi è stato il turno di Cellino che parlando di Balotelli ha usato l’infelice espressione schiarirsi. Due uscite a vuoto se fossero stati dei portieri, due gaffe sesquipedali in un mondo dove il politically correct non esiste da sempre, ma etichettiamole come tali cioè due gaffe e finisce li. In un mondo dove sentiamo ben di peggio usiamo i mezzi di comunicazione di massa per educare al meglio e smarcare gli stereotipi tipici di una società che fa fatica a crescere e si perde dietro luoghi comuni. Ma soprattutto e questo sarebbe bello per chi lavora nel settore enfatizziamo gli episodi positivi. Uno su tutti il bel rapporto ieri tra tifosi del Lecce e del Cagliari con i primi pronti a ospitare i secondi causa partita rinviata, oppure proposta perché non premiare le società in cui le tifoserie invece di sbeffeggiare gli avversari inneggiano solo ed esclusivamente ai propri colori con un tifo pulito assordante e positivo. Cosi enfatizzando un premio invece che una punizione magari creeremmo una buona cultura. Federazione pensaci

sabato 23 novembre 2019

j'accuse molto più di una storia



Ci sono storie che meritano di essere raccontate e che non hanno tempo perché nei temi e nella cronologia degli eventi sono di grande attualità. Non sfugge allo spettatore che un evento del 1894 è stato raccontato in modo perfetto, con grande sensibilità sia nella sceneggiatura che nella fotografia che nell’allocare nel giusto contesto storico quell’evento che segnò in maniera indelebile la Francia di fine secolo. Era una repubblica che aveva patito oltre misura la disfatta contro la Prussia del 1871. Al di là dell’Alsazia e La Lorena persa era in gioco la grandeur dei pantaloni rossi e la classe militare francese era decisamente invecchiata male. Trovare un capro espiatorio una scusa era quasi una necessità per coprire l’incapacità che sarebbe risultata in tutta la sua evidenza anche durante il primo conflitto mondiale. Se poi il capro espiatorio era ebreo ancora meglio, l’antisemitismo latente in quasi tutti gli stati era una ghiotta opportunità. In una società così ingessata la buona prova di un militare tutto d’un pezzo come Picquart e di uno scrittore come Zola fecero il resto, scalfirono quella patina e decretarono, pur con una tempistica lenta ed eterna, la giusta verità. Fu un caso, fu la storia, Polanski l’ha raccontata nella sua interezza e nella sua semplicità ed ha realizzato un piccolo capolavoro che dovrebbe essere proiettato a scuola su come raccontare la storia. Varrebbe più di mille lezioni

giovedì 21 novembre 2019

La quarta sponda- la guerra italo turca


Se all’inizio del 1800 la nostra bestia nera erano gli austriaci, Custoza è il monumento nazionale alla sfortuna sul campo di battaglia, qualche volta ricercata a dire il vero dall’incapacità del comando, l’africa di fine 800 e inizio secolo è sempre stata foriera di sconfitte, patite anche dai nativi, e se Dogali, Amba Alagi Maccallè e Adua sono solo alcune delle pietre miliari della cronica incapacità degli eserciti nazionali di vincere, quella di Tobruch è un pagina poco conosciuta nella guerra italo turca. E se per le altre battaglie saltarono persino governi, quella del 22 novembre 1911 fu una pagina secondaria e poco gloriosa ma in linea con il solito refrein che ci impediva di trarre profitto dalle colonie. La guerra è quella per il possesso della Libia, protettorato turco e sono proprio i turchi con alcune tribù libiche, quelle che imperversano tutt’ora a dare del filo da torcere. Tobruch è un avamposto vitale, chi la possiede detta la linea in quasi tutto lo stato, sarà così anche nella seconda guerra mondiale. Il 22 novembre basta un commando di dieci uomini turchi per avere ragione di una guarnigione di 200 uomini, gli italiani la perdono ma la riconquistano l’anno dopo. La guerra libica durerà solo un anno fino alla fine del 1912 con la perdita di 3500 soldati italiani contro i 15.000 turchi  e sarà una sorta di preview per la prima guerra mondiale anche se i ribelli libici battaglieranno per oltre cinque lunghi anni

