Era il 1980 il Milan stava conducendo
un campionato dignitoso dopo aver vinto la Stella nell’anno domini 1979 e, pur, con l’eliminazione da parte del Porto nella vecchia Coppa dei Campioni era
nelle posizioni di vertice. A Sanremo approdarono quattro giovanotti svedesi
all’apice della carriera canora: Anni Frid Lyngstad, Agneta Faltskog, Bjorn
Ulvaeus e Benny Andersson al secolo gli ABBA forti del loro successo Gimme
Gimme Gimme. Ora, a distanza di 41 anni, un'altra icona svedese scenderà dalle
gloriose scale dell’Ariston, non sappiamo se si esibirà in qualche lirica
modello Claudio Villa ( Binario triste e solitario ……) ma, di certo, ha più
dimestichezza con mosse di taekwondo e di palleggio che di gorgheggi. Stiamo
parlando dell’influencer calcistico e uomo di marketing, oltre che atleta
highlander, che risponde al nome di Zlatan Ibrahimovic. Ospite fisso a un
festival canoro credo che sia tutto sommato una sorta di record superando in
questo persino quel Ronaldo che abita in collina a Torino. Sinceramente non mi
immagino quali tipo di spazi possa occupare al festival ma, di sicuro, incuriosisce pensarlo in compagnia di un Achille Lauro. L’unica cosa che mi fa
sorridere è leggere che la società avrebbe avallato tale partecipazione inserendo, probabilmente, persino una postilla nel contratto ?? Sorrido anche a pensare allo spogliatoio a San
Siro in cui, dopo Pioli is on fire (la canteranno a Sanremo ?? ), magari qualcuno
intonerà altri motivetti orecchiabili tra Orietta Berti, Irama, Annalisa e Bugo.
Cazzo guardi Sanremo? direi proprio di si
martedì 29 dicembre 2020
Dopo gli Abba Zlatan perchè Sanremo è Sanremo
domenica 27 dicembre 2020
Ricostruiamo la Storia che disse Cavour dell'ingresso di Garibaldi a Napoli nel 1869 ????
Non si è ancora spenta l’eco
della petizione su Salviamo Rai Storia (forse era meglio salviamo la Storia
dalla Rai) che la tv pubblica ci ha deliziato di una perla quanto meno curiosa.
In un gioco a quiz una domanda sul padre della patria nato a Torino il 10
agosto 1861 è stato chiesto a un concorrente cosa avesse detto a proposito dell’ingresso
di Garibaldi a Napoli nel 1869 ??????? Beh se la storia non è un’opinione di
sicuro non disse nulla, a meno che qualcuno non avesse estrapolato una frase da
una seduta spiritica in quanto l’esimio Conte spirò nel 1861 a compimento dell’unità
d’Italia, probabilmente il riferimento era al settembre del 1860 non certo il
1869 quando effettivamente nella campagna contro i Borboni l’eroe dei due mondi
entrò trionfalmente a Napoli. Quello che lascia stupiti è che una trasmissione
sicuramente di grande seguito e con uno stuolo di scrittori e autori di testi
si perda su date e citazioni storiche famose, basterebbe anche un breve accesso
a wikipedia senza strafare. Invece la materia che se conosciuta può far trarre
benefici a tutti, conoscere il passato per vivere meglio il proprio futuro,
ancora una volta è reietta e trattata in malo modo. Eppure Angela, Barbero
hanno sicuramente stimolato una fruizione migliore, possibile che non se sappia
cogliere il senso ?
lunedì 21 dicembre 2020
Video Assistant Referee ogni maledetta domenica
“Ora noi o risorgiamo come
squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l'altro, fino
alla disfatta. Siamo all'inferno adesso signori miei. Credetemi. E possiamo
rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso
la luce”. Uso queta frase storica di Tony d’Amato quando arringa la sua
squadra negli spogliatoi prima della partita decisiva e mi viene in mente la
banda Pioli, la loro spensieratezza e il Var, rigorosamente Irrati, pronto a
tagliare le ambizioni e i sogni della banda rossonera. Questioni di centimetri
ieri per Salemakers, rete mezz’ora dopo annullata, oppure Castilejo contro il
Parma anche li per questione di millimetri. Fa sorridere pensare che siamo
passati dai famosi centimetri, li erano parecchi di più di Turone, al mezzo
metro di Muntari, con il compassato Gigi nazionale pronto a dire che lui anche
se ne fosse accorto (bugiardo) non l’avrebbe mai detto (grande esempio di
sportività ma all’epoca non era ancora sommerso dai fruttini sugli spalti) alla
tecnologia spinta che di fatto snatura il gioco stesso del pallone. Beninteso giusto
il Var ma dovrebbe intervenire nei casi più eclatanti e non vivisezionare ogni
singola azione. Ma tra i soloni dei commentatori la perla è stata quella di
Leao colpevole di aver buggerato il povero arbitro Mariani partendo a cento all’ora
al fischio d’inizio. E anche li fiumi di parole quando ogni rigore che si batte
in campionato dovrebbe essere ripetuto svariate volte per il medesimo motivo. Insomma
la tecnologia che avrebbe dovuto azzerare le discussioni le amplifica all’ennesima
potenza gonfiano webzine e giornali di grido; e così da un popolo di arbitri
siamo diventati un popolo di operatori di ripresa, ogni maledetta domenica caro
d’Amato
domenica 20 dicembre 2020
El Cid in tv
La storia è quella della reconquista spagnola, il Cid campione o campeador è il pretesto per l’ennesima serie televisiva di origini storiche. Spolverate di inganni e di tradimenti, di amori corrisposti o meno è la storia dei primi passi di quello che diventerà un simbolo e una leggenda nelle guerre fratricide spagnole per il possesso della penisola iberica, dopo il mille, in cui spesso i cristiani combattevano fra di loro e qualche volta usavano i moriscos come sponda per i loro interessi personali. Cinque puntate bevute tutte d’un fiato, tutto sommato godibili anche se di una lentezza esasperante. Pochi i fatti d’armi e più giocata sul carattere psicologico dei vari personaggi. Come già il precedente dedicato ad Armino sono serie utili per far parlare della storia e del passato e per far intravedere come di fatto sia possibile attualizzare lo studio o per le meno incuriosire su fatti successi centinaia di anni prima. Il riferimento a quanto successo è decisamente migliore rispetto a serie immaginifiche stile il Trono di Spade rimane solo il cruccio che in Italia non ci sia produzioni dedicate alla storia. Un esempio su tutti, si conosce la storia dei soldati Ryan, salvarne uno dopo che era morti tutti i suoi fratelli, ebbene un soldato Ryan italiano, ma nella prima guerra mondiale è esistito davvero, o come non ricordare ad esempio visto che è il periodo dell’anno l’incursione, riuscita, degli italiani nel porto di Alessandria con l’affondamento della Queen Elisabeth, oppure ancora la storia dell’Amba Alagi con la strenua difesa dell’acrocoro Etiopico da parte del Duca Amedeo d’Aosta. Potremo fare la fortuna delle piattaforme televisive chissà che prima o poi qualcuno ci pensi
martedì 15 dicembre 2020
Noi che abbiamo visto all'opera lo Squalo
Per
chi come il sottoscritto ha coltivato illusioni e delusioni negli anni migliori
della propria gioventù a tema calcistico un personaggio come Jeo Jordan, lo
squalo rappresenta una vera e propria icona. Una stella al declino di Rivera,
già capotribuno in campo a dettare il primo dei suoi comizi e poi la paperona
di Albertosi col Porto in casa e il calcio scommesse che aprì il baratro della
serie B e di Milan Cavese. Ma al cuore non si comanda e così al ritorno in A
quella della disgraziata stagione che culminò con quella sporca faccenda tra
Napoli e Genoa tornammo all’inferno, ma in quella stagione quella del rientro
mentre i nomi altisonanti degli stranieri prendevano altri lidi a noi toccò in
sorte proprio lo scozzese. Un tipo simpatico con un sorriso simile se non
peggiore a quello del nemico di 007 proprio The JAWS. Il nostro non era
propriamente un calcio fisico ma con quel gruppo debole il parente di braveheart
si fece notare ben poco e così alla fine tornò con la squadra a riconquistare
la serie A passando da campi improbabili come il Brianteo, mitica la sua
doppietta con Serena passando per la Sambenedettese. All’epoca ci si accontentava
di poco, il mundialito, il calcio su canale 5, era un Milan pane e salame, per
lo champagne avremmo dovuto poi aspettare il lambrusco di Sacchi, ma chi ha
passato il tifo alla radiolina di quel periodo porta nel cuore un pezzo di
storia
mercoledì 25 novembre 2020
Indiana Jones era di Occhieppo
Il 26 novembre di un secolo fa, per la precisione 98 anni or sono, l’egittologia passa da scienza a fiction, da studio a storia, da polvere su tomba a marketing. Lord Carnavon con l’archeologo Howard Carter scopre ed entra per la prima volta nella tomba di Tutankhamon, un oscuro principe morto giovane 3000 anni prima ma che ha il pregio di avere la tomba quasi intatta. E’ la corsa all’Egitto, all’archeologia vista come scoperta di storia, ma perchè no anche come affare. La guerra è finita da poco. L’epidemia della spagnola ha mietuto tante vittime c’è voglia di novità. E per partiti che nascono e battagliano in quell’epoca per il predominio post guerra c’è spazio per la cultura del passato. In Italia però c’è già chi da tempo lavora in quel settore è niente popo di meno che un biellese Ernesto Schiaparelli, di Occhieppo Inferiore, una vita e una passione per l’antico Egitto dove scopre la tomba di Nefertari la sposa di Ramesse, insomma non proprio una figura di secondo piano e poi gestore del Museo Egizio di Torino, quello più grande dopo quello del Cairo. Insomma un Indiana Jones in piena regola, beffato dalla comunicazione e del marketing di altri. Con la solita storia che noi lanciamo una moda, scopriamo qualcosa, poi sono gli altri a godersela, un tempo come oggi. Cambierà mai ?