La storia va insegnata bene


Torna la Storia, la grande storia, alla maturità si cambia ancora una volta e torna il tema di storia, come se bastasse questo per rivitalizzare la conoscenza e la passione di una materia sempre insegnata troppo male. Se il tema era un simbolo credo sia opportuno che cambi il sistema con cui viene tramandata alle giovani generazioni. Spesso e volentieri relegata a puro momento di svago. E invece la storia contiene in se i germi per sviluppare la mente, per conoscere il passato, attualizzarlo, perché l’uomo è sempre lo stesso con le sue passioni le sue esigenze e le sue nefandezze. La storia non è una sequenza di battaglie date come ricorda il ministro in un’intervista ma anche le battaglie e le date servono per tracciare il nostro percorso futuro, per comprendere perché determinate popolazioni mal si sopportino, perché la natura geopolitica di uno stato si è formata in quel modo, quali e quante contaminazioni abbiano subito la cultura di un luogo. Insomma tanti e tali sono le occasioni di comprendere e amare la storia che questa ha bisogno solo di essere valorizzata ma per farlo gli insegnanti si devono preparare e far capire ai loro allievi che questa materia rappresenta la più alta forma di conoscenza, in lei c’è veramente tutto. Se questo viene capito dai docenti e sapranno trasmetterlo ai loro allievi allora la storia potrà essere una valida chiave formativa culturale ed emozionale

mercoledì 20 novembre 2019

Bogia nen IL giovane Cavour e il Risorgimento








Era giovane, appena 37 enne, ma aveva già una vasta esperienza pubblica, era il 17 dicembre 1947 e da buon collega di stampa dà alla luce il nuovo giornale che si intitola: Risorgimento. Di chi stiamo parlando ? Ma del futuro primo ministro Camillo Benso Conte di Cavour, nato nel 1810, che proprio in quell’anno che sta per finire e che di fatto apre al luminoso 1848, quello che di fatto spalanca alla prima presa di posizione per creare il futuro stato italiano, Cavour diventa direttore, redattore e gestore del foglio distribuito a Torino. Si tratta di una testata di ispirazione moderata e propugnatrice di nuove idee di rinnovamento politico e moderato. Cavour è nel pieno della sua vita personaggio serio e concreto che in quegli anni supera il neoguelfismo di Gioberti e va oltre anche allo stesso programma di unità nazionale di Cesare Balbo. Cavour non desidera solo l’unità nazionale ma vuole evidenziandolo nel suo programma anche una libertà di pensiero e di culto. Il 23 marzo spinto anche da appelli di altri uomini di cultura esorta Carlo Alberto a correre in soccorso della popolazione di Milano che si era affrancata con le cinque giornate e segui in modo patriottico anche la successiva e ahimè sfortunata guerra di indipendenza. Da buon collega Cavour era a favore di una libertà di stampa quanto mai unica e la difese fieramente con un articolo di fondo sullo stesso giornale datato 19 dicembre 1849 quando sembrava che tra le clausole della pace firmata con l’Austria fosse previsto un restringimento delle libertà della stessa richieste dall’occupante austriaco. Il periodo compreso tra il 1847 e il 1850 fu quello in cui Cavour fondò il suo consenso e la sua fortuna politica. Fu uno degli artefici delle fusione tra la Banca di Genova e quella di Torino che diede vita alla Banca Nazionale degli Stati Sardi. Inoltre le elezioni che si erano tenute nel dicembre del 1849 lo avevano fatto assurgere quale capo movimento della maggioranza moderata che si era costituita in Parlamento. Il passo successivo fu la promulgazione delle leggi Siccardi che ovviamente gli costò l’ostilità del Clero, ma le sue indubbie capacità lo portarono prima al dicastero dell’Agricoltura e poi a quello delle Finanze. Inviso a D’Azeglio, capo del governo fu messo ai margini e il Cavour sfruttò questo periodo per intrecciare con il Rattazzi una nuova alleanza e infine a girare per l’Europa, soprattutto in Inghilterra, dove prese molti contatti che sarebbero stati utili di li a poco con uomini d’affari agricoltori e industriali. L’unità d’Italia si stava costruendo così tra le relazioni personali e d’intenti del 1851/1852. E proprio alla fine del 1852 tornò a Torino dove di fatto si prese il Governo per un decennio riuscendo là dove avevano fallito in molti