Era il re del calcio senza la TV
Giocare senza pubblico è come giocare in un cimitero, questa la profetica frase emessa dal Pibe de oro dopo la partita Real Madrid Napoli del 16 settembre 1987, in tempi di covid quanto mai determinante, perché lui era così un uomo del popolo per il popolo. Amava la gente ed era riamato, genio e sregolatezza in tutto e per tutto, un dono innaturale tra i piedi. Per chi negli anni ottanta ha vissuto parte delle domeniche allo stadio, la sua presenza era comunque garanzia di spettacolo oltre che di divertimento, a San Siro in occasione di Milan Napoli prima della partita si sfidavano due ragazzetti in erba con le parrucche di Gullit e di Diego. Era un calcio non troppo fisico ma tecnico, fatto di sombreri, di rulete e di rabone, era il calcio in cui l’atleta più che il fisico curava l’estro, in cui i difensori non cercavano l’anticipo ma la caviglia direttamente (Goikoetxea fu un esempio in tal senso). Per il sottoscritto ha rappresentato la prima rete vista a San Siro una delizia, non era ancora il Milan degli olandesi in quel 13 aprile 1986, ma c’era il barone Liedholm che per fermarlo, ma non gli riuscì, gli mise intorno una gabbia. Ritmi ed eccessi anche fuori dal campo, non certo un campione di comportamento ma forse per tutte quelle sue pecche irrimediabilmente umano e fallace e vicino a noi a quei ragazzini e uomini che prendevano la dieci e si cimentavano in improbabili azioni sui campi di periferia, quelli pieni di buche e di avvallamenti, non certo quelli dell’erba artificiale. Lui era il re sul campo, fuori tutto gli stava stretto e probabilmente quello gli ha rovinato il resto della sua vita. E il 4 gennaio 1988 ero ancora li a San Siro a godermi lo spettacolo di un Colombo, che assomigliava al Keegan della Brianza al secolo Ruben Buriani, che correva a perdifiato, con una prestazione super di Gullit e di un Milan quanto mai a immagine e somiglianza di Arrigo Sacchi e che annichilì il Napoli di Maradona. Era il calcio degli ottantamila a San Siro, delle domeniche pomeriggio, delle trasferte era il calcio senza la TV
domenica 15 novembre 2020
L'unica azione che mi piace è su un campo da football. (le inchieste stufano)
Sarà la presenza in cima alla classifica, non siamo più
abituati, sarà la voglia spocchiosa di condannare lo sport pedatorio perché retaggio
dei ricchi campioni viziati (ma in tutti gli altri paesi mantiene il suo
connotato popolare mentre solo in Italia viene considerato elitario) ma non c’è
giorno o settimana in cui vi siano inchieste, discussioni e trasmissioni dedicate
a tutto quello che ruota intorno al futsal, meglio se il Milan, anche se non c’è
più il pater familias Berlusconi. E se si può bypassare il gioco dei presunti o
conclamati torti arbitrali – var compreso; la discussione si trascina anche in
altri appetitosi contorni: da quelle più pruriginose modello wags a quelle stucchevoli
sanitarie (mi sapete dire per cortesia dove giocano le ASL?) alle inquietanti inchieste
finanziarie. Il nuovo modello d’inchiesta radical chic incoccia la finanza nuda
e pura. E così ci troviamo con società che negano i rimborsi truffando gli
ignari tifosi, ma parlando solo di AcMilan non è così, per finire ai soldi
degli stipendi, alle agevolazioni finanziarie per acquisire le prestazioni dei
giocatori per finire alla contabilità spiccia. Report, che una volta era una
trasmissione seria di inchiesta, ormai sta veleggiando alla ricerca di
improbabili scoop alla ricerca del politically correct o per meglio dire di
aumento share toccando argomenti che hanno presa comune. E così scopriamo nella
preview che il Milan è gestito da un fondo internazionale (ma dai davvero ???) e
che ha persino sede in Lussemburgo (ma veramente dai non ci credo) e che all’interno
della società ci sono intermediatori finanziari che hanno contatti con
esponenti di major legati alla moda e ad altri settori (sbalorditivo). Mi
immagino queste inchieste in cui il si dice e non dice la fa da padrone, in cui
probabilmente si spacciano verità sopraffine. Non c’è curiosità sinceramente, al
sottoscritto interessano di più i contrasti sotto rete che non gli F24 di
Eliott, e la paura di guardare trasmissioni del genere è di fornire audience a
un programma. Godiamoci lo spettacolo calcistico, arrabbiamoci per un risultato
e un palo o una traversa, ma per cortesia fermiamoci li. A tutti gli effetti le
società di calcio sono imprese e per un Lukaku o Ibra che guadagnano soldi a
palate ci sono tante persone che vivono e lavorano per questa realtà, un po’ di
rispetto per il loro lavoro no ?
venerdì 13 novembre 2020
I fratelli De Matteis e la corsa in montagna un altra eccellenza cuneese (Atl Cuneese)
Bernard e Martin Dematteis, campioni di corsa in montagna, testimonial di un progetto multimediale per la promozione del territorio. Si tratta di “Il manuale della corsa e della camminata in montagna”, edito da Tecniche Nuove, con la collaborazione della giornalista e scrittrice Laura Avalle. Un libro che comprende il filmato inedito realizzato dal regista Davide Sordella del sentiero dei Sarvanot a Rore - visibile attraverso un codice QR e il seguente link: https://vimeo.com/449598442. Dal manuale è possibile anche scaricare la traccia GPS del percorso per correre virtualmente con i gemelli Dematteis. Molte le tematiche affrontate, oggi più attuali che mai, come la salute, lo sport all’aria aperta, il rispetto per l’ambiente, l’importanza di una sana e corretta alimentazione e il turismo a chilometri zero, quello vicino a casa nostra, con l’indicazione di 30 sentieri scelti, 9 dei quali in provincia di Cuneo, divisi per gradi di difficoltà (da quelli più semplici, adatti a tutti a quelli più impegnativi, adatti agli esperti). Il manuale e il video è stato presentato presso l'ATL del Cuneese
Un video e un manuale per promuovere il territorio del nostro arco alpino con due testimonial d’eccezione: i campioni di corsa in montagna Bernard e Martin Dematteis, detentori del record di ascesa di corsa sul Monviso (la montagna più alta delle Alpi Cozie con i suoi 3841 metri). Nasce dalla loro collaborazione con la scrittrice Laura Avalle “Il manuale della corsa e della camminata in montagna”, edito dalla casa editrice Tecniche Nuove, leader nazionale nella manualistica e disponibile da novembre in tutte le migliori librerie e negli store online.
Un libro che non è solo un libro, ma un vero e proprio progetto multimediale che comprende il filmato realizzato dal regista Davide Sordella del sentiero dei Sarvanot a Rore - visibile attraverso un codice QR e un link (https://vimeo.com/449598442) - e la traccia GPS del percorso per correre virtualmente con i fratelli Dematteis.
Quella dei gemelli
cuneesi (team Sportification), che nelle
competizioni più importanti hanno l’abitudine di
tagliare il traguardo insieme sventolando la bandiera
tricolore, è una storia che merita di essere conosciuta sia per le loro imprese
straordinarie, sia per il loro esempio sportivo. Così come meritano di essere
conosciuti i sentieri lungo i quali i due campioni si allenano, incastonati in
un territorio davvero unico nel suo genere. Un libro che è al contempo
una guida dei sentieri di montagna di Bernard e Martin e insieme il racconto
emozionato di chi queste montagne ha imparato a conoscerle e ad amarle fin da
bambino. Passo dopo passo i Dematteis ci
spiegheranno questa disciplina dal punto di vista tecnico e ci daranno i giusti
consigli: che cosa mangiare, gli esercizi da fare, come vestirci, come
allenarci al meglio per correre e per camminare in altitudine in sicurezza. Dedicato a tutti gli
appassionati: esperti e neofiti, attratti dalle bellezze naturali del nostro
meraviglioso arco alpino.
gioventù bruciata
Chi si ricorda il buon Filippo, giovane bimbo nerazzurro che presentò un due aste a San Siro chiedendo ai suoi beniamini di vincere altrimenti sarebbe stato preso in giro in classe. Nei giorni successivi prese così tanti pernacchi dai suoi compagni e anche dai tifosi avversari che nemmeno la visita alla Pinetina riuscì a mitigargli la passione subita. Ora è il turno di Tommaso bimbo di cinque anni che scambia messaggi niente meno che con il Primo Ministro Conte discettando di autocertificazioni per Babbo Natale. La domanda neppure troppo retorica è quella di evitare questi accostamenti, nello sport come politica. I politici facciano amministrazione e i bimbi crescano giocando e non vergando messaggi. Purtroppo l’accostamento mediatico dei più piccoli, se da un lato fa tenerezza, dall’altro mette in evidenza la pochezza di un’attività che dovrebbe essere diretta verso ben altri lidi. E se chi ha pensato questa scenetta, perché tale è, lo ha fatto per stemperare, nella migliore, per distrarre, nella peggiore delle ipotesi il clima teso del periodo forse potrebbe impiegare il suo tempo per ben altri aspetti comunicativi. In passato chi ha sfruttato tali canali mediatici non ha avuto grandissima fortuna e quindi il consiglio è lasciar perdere ( ho ancora negli occhi la lezione di un ex ministro Toninelli con una classe elementare – speriamo non abbia fatto troppi danni).
domenica 8 novembre 2020
i tifosi
Il XXV aprile dell’America,
quando ho letto il fondo della Stampa di oggi sono trasecolato, non volevo
crederci, un paragone assurdo, fuorviante e assolutamente fuori contesto a
maggior ragione su una testata come la Stampa da sempre sinonimo di serietà e
non di faziosità. Mettere in relazione storia contemporanea con il presente è
ormai diventata una pratica diffusa: dalla carica dei seicento (non vi era
alcun accenno alla carica di Balaklava né alla guerra di Crimea) alla
similitudine Cavour/Conte, spacciata da Repubblica come l’incoronazione reale
di un premier, il passo alla guerra di Liberazione è stato breve. Si perde il
senso della misura e in una competizione serrata e dura qual è stata l’elezione
del 46 Presidente degli Stati Uniti con toni sicuramente accesi e alle volte
pesanti non si è mai posto in dubbio la stabilità della democrazia, ma da qui a
paragonare la sconfitta elettorale, e sottolineo elettorale, quindi lasciata al
popolo, alla fine del dominio Nazifascista in Italia ne passa. Assistiamo così
alla nascita di una nuova categoria i giornalisti tifosi che si imbarcano in
crociate contro, spesso perdendo di vista anche l’etica professionale, in cui
tutto è derubricato a sostegno della propria filosofia. Premetto Trump non è
certo nel Pantheon dei miei miti, iroso, assolutamente privo di empatia e anche
un po’ pirla, però tutti questi peana a favore di un candidato e fulmini contro
l’altro, manco fossimo alla finale del Superbowl mi sono sembrati eccessivi. In
ogni caso ripasso alla lettura del Foglio che ha pubblicato i discorsi relativi
all’insediamento degli ultimi Presidenti, quelli si pezzi di valore storico e
di alta politica
(“la crisi che stiamo affrontando
oggi richiede un sacrificio, non quello di Martin Treptow ucciso mentre tentava
di portare un messaggio ai suoi commilitoni in prima linea e che nel suo diario
aveva scritto: lavorerò, salverò, mi sacrificherò e farò del mio meglio come se
la questione di tutta la lotta dipendesse da me. La crisi chiamata ad
affrontare non richiede il sacrificio di Martin ma vuole il massimo impegno e
la nostra disponibilità a credere in noi stessi e a credere nella capacità di
compiere grandi opere, a credere che insieme possiamo e vogliamo risolvere i
problemi che ora ci troviamo ad affrontare – 20 gennaio 1981)
venerdì 6 novembre 2020
L'epopea di Tricky Dick e il suo discorso del 7 novembre 1962
A Volte i
buoni uffizi con la stampa sono importanti perché altrimenti corri il rischio
di non avere ne spazio ma quello che è peggio corri il rischio di essere
crocifisso per la tua attività. Ne sa qualcosa un certo Richard Nixon che pur
avendo trascorso 6 anni da Presidente e otto da vice ha sempre avuto una nomea
quanto mai pesante. Diventa giovane politico rampante quando viene chiamato dal
sommo IKE a guidare la vice presidenza degli Stati Uniti nel 1953, si distingue
bene nobilita anche il suo ruolo ma nel 1960 trova sulla sua strada John
Kennedy, che ha più charme e buca meglio lo schermo (saranno le prime elezioni
televisive) e perde seppur di poco, tenta la carriera come governatore della
California ma anche qui perde di poco e si lascia andare a una dichiarazione
pesante nei confronti della stampa. E’ questa l’ultima volta che mi prenderete
a calci. Promessa non mantenuta e vittoria alla Presidenziali del 1968. Fa
uscire gli stati uniti dal pantano vietnamita in cui l’aveva cacciato Kennedy,
si riavvicina con la Cina e duella con la Russia durante la guerra fredda. Un abile
politico ma uno scarso comunicatore che abbandona la scena, inseguito è il caso
di dire proprio dalla stampa che lo bersaglia. Tricky Dick è il nomignolo che
gli viene affibbiato e che lo perseguiterà negli ultimi anni della sua vita
sabato 31 ottobre 2020
Salviamo la Storia dalla Rai
Insomma
tanto tuonò che piovve: mobilitazioni popolari, la solita petizione su Change
org e alla fine la Rai ha partorito il topolino: la trasmissione, o meglio il
Canale, è salvo ecco il comunicato Luce Rai in cui si dice tutto e il contrario
di tutto : l'amministratore
delegato ha spiegato che non c'è alcuna volontà di chiudere nè
accorpare i canali Rai Storia e Rai Sport. Secondo Salini si tratta solo di ipotesi
riconducibili a simulazioni e scenari volti ad affrontare la situazione
economica. Ma l’idea è
che al momento non se ne farà niente e tutto rimarrà immutabile come i
programmi a volte vecchi, altre volte riproposti, altre volte ancora in onda lunghe
disquisizioni soporifere su temi triti e ritriti.