lunedì 18 novembre 2019

Hailè Salassie (potenza della Trinità) a Biella ma è un giocatore svizzero



Ammetto di essere trasalito quando ho visto il marcatore svizzero della nazionale under 20 presente a Biella nel pomeriggio di oggi. Haile Salassie svizzero ma con evidenti origini etiopi e che deve essere stato battezzato così in memoria di Tafari Maconen ribattezzato Haile Salassie (che significa potenza della Trinità) e soprattutto imperatore etiope ai tempi di Benito Mussolini, celebre la sua arringa alla società delle Nazioni per denunciare l’uso dei gas contro il suo popolo usati dagli italiani nel 1935/1936. Insomma era un po’ come tornare indietro nel tempo, lo stadio Pozzo, l’architettura Littoria, e lo scontro contro i nemici dell’impero (vabbè qui si esagera) mancava solo che il terreno di gioco invece di essere dedicato a Lamarmora fosse identificato come l’Amba Aradam ed eravamo a posto. Però questa sarebbe anche l’occasione di mettere in evidenza storia e sport e devo dire che grazie all’Istituto Storico di Varallo il progetto lo abbiamo realizzato

103 anni fa terminavano le Somme


140 giorni tanto durò la battaglia delle Somme 103 anni fa, la migliore gioventù inglese lasciata sui campi di battaglia con attacchi sconsiderati frontali che venivano abbattuti dalle numerose mitragliatrici 95.000 i tommies che caddero nella terra di nessuno insieme a 50.000 francesi e a 164.000 tedeschi. Una carneficina che avveniva in contemporanea con l’altro grande scontro di Verdun anche lì i morti si contarono a decine di migliaia. Un guadagno di terreno di poche decine di metri qualche chilometro al massimo e poi tutto ricominciava da capo compresi gli assalti e i contro assalti. Il 1916 fu l’anno delle grandi delusioni, le speranze per una fine della guerra vanificata da un carnaio senza pari. Gli annunci delle forze dell’intesa a fine campagna parlavano di 70.000 soldato tedeschi catturati 303 pezzi d’artiglieria e 215 mortai ma bastava camminare sui camminamenti delle trincee per percepire la grande delusione dei reparti, spesso decimati, in cui tutti avevano perso un amico, un commilitone quando non gruppi interi. Alla fine del 1916 erano ancora schierate sul fronte 127 divisioni tedesche, 106 francesi 56 britanniche 6 belghe. I britannici entrati in guerra con poco più di 100 mila uomini a fine di quell’anno avevano raggiunto la ragguardevole cifra di 1 milioni e 600 mila uomini di cui centomila canadesi e altrettanti australiani e neozelandesi. E il 1917 sarebbe stato ancora peggio l’anno più brutto per tutti gli eserciti

giovedì 14 novembre 2019

150 anni fa inizia l'Italia Coloniale ad Assab


1869 la compagnia genovese Rubattino compra la base di Assab in Eritrea è il 15 novembre 1869 e di fatto iniziano le colonie anche per l’Italia, da buon ultimo stato, appena affacciato sul panorama internazionale l’Italia attraverso una compagnia commerciale comincia a mettere i piedi nel corno d’Africa, in teoria una posizione abbastanza utile perché si situa in una zona che diventerà strategica. Ma il Governo non segue subito la compagnia Rubattino ci vogliono ancora anni affinché venga del tutto ufficializzata. Dieci anni dopo nel dicembre del 1879 dal piroscafo Messina della Compagnia scendono operai scortati da un drappello di 17 armati sotto il comando del capitano da vascello Martini, sono i primi soldati che servono per proteggere gli operai che costruiscono una serie di infrastrutture portuali, ma soltanto il 10 marzo 1882 diventa suolo italico. L’appartenenza all’Italia dura fino al 1941 per 59 anni, quella baia vedrà arrivare le truppe poi sconfitte ad Adua nel 1896, quelle vittoriose 40 anni più tardi sull’Amba Aradam. Troppo lontano dall’Italia capitola sotto i colpi degli inglesi e così finirà il sogno al sole dell’impero

mercoledì 13 novembre 2019

Caralho o .......