Ecco forse poteva essere l’occasione buona per
rivitalizzare un tema o meglio la storia come elemento e materia utile per
confronti, palestre di incontri, saggi, libri e magari attualizzarla e renderla
appetibile alle giovani generazioni. Ad esempio domani sera (oggi per chi
legge) sul canale troviamo la visione di un film dedicato alla prima guerra
mondiale (torneranno a fiorire i prati di Ermanno Olmi) la guerra sugli Altipiani.
Magari la visione del film poteva essere accompagnata da documentari o da
servizi dedicati al fronte italiano, alla recensione di libri legati alla Prima
guerra mondiale a trasmissioni sulle armi utilizzate al fronte, a un dibattito
politico/militare sulla Grande Guerra (in fin dei conti sono 102 passati dalla
fine del conflitto, magari legandola nei giorni successivi alla pandemia della
Spagnola), alla visione di video dedicati su you tube sull’argomento (che
possono appassionare i più giovani) alla presentazione dei medagliati italiani,
alla disquisizione per esempio sulle formazioni austriache (chi avevamo di fronte,
boemi, sloveni, croati, ungheresi o italiani di origine). Oppure parlare dell’economia
di guerra, del ruolo delle donne, dei canti e dei giornali presenti al fronte,
della retorica e della propaganda.
Sono veramente mille e più lavori che potevano
dare una chiave di lettura dell’evento e invece nulla. Io avrei proposto anche se
si voleva fare audience una maratona di film sulla Grande Guerra (niente di
nuovo sul fronte occidentale, giovani aquile, war horse, 1917, il battaglione
perduto, la grande guerra ecc.) Invece la visione corre il rischio di essere
polverosa, paludata, per pochi ma non per tutti (ma in questo caso al
sottoscritto piacerebbe la platea fosse la più ampia possibile). La storia è il
giornalismo del passato, le esigenze di chi ha vissuto in passato sono le
stesse che viviamo quotidianamente, leggevo a proposito del 1853 dell’epidemia
di colera che colpì il Piemonte, Cavour doveva decidere se effettuare
quarantena o meno (l’odierno lockdown) ma lui si battè contro il parere del Consiglio
della Salute perché il paese doveva andare avanti e non chiudere. Come vedete
argomenti simili al nostro presente, allora, quello che mi chiedo e che vorrei è
un linguaggio che fosse il più possibile comprensibile e popolare, questo
gioverebbe molto alla storia e anche agli italiani e, probabilmente, renderebbe
appetibile la storia, anche su una rete pubblica.
lunedì 26 ottobre 2020
NIHIL NOBIS METUENDUM EST PRAETER METUM IPSUM (non dobbiamo aver paura che della paura)
Divorata letteralmente la serie proiettata su Netflix dedicata ad Arminius e alla battaglia di Teutoburgo, in realtà l’atto bellico dura veramente poco e tutta la serie viene dedicata alla costruzione della congiura con il crescendo tipico rossiniano dai primordi fino al compimento del tradimento che porta alla distruzione delle tre legioni di Varo a Kallkriese. Decisamente spettacolare la ricostruzione dei dialoghi latini, mentre l’idioma più diretto è quello dei cosiddetti barbari, i romani sono presentati alla stregua di invasori perfidi dedicati al profitto e non a difendere i confini del limes, pronti a soggiogare alla più elementare ubbidienza e a massacrare e a vessare le popolazioni locali. Essendo una serie costruita e programmata dai tedeschi certamente non si poteva pensare a una ricostruzione più equilibrata, ma se deve essere rilanciata una seconda serie, mi aspetto l’arrivo di Germanico, la morte di Arminio e la battaglia di Idistavisio, praticamente un Teutoburgo al contrario appena cinque anni dopo la strage di romani. Non so se sarà così ma qualche licenza poetica il regista l’ha attuata. Segeste, il suocero che taglia la testa al cadavere di Varo sembra una forzatura. Manca la figura del fratello di Arminio che rimarrà fedele a Roma anche dopo Teutoburgo. Insomma la figura di Arminio celebrata anche dai nazisti come supremo simbolo di ribellione è stato fin troppo mitizzato, uomo ambiguo che ha sfruttato la sua posizione all’interno della nomenclatura romana (l’impero faceva così per cooptare le popolazioni prima ostili) per mettere in atto il suo piano. Di grande impatto scenico invece il dialogo, post mortem di Varo, quando Arminius parla alla testa mozzata del Console una sorta di excusatio non petita…. Per le sue gesta
lunedì 19 ottobre 2020
Ah se c'era Rambo Koeman
In principio era Lippi, ah se c’era Nedved, poi ora persino Rambo Koeman ha voluto dire la sua premettendo che la Champions 2003 dovesse essere un affare di proprietà dei lanceri di Amsterdam. La storia non si fa con i se e con i ma e bisogna accettare il triste destino o il fato che ti si presenta di fronte durante la stagione. La recriminazione è l’alibi di chi non è andato avanti, ma quello che poi diventa valido e che i periodi ipotetici possono andare avanti all’infinito. Mi preme ricordare, visto che quella partita contro l’Ajax l‘ho vista dai gradoni di San Siro, che quella sera fu una partita pazza e se ci fosse stata la goal line technology il tiro di Brocchi sarebbe stato considerato rete, così come il Milan si mangiò decine di occasioni, mentre gli olandesi misero a referto solo tre tiri e per giunta massima resa con due reti. In quella stagione il Milan merito la vittoria finale per un percorso lungo me denso di soddisfazioni e con fior di scalpi e soprattutto con due combattutissimi derby in finale. Ecco se devo ricordare una vittoria di Coppa per me quella è definitiva e indelebile, per il percorso, la gloria, le partite e le occasioni avute e sprecate, ma capisco che arrivare quasi fino in fondo e poi mancare il bersaglio grosso faccia girare un po’ l’anima. Sensazione da me provata diverse volte, la fatal verona, la notte più brutta della mia vita a Istanbul ecc. bisogna godersi il momento senza rimpianti assaporando ogni piccolo momento, in fin dei conti non è la metafora della vita
domenica 18 ottobre 2020
Non si prenda in giro la Bagna Caoda
Da un amministratore mi aspetto serietà di comportamenti e di azione e non certo atteggiamenti da star e pose da comico di avanspettacolo. Purtroppo la satira, che da sempre sbeffeggia i potenti di turno, invece di pungolare a far meglio è diventata un metro di confronto e lo sbeffeggiato cerca di cavalcarla in modo univoco pronto addirittura a trarne dei vantaggi. Il risultato è pessimo non si sa più chi fa cosa, come ammiccava il buon Enrico Bertolino, politici che fanno i comici meglio dei comici, sigh. Una premessa doverosa per evidenziare l’ennesima battuta di un governatore che è diventato un icona/macchietta e che supera persino il suo imitatore principe (il paese delle meraviglie Crozza). Cosa abbiamo fatto per meritarci tutto questo? Invece di dedicarsi a temi amministrativi a lui più cari, sfotte i piemontesi e la bagna caoda nella infinita lotta calcistica fra il male (la Juve) e il bene (tutto il resto del football), a margine della querelle Covid De Laurentis/Agnelli, il tutto nel solito melenso programma di un conduttore non conduttore. Trovo la vicenda assurda, fuori luogo e fuori contesto. Sinceramente non mi fa ridere “sentenza limpida come una scodella di bagna caoda” non offenderei in questo modo, col suo modo un popolo e il suo territorio. La Bagna Caoda è stato sempre un cibo povero, tradizionale gustoso di una terra e del suo popolo che in questo modo celebrava anche tradizioni contadine, non si usava certo la scodella ma il fujot (sfido il buon governatore a pronunciarlo con la giusta cadenza), e quella preparata a Faule nel Cuneese è una delle migliori mai assaggiate. Salsiccia e friarielli oppure la mozzarella di bufala sono altrettanti buoni piatti di una cucina italiana cos’ variegata e buona da meritare la giusta e dovuta attenzione e non certo metro di paragone nè tantomeno di sfottò. Siamo una nazione che si fonda su tradizioni e gusti che variano di luogo in luogo siano un merito e un vanto di ricchezza non uno sfottò caro De Luca
domenica 4 ottobre 2020
La storia su Netflix arriva a Teutoburgo 2011 anni or sono
Torna la storia su Netflix ed arriva con una produzione
tedesca tutta dedicata alla disfatta romana a Teutoburgo del 9 dopo cristo
quando le tre legioni di Publio Quintilio Varo furono letteralmente massacrate
e distrutte nella selva tedesca tra l’8 e l’11 di settembre. Un duro colpo alle
aspettative dei romani di imporre il proprio giogo così lontano dalla penisola
italica. Come sempre succede in questi casi errori di impostazione, una regione
non ancora pacificata, ne tantomeno asservita all’Impero e in cui un
governatore/generale come Varo non era certo la persona giusta per quei tempi. Un
traditore conclamato come Arminio che conduce le legioni a un’imboscata in un
terreno sconosciuto e procede poi al massacro, anche i legionari prigionieri
furono sacrificati come tributo alla vittoria. La storia ci racconta che la
vendetta di Roma non tardò ad arrivare, sette anni dopo Germanico, lavò l’onta
di quella sconfitta con una vittoria poderosa e un massacro successivo delle
genti tedesche. Roma però non si stabilì in quella zona, troppo improduttiva
per tasse, gabelle e sfruttamento minerario, scegliendo di fatto l’est Europa,
con la Dacia. La curiosità è quella di vedere le sei puntate della serie, per
capire se la ricostruzione è fedele alla storia oppure una sorta di revanche
tedesca sulle genti latine, ma questo si capirà solo se ci sarà il seguito, la
prima serie si ferma infatti l’11 di settembre (guarda caso) nella selva di
Teutoburgo, l’odierna Kallkreise, Germanico arriva dopo.
mercoledì 30 settembre 2020
Si gioca
Chi ama lo sport, di qualunque disciplina si tratti, ha un solo pensiero in testa praticarlo, e chi lo fa agonisticamente ha bisogno dell’adrenalina della competizione e perché no del sostegno del pubblico. Lo sport è salute (lo dicevano ben anche i latini mens sana in corpore sano) chiudersi a riccio invece, non praticarlo e restare confinati in un limbo è altrettanto pericoloso. Le sortite del sottosegretario alla salute Zampa che ha chiesto di chiudere il campionato di serie A denota proprio un principio di non conoscenza e soprattutto di timore ingiustificato. Non possiamo permetterci nessun altro lockdown, ne lavorativo, ne ludico, ne personale, la nostra salute è in gioco. Certo attivare i protocolli di sicurezza è un atto doveroso ma bisogna guardare oltre, trovare la cura e combattere i virus ma la vita deve proseguire, anche quella sportiva, altrimenti il rischio è di imbruttirsi sempre più e di non trovare la strada del riscatto. Se dovessi fare un paragone sembra la sindrome dell’anno 1000 in cui si vaticinava la fine del mondo, fenomeno non verificatosi di certo anche se gli anni successivi non furono certo forieri di grandi notizie positive
venerdì 25 settembre 2020
L'insostenibile leggerezza di Zlatan
Il politically correct impera sempre più, un incrocio quanto mai inutile con il benaltrismo si insinua nei commenti in rete con professoroni sempre pronti a dare lezioni di bon ton a tutti. L’ultimo in ordine di tempo è legato a una frase di Zlatan, il Benjamin Button del calcio nostrano approdato a Milano che, positivo al Coronavirus, ha postato sui propri canali, un inno alla lotta al virus con il suo stile modello highlander. Che il suddetto calciatore abbia un ego mostruoso è risaputo ma nel tempo lo ha trasformato in un modello marketing aggressivo. E questa volta il malcapitato di turno era niente meno che il virus che ci ha costretti a lockdown e a convivere con questa brutta malattia. A questo punto si sono scatenati i perbenisti di turno identificando il male nello svedese, reo così di insultare i defunti di Bergamo, il ground zero del Covid. Peccato che lo stesso calciatore durante il lockdown abbia provveduto a mettere in piedi una raccolta fondi per l’Humanitas dimostrando più acume e sensibilità di tanti soloni in rete. Ma c’è un fatto che mi ha particolarmente incuriosito, uno degli autori del post, noto giornalista che ha diretto persino il telegiornale rai della rete ammiraglia, ha ammesso di essere diventato il bersaglio in rete degli hater !!! Mi son preso la briga di controllare e su 300 commenti alle sue affermazioni solo una parte infinitesimale si è lanciata in improperi e commenti non proprio oxfordiani, gli altri consigliavano il suddetto a fare una valutazione differente sulle affermazioni del calciatore svedese. Quindi la domanda è: perché se sei un giornalista di grido devi creare il caso anche quando non c’è e lo fai per di più per due volte di seguito? Cui prodest ? Se vogliamo che la rete e la comunicazione diventino una palestra di confronto e non di scontro facciamo in modo che proprio chi governa il mondo dell’informazione sia corretto in tutto e per tutto.
martedì 22 settembre 2020
Il colonnello Sarri e le altre fantasmagoriche avventure del mondo pedatorio
Una giornata per certi versi
incredibile per quanto riguarda il mondo del calcio, ma non quello giocato bensì
il contorno, la coreografia di cronaca giudiziaria e vespasiani di parole che
stanno ai margini dell’atto sportivo. E oggi ne abbiamo viste delle belle
veramente. Dall’inchiesta sugli esami truccati, siamo ancora agli inizi e ai
dettagli ma quello che emerge fa accapponare decisamente la pelle. Intercettazioni
modello società onorata, pizzini che passano di mano in mano, pardon di
professore in professore, manco fossimo in un liceo paritario; il colonello
della GDF che per un puro scherzo del destino si chiama Sarri (nemmeno nei plot
tradizionali si poteva studiare un copione così) una società dietro le quinte
ma che viene additata come la vera orchestrante di esamopoli. E poi lui il
pistolero, al secolo hannibal lecter luisito suarez, faccia da bounty killer di
area, e l’area ribollente degli anti (anti juve, anti inter, antisistema e chi
più ne chi ne metta). Una spy story in piena regola che ci accompagnerà presumo
fin oltre il panettone, con inchieste, rivelazioni e complotti. E nel frattempo
abbiamo già dovuto subire, l’esegesi del maestro allenatore Pirlo che Perle
(illuminaci) il filosofo portiere della nazionale, Mughini dixit, (illuminaci
ancora), il dinamico duo Conte/Vidal (illuminateci sopra il parrucchino); il
curioso caso di Benjamin Button (illuminaci e guidaci Ibra) la sindrome dell’est
(Milik Dzeko e tanti altri compreso Roglic e altri assortiti ciclisti sloveni).
Quello che sorprende è che siamo solo alla prima giornata, anche se settembre è
all’epilogo, ma per fortuna rimane la serietà del fantacalcio e degli autogoal
chi lo avrebbe mai detto.
domenica 20 settembre 2020
Chi vincerà il calcio dei Mille ? Nino Bixio Inzaghi o Callimaco Zambianchi Pirlo
Fa un po’ sorridere che nel post covid
allo Stadio siano ammessi mille spettatori, in quelle cattedrali nel deserto
che risulteranno essere gli Stadi italiani. Immaginate gli spettatori all’Olimpico
di Roma piuttosto che a San Siro, luoghi deputati per ben altre masse.