Lo giuro mi mancava l’esegesi del portoghese slang ma in questo calcio che deve trovare sempre nuove frontiere e praterie di comunicazione, il divo cristiano illumina in modo perentorio il post partita con i suoi comportamenti. I giocatori non vogliono mai uscire dal campo e quando lo fanno eh beh sono fragorosi e anche irrispettosi. Allenatori meno intransigenti dopo la sceneggiata lo avrebbero messo in panca per due settimane oltre a una multa milionaria, ma qui siamo in presenza di un fenomeno mediatico abbastanza stra-pompato per cui sarà la società a chiedere scusa. Insomma continuano i modelli di eduzione e buon comportamento, siamo curiosi di venire a conoscenza del prossimo

Come si aggiustano i bilanci nella storia. Ma col tabacco - Bogia nen


Un vizio può diventare anche una fonte di entrata per le magre casse di uno Stato e se oggi i tabacchi rappresentano una cospicua fonte di reddito per gli enti pubblici in passato non si era da meno. Guardiamo ad esempio il tabacco importato dall’America da Cristoforo Colombo che a mano a mano cominciò a interessare un numero sempre crescente di persone e prese piede in Piemonte alla metà del XVII secolo. La sua diffusione crebbe così in fretta che Carlo Emanuele di Savoia concedeva il 2 dicembre 1653 al commerciante Jacob Moreno la patente regia per la coltivazione della pianta. Ma in realtà la pianta nella nostra regione non attecchì nella coltivazione e fu così necessario importarla. Il costo di vendita all’inizio del 1700 era fissato da un’ordinanza per il tabacco puro di mezza grana a 45 soldi alla libra, per il tabacco muschiato 4 lire e 16 soldi la libra. Tuttavia coloro che erano appaltatori del servizio potevano vendere il tabacco a prezzi inferiori per contrastare un fenomeno che era molto in voga nel periodo, il contrabbando, fiorente nel Monferrato e in virtù anche di gabelle diverse e più basse soprattutto nelle provincie lombarde. Ma quanto rendeva al governo sabaudo il commercio del tabacco? Considerato che venivano smerciate 281.683 libre verso la metà del 1700 rimanevano nelle casse del governo circa 280.000 lire dell’epoca, con cifre del genere potevi permetterti un esercito e anche qualche sfizio. Ma il consumo contagiò un gran numero di persone e aumentò in misura esponenziale tanto che alla vigilia dell’Unità d’Italia le entrate del Regno di Sardegna per la privativa dei tabacchi furono al lordo delle spese pari a 18.981.000 lire, una cifra spropositata. Subito dopo venne il Monopolio di Stato, le iniziative di Quintino Sella (altro che la tassa sul Macinato) e quindi proventi sempre maggiori per lo Stato. Nel 1878 un sigaro avana costava 1,50 lire un avana di quarta qualità, un fake avana verrebbe da dire, la somma di 0,25 lire, insomma anche la qualità aveva un prezzo alto. Come ebbe a dire più avanti  Luigi Einaudi con riferimento ai rendiconti del 1903 ed in raffronto con la privativa del sale scriveva che, se il monopolio vuole approfittare maggiormente del tabacco gli conveniva quadruplicare i prezzi, un consiglio quello dello statista piemontese che probabilmente i suoi successori hanno preso alla lettura anche troppo direi, ma questo non vale più soltanto per i tabacchi ma anche per tutto il resto.

L'inizio della fine Rethondes 11 novembre 1918


    
      Alle ore 11 del 11 novembre del 1918 cioè poco più di 101 anni fa chissà cosa pensavano i ragazzi che avevano combattuto la prima guerra ed erano scampati a quella follia, quali le loro speranze, quali i loro sogni e desideri, dopo i milioni di morti e i crepitare dei fucili e delle mitragliatrici 50 mesi avevano veramente decretato il passaggio da un epoca all’altra. Dal risorgimento all’età moderna. Mio nonno all’epoca  21 enne restò in servizio a Trieste per qualche mese e poi torno a casa a piedi e con mezzi di fortuna. Mi ricordo che mi raccontava che la prima cosa che fece fu quella di lavarsi i piedi un privilegio che la vita in trincea non aveva lasciato. Ma un senso di vuoto lo pervadeva, i tanti e troppi commilitoni lasciati li sull’altipiano, sulle doline, che solo la fortuna o sfortuna aveva fermato per sempre non gli fecero chiudere gli occhi per diverso tempo. I racconti attorno al fuoco o nelle serate nella stalla, le vecchie agorà di un tempo erano un modo per raccontare dettagli di vita quotidiana e la morte non faceva mai capolino in quei brevi tratti. L’uomo avrebbe imparato dai propri errori, la risposta non tardò certo a venire, il biennio 1919 / 21 portò in se i germi di nuove rivoluzioni e di vecchi retaggi di sopraffazione. L’Europa non aveva imparato, l’italia non aveva imparato altri lutti altre campagne e forse in quei mesi di fine 1918 chi ha vinto avrebbe dovuto comportarsi in modo più magnanimo, forse si sarebbe evitato il disastro successivo