Indubbiamente si perderanno all’interno della struttura e potranno come
spettatori privilegiati sentire distintamente i dettami, gli schemi dell’allenatore
urlati a squarciagola e persino i bisbiglii del bordocampista. Ma tifo no,
quello organizzato, quello delle coreografie, dei cori e degli incitamenti, ed
è questo quello che è brutto osservare, la partita alla televisione è bella ti
consente di viverla come fossi un esperto pagante di var, non come uno della
squadra vestita come un evidenziatore (cit. palpabile sugli arbitri). E allora
da maniaco della storia mi piace pensare che questa storia dei Mille sia come
un effetto del Risorgimento, una sorta di ripresa di quello che un tempo era
nostro, di riappropriarci del gusto di uno spettacolo mitizzando sul numero come
fossimo tutti dei novelli Garibaldi. Le navi che si chiamavano Piemonte e
Lombardo, una sorta di primogenitura delle squadre di Torino e Milano in lotta per
il primato (ecco forse il Torino no, ma non disperiamo) e all’interno di quella
ciurma da mille i fiorentini, i genovesi, gli emiliani, i veneti e perché no
anche gli esuli romani, campani, guidati dai generali nino bixio inzaghi e
callimaco zambianchi pirlo. Ah che bella la storia ma che bello anche lo
spettacolo del calcio forza riprendiamoci ciò che è nostro
lunedì 14 settembre 2020
Premio Ululì Cultura ululà
L’idea di usare la Ferragni per raggiungere un pubblico
diverso per un’istituzione culturale mi era sembrata una buona idea, aumentare
la platea dei fruitori oltre a introitare risorse per la cultura aveva uno
scopo ben preciso: acculturare l’uditorio e portare a conoscere temi desueti ai
più, un fine nobile. E’ di queste ore invece la notizia che “l’influencer” (in
passato trascinatori o capopolo come i centurioni Tito Pullone o Lucio Voreno
ai tempi di Cesare, il divo Giulio) ha ricevuto un onorificenza, leone d’oro
per meriti civici e qui scatta un po’ la sorpresa. Insomma siamo un popolo che
onora o trova i suoi mentori in gente di spettacolo; è di pochi mesi fa, pre
covid, la nomina di Lino Banfi ambasciatore Unesco, il vecchio commissario
Logatto a deliziarci sulle bellezze culturali e fare da testimonial. Sorge un
minimo di imbarazzo e anche un po’ di scetticismo: qual è il messaggio che
diamo alle giovani generazioni: studiare e acculturarsi? probabilmente no. Meglio
cullarsi della vaghezza delle mode del momento sfruttare l’onda e sperare di
trovare l’appiglio giusto. Bene che vada, come cantava Gianni Morandi uno su
mille ce la fa ma tutti gli altri ??. Allora ben venga lo studio e cerchiamo di
mitizzare anche la normalità, lo studio, la ricerca e la cultura, quella è
vincente sempre e comunque e facciamola diventare la regola non l’eccezione
domenica 13 settembre 2020
Il grande incendio di Mosca - 1812
La storia come ben sapete si
ripete sempre immutabile e l’uomo come al solito sbaglia. Napoleone al culmine
della sua apoteosi per motivi di grandezza e di prestigio, cerca il colpo di
gran classe, quello che può schiudergli gli allori futuri. Ma come in una mano
di poker l’All in che egli si gioca sul piatto russo lo lascia letteralmente in
braghe di tela e lo porta alla rovinosa sconfitta e all’oblio dai fasti che lo
avevano portato sul tetto d’europa. La grande Armee invade la Russia il 24
giugno, Hitler oltre un secolo dopo anticiperà solo di due giorni. Arriva a
Mosca dopo l’ultima battaglia di Borodino del 7 settembre, ma proprio il 14 di
quel mese scoppia l’incendio che distruggerà oltre 6000 case di Mosca fatta
eccezione del Cremlino; da li la ritirata oltre un mese dopo, troppo tardi. A
migliaia moriranno di stenti, di freddo, oltre 400.000 uomini e i migliori
ufficiali francesi, della truppa fanno parte anche 32.000 italiani gli
antesignani degli Alpini del 1942/43 anche loro costretti alla ritirata. Una
storia ciclica che si ripete e che si ripeterà ma che lascia ai posteri nomi di
luoghi, di eventi che hanno forgiato la nostra storia
sabato 5 settembre 2020
"Quelli che......... vivono una vita da malati per morire da sani". Riflessioni sulla chiusura degli Stadi
La notizia è dell’ultima ora, il premier Conte, parla di
inopportunità per la riapertura degli Stadi e così l’inossidabile, immarcescibile
e impalpabile capo del governo ci relaziona sull’ennesima non presa di
posizione del suo modo di governare da ormai oltre 24 mesi. Il mondo del calcio
è patrimonio del gioco, delle società e dei giocatori, ma se Dio vuole è anche
dei tifosi. Il Foglio oggi porta alla ribalta uno studio che decreta come nel
mondo delle imprese sportive, la parte del leone la facciano i giocatori, ma l’8
per cento sia determinato dalla presenza e dal tifo incessante di chi allo
stadio trascina i propri colori. L’esempio e il florilegio di esempi va dal
celeberrimo 3 a 2 derby di Torino sotto la spinta della Maratona, alla Kop di
Liverpool per finire al Die Galbe Wein di Dortmund del Westfallestadion. Il tifo è una parte
assoluta del mondo del calcio, come di quella sportiva in genere, vedere gli
stadi e i palazzetti vuoti stringe il cuore e rimandare alla scatola televisiva
come unico luogo deputato alla visione prospettica dello sport è debilitante
oltre che inguardabile. Lo stadio ha sempre rappresentato la platea estrema in
cui consumare la passione, in cui l’urlo, il tifo scatenato, la gioia per una
segnatura o anche l’incitamento e la passione per i propri colori quando va
male è una pulsione sociale condivisa e da condividere. I ricordi ti portano a
pensare alla preparazione, alla trasferta, al profumo del panino alla porchetta,
infarcito di gusti calabresi, e poi allo spettacolo dentro al catino (per me
San Siro) i cori, a volte anche non politically correct, emozioni percorse
mille volte eppure sempre nuove e da ripetere. Chilometri in macchina a gustare lo spettacolo
e poi al ritorno a ripercorrere il vissuto, come quel 23 aprile del 2003, quel
3 a 2 a San Siro pirotecnico di Milan Ajax che schiuse alla sesta coppa dei
campioni, un telefonino recuperato sei gradoni più in basso, alla rete di Tomasson
al 91 e una gioia spettacolare condivisa con altri 80.000. Non vorrei che
questi rimanessero ricordi sbiaditi, premier Conte riapriamo, magari in
sicurezza prima magari pochi ma poi torniamo a vivere, troviamo le cure,
lavoriamo su questo per non fare la fine di quello che cantava Jannacci: quelli
che vivono una vita da malati per morire da sani. Per la cronaca Enzino era del
Milan e viveva la Sud .
sabato 29 agosto 2020
Pietro Micca il passepartout di Marco Sanfelici
“Se da ragazzo ti affibbiano il soprannome di “passepartout”, molto probabilmente è perché la costituzione è esile, sottile, filiforme ed i nervi e le giunture sono predisposte ad infilarsi dappertutto, come dice la traduzione dal francese. Per cui, se appena scollinata la maggiore età, ti va di trovare una sistemazione stabile per mettere assieme il pranzo con la cena con una certa continuità, non solo per te, ma anche per moglie e figli, è facile finire dentro una divisa ed essere scelto per intrufolarti in gallerie sotterranee e cunicoli vari”.
Erano forse questi i pensieri che affollavano la mente di Pietro Micca, da Sagliano nei pressi di Biella. O da Andorno, che è il paese a valle di Sagliano? Ancora oggi la diatriba è ben lungi dall'essere chiusa e, per non saper né leggere né scrivere, i sindaci rispettivi si sono appropriati dei natali dell'illustre concittadino e non ammettono discussioni. I pensieri si annidavano nella mente di un soldato guastatore che stava per cercare di sbarrare per l'ennesima volta la strada, affinché non fosse presa la Cittadella sabauda, in compagnia di un commilitone, pure lui alto, smilzo, sgusciante, talmente alto da apostrofarlo, pare con un “lung cme 'na giornà senssa pàn”. Tutto da verificare, ovvio.
I pensieri viravano verso la paura di essere giunto di fronte ad una scelta finale, a rischio di quella vita ancora troppo breve e tutta da vivere. Ma i francesi stavano avanzando dentro la galleria, dopo avere finalmente scoperto l'arcano da cui i militari di Vittorio Amedeo II° si palesavano nelle notti della pianura al di là delle retrovie, mietendo perdite ingenti ai franco spagnoli assedianti Torino.
Emanuele Filiberto, quello del Cavàl 'd bronz, e suo figlio Carlo Emanuele non avevano lesinato nel costruire la Cittadella più inespugnabile d'Europa. Eppure il 29 agosto del 1706, l'edificio militare invidiato dai re di tutto il vecchio Continente, aveva bisogno del sacrificio di un umile soldato dal buffo e quanto mai azzeccato soprannome.
Non si creda alla retorica di secoli di nazionalismo da quattro soldi. Pietro cercò in tutti i modi di salvare la “ghirba”. Probabilmente inciampò sulla miccia, già minima di per sé per non lasciare scampo ai francesi in arrivo e restò impigliato cadendo e morendo sull'istante per lo spostamento d'aria e per i calcinacci scientificamente crollati per ostruire il passaggio agli assalitori. Come andò veramente non si saprà mai, non erano ancora in dotazione gli smartphones con cui riprendere la scena, invece di prestare eventuali soccorsi.
Il duca era alle porte di Torino allo stremo con l'esercito piemontese e con le compagnie austriache comandate dal cugino Eugenio. Questione di qualche giorno e le truppe del Re Sole sarebbero state scacciate una volta per tutte insieme agli alleati spagnoli. La storia italiana avrebbe preso il verso che conosciamo e Torino diventata la Porta della Pianura Padana, la città imprendibile, la capitale del Regno Savoiardo (titolo conquistato proprio per la vittoria del 1706). Uno dei quartieri della città a nord della Dora Riparia è intitolato a quella vittoria. Se si alza lo sguardo verso uno dei muri portanti del Santuario della Consolata, si può ammirare una palla di spingarda conficcatavi nel 1703. La fine ed il principio dell'assedio dall'esito glorioso, nel quale un biellese di montagna sceso al piano in cerca di fortuna, trovava il modo di fare il “passpartout” per entrare stabilmente sui libri di storia e nelle dispute tra paesi che avanzano i suoi natali. Ora gli smartphones esistono ed uno di essi che fotografa la presunta casa natale, è fonte di introiti. E nel biellese la pecunia è tutt'altro che vile.
Marco SANFELICI
Un Bonus è per sempre
Se c’è una parola sdoganata in questo periodo è bonus (bonus partite iva, bonus per diverse categorie, bonus 110, bonus champions ecc) a scalare secondo tutte le esigenze sia di natura fiscale, sportiva che di post covid. Insomma in un contratto oggigiorno se non metti duemila postille non sei nessuno, ma da un punto di vista motivazionale non è del tutto risibile. Ottieni un buon punteggio scatta il bonus, sei in grado di aumentare la tua produttività, scatta il bonus, raggiungi un obiettivo scatta il bonus. Insomma che sia il futuro? me lo immagino non solo a livello pedatorio, ad esempio posta sul contratto di Zlatan ma per esempio sulla produttività di diversi comparti. Paga base e poi se ci sono risultati brindiamo tutti insieme. Ne propongo una, se svolgo un lavoro e mi paghi entro dieci giorni ti faccio un bonus (meno dieci per cento) che dite troppa fantasia ?? può darsi ma alle volte è bello sognare.
venerdì 28 agosto 2020
Una tuta per il triplete ?
Dante Alighieri la definiva “pena del contrappasso”, il supplizio cioè cui era condannato per l'Eternità colui che in vita aveva commesso peccati talmente gravi da non essere perdonati. Valga un esempio per tutti: gli ignavi, coloro che avevano passato una vita di nascondigli, di indecisioni, di autoesclusioni dalle prese di posizione, vengono condannati a correre senza sosta, nudi ed esposti in ogni parte del corpo ai punzecchiamenti di insetti fastidiosi. Non si sono mossi durante la vita? Il contrappasso li obbliga a correre per sempre.
Dubito che il ladruncolo da quattro soldi che al Centro Commerciale “Gli Orsi” di Biella se ne è uscito bellamente con una tuta dell'Inter sotto braccio, abbia letto la Divina Commedia. Sono più portato a pensare che, non ancora del tutto rifattosi dalla delusione “sivigliana”, abbia pensato a rifarsi a modo suo, volendo ottenere per sé tutto ciò che la vita non gli abbia riservato.
Già essere interista non è proprio il massimo, giacché si è spesso esposti agli improperi di tifosi che, dopo avere assistito alle solite “bausciate” ante, si scaraventano contro il “chiacchierone “ di turno post. Ma una tuta val bene un furto. Chi ruba è un ladro, ma “noi siamo onesti” (contrappasso). Con la tuta indossata non è più necessario esibire i documenti. Con la tuta indossata, ogni passaporto ha un valore indiscutibile, senza andare fino alla motorizzazione di Latina. Basta la tuta (contrappasso). Si sarà guardato in giro (...e uno), avrà frapposto se stesso allo sguardo della commessa (...e due) e finalmente avrà allungato la mano (...e triplete!!!). E poi via, più veloce dello scudetto a tavolino del 2006. Pare però che, mentre Guido Rossi facesse tutto incontrollato, stavolta le telecamere di sorveglianza possano aver fatto il loro dovere egregiamente (contrappasso) e che sia solo questione di ore per riportare la tuta allo store ed assicurare il nerazzurro alla Giustizia. A tale proposito nutro qualche remora sulla facilità di assicurare un interista alla Giustizia, dato che, tra plusvalenze false, passaporti farlocchi, spionaggi industriali, lobbing con gli arbitri dei presidenti, scudetti fasulli e prescrizioni varie, la fanno sempre franca. In fondo cosa si vuole che sia una tuta dell'Inter. Male che vada, l'Onesto che ruba (contrappasso) potrà sempre affermare che non sarà ”mai stato in “B”, ma in galera sì.
giovedì 27 agosto 2020
Messi qua e là
sabato 22 agosto 2020
Vincere non è l'unica cosa che conta
Certamente non ho tifato inter nella finale tra la Beneamata
e Siviglia ma mi sono apparecchiato sul divino pronto a godermi una bella
partita di calcio, e devo dire, che onestamente è stata una partita tosta
combattuta e a tratti perfino emozionante. Ha vinto la squadra meno contratta,
quella che forse aveva meno da perdere, Inter tradita dal nervosismo di essere
arrivata a un passo da una vittoria che era sicuramente importante. Tradita
dall’isteria del suo allenatore, ho riso come un matto alla scenetta di Banega,
ex Inter, che irrideva al parrucchino (presunto visto che è un trapianto) del
mister Conte, e probabilmente quella poca serenità ha giovato al Siviglia che
ha impostato la gara come ha voluto. Su una cosa però mi soffermerei l’incapacità
di accettare una sconfitta. Nella premiazione si vede proprio da parte dei
giocatori l’insoddisfazione dell’arrivare al secondo posto e di togliersi dal
collo la medaglia di consolazione, come se quel pezzo di argento fosse un’onta
senza paragoni. E qui sta l’errore, perché se arrivi fino in fondo e manchi
solo l’abbrivio finale perché non festeggiarlo. Forse che alle Olimpiadi quel metallo
sia meno pregiato? Una stagione non si misura solo con i trofei, ma con il
percorso, con la crescita, con le azioni. Siamo, in Italia, figli di una
cultura, almeno quella sportiva in cui l’unica cosa che conta è vincere e
questa non è un’educazione civica, ma il sopravanzare di una filosofia secondo
cui non esiste niente di più bello del primeggiare. La vita prima o poi ti
mette di fronte a un conto in cui bisogna abbassare la testa e accettare anche di
non essere in cima, per cui meglio essere parchi nelle vittorie e orgogliosi
nelle sconfitte, si impara molto di più da questa filosofia.
mercoledì 19 agosto 2020
Niente Miss siamo atleti ??????