gli atti della resa 11 novembre 1918 

·         Cessazione delle ostilità quello stesso giorno sei ore dopo la firma del testo (quindi alle 11:00 ora di Parigi)
·         Ritiro entro 15 giorni delle truppe tedesche da tutti i territori occupati
·         Entro i successivi 17 giorni abbandono di tutti i territori sulla riva sinistra del Reno, e consegna delle guarnigioni di Magonza Coblenza e Colonia alle truppe d'occupazione francesi
·         Consegna alle forze alleate di 5.000 cannoni, 25.000 mitragliatrici, 3.000 mortai e 1.400 aeroplani
·         Consegna di tutte le navi da guerra moderne
·         Consegna a titolo di riparazione di 5.000 locomotive e 150.000 vagoni ferroviari
·         Annullamento del trattato di brest litosk
Il ritiro delle circa 190 divisioni tedesche terminò il 17 gennaio 1919.

lunedì 11 novembre 2019

Uscita a gamba tesa



Da piccolo tifavo Milan e poi sono diventato intelligente, questa la frase diventata cult in poche ore del difensore della nazionale di calcio italiana. Nel calcio lo sfottò è il sale della vita e ci mancherebbe, ma lo sfottò è di esclusivo predominio del mondo dei tifosi, quando viene usato da giocatori che dovrebbero dare l’esempio stona alquanto. Si parla di educazione rispetto e poi gli alfieri di questo sport, che dovrebbero in teoria, molto in teoria, esulare da queste uscite svaccano in malo modo, scatenando come è possibile immaginare, pletore di leoni di tastiera da una parte e dall’altra. Sinceramente io ho sempre preferito le argute prese per i fondelli fatte da chi aveva stile e classe come l’avvocato Peppino Prisco, ma quella era un'altra era pedatoria e un altro stile. In un mondo che dissemina odio e rancore ci mancava anche l’esempio negativo educativo. Questa è proprio un uscita a gamba tesa, ma questa volta la Figc emetterà il cartellino giallo o come al solito …….

mercoledì 6 novembre 2019

La scommessa sulla Torino Bologna chi la vinse ? - Bogia nen

Oggigiorno le corse automobilistiche nei gran premi parlano di una lotta tra Mercedes e Ferrari, un florilegio di tecnica, di passione, di regolarità e di velocità, ma prima di loro della tecnologia a tutto spiano come si svolgevano le corse ? La macchina era importante, ma ancora di più doveva esserlo l’uomo alla guida, all’inizio del secolo scorso le gare non erano ancora regolamentate da un codice sportivo ed erano frutto magari di scommesse a volte esagerate, altre volte alla guisa di una vera singolar tenzone. Ne sa qualcosa il fondatore della Fiat Giovanni Agnelli che, solo due anni dopo l’apertura della casa automobilistica, scommette sulle qualità del suo autoveicolo contro il cavalier Coltelletti rappresentante di una compagnia assicurativa italiana e convinto assertore della superiorità dei mezzi francesi. La scommessa sulla superiorità dei mezzi Fiat italiana da una parte e Panhard francese nasce in un ristorante di Montecarlo, magari possiamo ipotizzare al culmine di una discussione tra i fumi dell’alcool, tra il Duca degli Abruzzi che difende i colori patrii e il Cavalier Coltelletti, amante del gusto francese. Il valore dell’importo scommesso è di 5.000 lire, una bella cifra per quei tempi. Da una parte l’orgoglio italico e dall’altra lo sciovinismo francese, insomma sembrerebbe proprio il canovaccio di una storia melodrammatica. Agnelli e il suo ingegnere temono il confronto, il rischio di una sconfitta potrebbe compromettere il prestigio della nascente industria, ma dall’altra parte una vittoria garantirebbe fama e pubblicità e alla fine accettano.
 