Stiamo rasentando la pazzia, il politically correct meglio
noto anche con un’altra accezione più intensa il benaltrismo sta diventando il
mantra profetico di questo periodo. In principio era Via col Vento, filmone
epico da mettere all’indice per via di un sottinteso razzismo, poi l’iconoclastia
nei confronti dei personaggi del passato, alcuni certamente discutibili, altri
messi alla berlina per via di presunti atteggiamenti o riletture storiche. Ma
la notizia odierna che mette al bando la premiazione di atleti con belle donne al
Tour de France è decisamente da fuori di testa. L’accusa che il patron della
Grande Boucle non vuole è quella di essere una manifestazione sessista ???? Mi
chiedo se stiamo rincretinendo; i prossimi passi quali saranno: vietate le
sfilate di moda perché si usa il corpo di uomini e donne sicuramenti belli ??
vietati anche i concorsi di bellezza ?? vallette e vallette televisive fuori
ordinanza perché non consoni. Vietatissimi quindi anche gli spogliarelli
maschili del 8 di marzo (perché si il corpo della donna non si può mercificare
ma anche quello maschile per pari opportunità allora). Il vero problema del
nostro tempo è che non sappiamo più ridere, scherzare e ci prendiamo troppo
seriamente, ma che società sta diventando, ma abbiamo bisogno di questo per
andare avanti ??? Manca una cultura di fondo, troppo presi da interpretazioni
filosofiche abbiamo perso di vista il contatto umano fatto anche di intercalari
bonari che prevedevano il vadaviaiciapp alla milanese o gnesuncancher alla
mantovana, oggigiorno assolutamente banditi per algide strette di mano e freddi
rapporti, ridatemi il 1900
TOPO ... nomastica d'assalto in salsa piemontese di Marco Sanfelici
Sorvoliamo sulle terme di Plombieres, facciamo finta di nulla circa l'alleanza tra Napoleone III° e Cavour, narra la tradizione agiografica comodamente seduti sul sedile di un calesse, andiamo subito alla situazione derivata dai “fanghi” della cittadina savoiarda. Il Piemonte, piccolo staterello cuscinetto tra le grandi potenze invia l'esercito sabaudo (per essere più fedeli alle definizioni storiche: esercito sardo) in Crimea, per prendere parte alla guerra che vede l'Impero Russo accerchiato da un'alleanza che contempla Inghilterra, Francia, Impero Ottomano ed Regno di Sardegna. Cavour subodora un chiaro pericolo di convergenza di intenti tra Napoleone III° ed Austria e gioca la carta dell'equidistanza. Che il destino dei Savoia sia da sempre stato il muoversi in modo ondivago tra potenze a cui dare e togliere la propria alleanza è la storia a sancirlo. Sono in gioco questioni di controllo e custodia del Santo Sepolcro, ma non è l'oggetto del nostro interesse. Viceversa concentriamoci su una data fondamentale per le sorti della guerra: il 16 agosto 1855, dopo quasi due anni di conflitto. La battaglia che vede la partecipazione attiva e decisiva delle truppe sarde avviene nei pressi di un rivolo d'acqua che gli abitanti del luogo definiscono “piccolo ruscello nero” (in ucraino: ciòrnaja rièchka). A guerra vinta e di fronte al trionfo di Vittorio Emanuele II° e del suo primo ministro, conte Benso di Cavour, l'autorità cittadina prende immediatamente la decisione di intitolare una strada in via di tracciamento col nome della località, sede del cruento combattimento finale. Subito si presenta un problema di non poco conto. Chiunque sia torinese non di importazione e che mastichi con buona padronanza il dialetto, individua subito l'assonanza “ciòrnaja” con quella particolare parte del corpo femminile “che muove il mondo”. Davvero imbarazzante un dialogo del tipo: “'N dua ta stàghe 'd cà?” “Pardòn, ehm, 'n vìa Ciòrgna 69 (sèssanteneuv)”. Si pensa allora di far assurgere a sostantivo l'attributo, ripiegando su “La Nera”. Peccato che, “la nèira” in piemontese significhi...la stesso cosa o se si vuole la stessa essenza femminina, ma al dispregiativo. Peggio che andar di notte. Ecco che, in un momento di disperazione in Sala Consigliare nasce la soluzione. La preclara capacità italica di venire fuori dalle difficoltà con estro ed eleganza partorisce un nuovo idioma che suona “Cernaia”. Detto e fatto. La via che contempla i giardini Lamarmora (tanto per restare in tema), che incrocia la casamatta della Cittadella, attuale sede del museo dell'artiglieria (per Pietro Micca rimando ad una prossima puntata), la caserma della scuola carabinieri di complemento, la sede della R.A.I. e termina in braccio alla vecchia stazione di Porta Susa, è finalmente insignita di un nome nobile, ad imperitura memoria dei fatti di Crimea (in Piazza Crimea per un decennio la Juventus ha avuto il suo Quartier Generale, ma questo è un altro film). E poco importa se Cernaia non è presente su nessuna cartina geografica ed è conosciuta soltanto a Torino ed in lingua italiana. Nel tempo in cui si coprono le gambe dei pianoforti, un nome mistificato val bene “l'edocassiùn dij sitadìn”.
Marco SANFELICI
lunedì 17 agosto 2020
L'Europa League del 1916 - no referee
Mentre sullo schermo grande va in onda la semifinale di
Europa League tra Inter e Shakhtar mi sovviene un vecchio ricordo legato alla
prima guerra mondiale e alla battaglia delle
Somme con l’ufficiale inglese Wilfred Nevill. Siamo nel 1916 la guerra è in una
fase stantia; a Verdun centinaia di migliaia di uomini francesi e tedeschi
combattono per il possesso di alcuni forti e i vantaggi territoriali sono
pagati a un prezzo altissimo. Migliaia di morti per una lotta che durerà mesi e
non porterà ad alcun beneficio. Per rendere il compito meno gravoso ai francesi gli inglesi programmano l’offensiva
che sarà ribattezzata delle Somme. Anche in questo caso un altro carnaio carico
di decine di migliaia di giovani che vengono sacrificati. L’attacco è previsto
per la mattinata del primo luglio. L’ufficiale ha portato con se due palloni su
cui ha fatto mettere due scritte inequivocabili. Sul primo “la finale della
Coppa europea tra gli East Surreys e i Bavaresi. Calcio d’inizio 0- 0”. Sul
secondo invece la scritta era No referee (nessun arbitro) un modo per dire
senza equivoci che si doveva attaccare senza pietà la trincea nemica. Dopo il
fuoco di sbarramento dei cannoni. I due palloni furono calciati con forza verso
le trincee nemiche, era il segnale convenuto per l’attacco e alle 7.30
cominciano a uscire dalle trincee i reparti inglesi. Fu una mattanza per i
giovani inglesi 60.000 fuori combattimento in una sola giornata ma rimane
indelebile il gesto di quei palloni calciati, simbolo di una gioventù che aveva
voglia di vivere e che andò invece a schiantarsi contro gli shrapnel e il filo
spinato nella terra di nessuno (no man’s land). Wilfred morì poco prima di
mezzogiorno colpito alla testa da un cecchino tedesco ma il suo gesto rimase
per sempre.
Contro la Corrazzata Reggio Emilia si lotta fino alla fine
Si andava in casa della capolista contro un gruppo che non ha mai perso e ha solo concesso un pareggio nelle partite precedenti. L’abbiam...
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Finale convulso al Palabrumar a 59 secondi dalla fine Borgnetto si accascia a centrocampo mentre aveva la palla, Boscaro si invola e Tres D...
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