La data prescelta è il 24 novembre, il percorso indicato è la Torino – Bologna, si parte da Villanova d’Asti per evitare i terreni fangosi fuori Torino. Il Duca degli Abruzzi si fa accompagnare da Giovanni Agnelli e da Vincenzo Lancia, mentre Coltelletti ha come equipaggio la moglie e un amico. A sorpresa chiede di essere cronometrato un terzo concorrente si tratta del ventenne Felice Nazzaro a bordo di una Fiat 12 CV. La gara per il Duca Degli Abruzzi e Agnelli non dura tantissimo, appena fuori Alessandria un cordolo mette fuori gioco la vettura Fiat del patron e dopo 70 chilometri il Duca è costretto al ritiro, mentre la macchina francese sfreccia fino a Bologna intascandosi così il premio pattuito di cinquemila lire. Ma c’è una sorpresa il giovane Nazzaro, Felice di nome e di fatto, ha compiuto lo stesso tragitto impiegando quattro minuti in meno del rivale alla media oraria, fantasmagorica per l’epoca, di 56 kmh. L’onta della sconfitta è così lavata con una prestazione superba del mezzo che di fatto invoglia, vista anche la pubblicità indotta a investire sul comparto sportivo e di fatto aprendo scenari inconsueti per la casa automobilistica. Chissà chi guidava, osiamo presumere il Duca degli Abruzzi al quale sicuramente non difettava la lingua per le scommesse, mentre per la guida beh lasciamo perdere

domenica 3 novembre 2019

la tassa de ligt



non me ne vogliano gli amici juventini questo non vuol essere un pezzo antibianconero o legato alla solita dicotomia tra bianconeri e resto d’italia sulle legalità nel calcio, ormai credo tutti che abbiamo perso le speranze, ma sull’interpretazione che abbiamo in italia di norme e leggi. Se nel calcio gli arbitri interpretano una settimana si e l’altra dopo anche come incomprensibile l’attuazione di una norma figuriamoci per il resto. Nel paradiso fiscale che risulta essere l’Italia la confusione regna sovrana. Le partite iva passano in continuazione da flat tax a no flat tax, a fly zone probabilmente e chi più ne ha chi ne metta. Insomma i commercialisti non se la passano tanto bene costretti a reinterpretare norme e leggi in continuazione e non siamo nemmeno nell’inferno dantesco. Anche sulla legge di bilancio in corso di discussione la tassa sulla plastica c’è si o no ? quella sulle auto a noleggio si oppure no ? la tassa sulla coca cola si oppure no. In attesa di sapere come funzionano le cose in Italia godiamoci questa indeterminatezza sapendo che le cose possono essere interpretate in un modo o nell’altro

sabato 2 novembre 2019

Una Vittoria di grande spessore



Le partite contro Pagnano non sono mai banali e non deludono mai e così è stato anche oggi, una partita giocata a viso aperto da entrambe le squadre con continui capovolgimenti di fronte. Mejuto è stato il primo ad aprire le danze e poi a cavallo del quinto minuto un uno due pilotato da Fazio e Corsini ha indirizzato la gara per i padroni di casa. Più incisivi gli uomini di Braga Lotta nel finale di tempo con un doppio Mendes e con Braga un pivot in grado di far alzare la squadra e concedere palloni d’oro ai propri compagni. Di Mauri il sigillo per il 5 a 3 alla fne del primo tempo. Parte arrembante Pagnano nel secondo tempo e con Carabellese mette pressione alla difesa astigiana , ma ci pensa ancora Lucas in veste di rifinitore a temere le distanze. Quando poi i lombardi provano il portiere di movimento a sei minuti dalla fine, la difesa di Corsini e soci non concede sbavature e anzi rimpingua il conto. DI Assi l’ultima segnatura per i lombardi a dieci secondi dalla fine per il 7 a 5 finale. Una partita che concede i tre punti al Città di asti che torna alla vittoria e accorcia in testa alla classifica ma ora occorre continuità fin dalla prossima partita a Mestre in vista del big match, derby, in prima serata con vista televisiva, del 16 novembre  

CITTÀ DI ASTI-SAINTS PAGNANO 7-5 (5-3 p.t.)
CITTÀ DI ASTI: Tropiano, Corsini, Fazio, Major, Braga, Sorce, Celentano, Malainine, Mendes, Sanfilippo, Demarie, Scianna. All. Lotta

SAINTS PAGNANO: Lovrenčič, Zaninetti, D'Aniello, Mauri, Mejuto, Cardinali, Zumbo, Assi, Marabotti, Personeni, Carabellese, Solosi. All. Lemma

MARCATORI: 3'36'' p.t. Mejuto (S), 5'02'' Fazio (A), 5'33'' aut. Mauri (A), 9'10'' Mendes (A), 16'48'' D'Aniello (S), 17'08'' Braga (A), 18'51'' Mendes (A), 19'01'' Mauri (S), 4'25'' s.t. Carabellese (S), 8'15'' Braga (A), 17'52'' Major (A), 19'50'' Assi (S)

AMMONITI: Mauri (S), Celentano (A), Sanfilippo (A), Carabellese (S)

ARBITRI: Michele Ronca (Rovigo), Fabiano Maragno (Bologna) CRONO: Alessandro Botta (Biella)

Ode a Marco



Lo so direte è il solito peana ai ricordi tipico delle persone anziane, va bene me lo merito, ma se volgo lo sguardo a ritroso e ripenso alla fortuna di aver studiato a Milano, grazie papà, non posso non pensare a quella giornata soleggiata in compagnia di Telemontecarlo ad aspettare l’arrivo di Marco Van Basten nella vecchia sede di Via Turati al numero due con un provocatore interista che metteva a tutto volume l’inno dell’inter. Alla fine si erano radunate poche decine di fan per quello che sarebbe diventato il cigno non solo di Utrecht ma anche quello della Scala del calcio. Arrivò su un taxi giallo e venne preso letteralmente sulle spalle dei tifosi, compresa la mia. All’epoca era semisconosciuto avevamo solo visto un gran goal in rovesciata nel campionato olandese, me nessuno, e non credo di essere smentito, all’epoca pensava che sarebbe diventato uno dei migliori attaccanti. Era il 1987 in quel periodo in cinque mesi diedi sei esami da storia economica a storia medioevale (io che non sopportavo il periodo storico presi 30 e lode, tutta colpa degli arabi, o per meglio dire la fortuna che mi aveva incoraggiato con domande su cui sapevo tutto). In quel giorno con la spensieratezza dei 21 anni si apriva un ciclo per il Milan fantastico, che mi avrebbe visto in giro per l’Italia e per l’Europa a godere di vittorie e di compagnie. Perché ricordarlo ora ? Perchè in un periodo di vacche magre è sempre bene ricordare i bei momenti, e prima o poi torneranno

Contro i Saints la sesta di campionato. Andiamo ragazzi



Contro i Saints non sono mai partite banali in serie B sono sempre stati scontri spettacolari e carichi di reti sia al Palasanquirico che a Merate. Ci piace dal nostro punto di vista ricordare soprattutto lo scontro play off di due stagioni orsono per la bella prova al Palasanquirico e per l’andata e il ritorno all’inferno del 2018 che sancì al termine di quella partita il pass per le finali di categoria che poi valsero la promozione alle finali. Sotto di quattro reti prese in pochi minuti con pazienza e determinazione la squadra rimontò e vinse quella partita storica. Ecco quello lo spirito che dobbiamo mettere in campo contro una squadra che non verrà al Palansanquirico dimessa ma pronta a vendere cara la pelle. Rientrano Mendes e Tropiano e la squadra è carica a mille. Forza ragazzi andiamo a prendercela

giovedì 31 ottobre 2019

Verso la sesta di campionato. Forza Città di Asti



Cinque le partite fin qui disputate che hanno portato in dote 6 punti frutto di tre pareggi una vittoria e una sconfitta alla prima giornata. Si poteva portare casa qualche punto in più come nella partita a Reggio Emilia e contro Sestu, ma la classifica del Girone parla chiaro non c’è ancora un dominatore assoluto e tutte le squadre possono ambire ai piani alti della classifica. Mettiamo un po’ di sfortuna con i legni, qualche defezione fisica e le squalifiche e la classifica è fatta. Ma c’è un elemento che depone a favore delle truppe di Lotta e di Braga, è una squadra che non muore mai. A Imola, contro una delle pretendenti alla vittoria finale sotto di due reti, la squadra ha disputato un suntuoso secondo tempo con un Corsini ispiratore che ha permesso ad Asti di uscire indenne dalle forche caudine romagnole. Ora dopo tre pareggi consecutivi si impone un altro passo e contro i Saints nel giorno dei Santi (scherzo del calendario) l’obiettivo deve essere chiaro. Alle 16 di sabato prossimo sarà spettacolo e i giocatori e lo staff si aspettano un pubblico numeroso e caldo perché si vince solo insieme

Contro la Corrazzata Reggio Emilia si lotta fino alla fine

  Si andava in casa della capolista contro un gruppo che non ha mai perso e ha solo concesso un pareggio nelle partite precedenti. L’abbiam...