sabato 29 agosto 2020

Pietro Micca il passepartout di Marco Sanfelici


 “Se da ragazzo ti affibbiano il soprannome di “passepartout”, molto probabilmente è perché la costituzione è esile, sottile, filiforme ed i nervi e le giunture sono predisposte ad infilarsi dappertutto, come dice la traduzione dal francese. Per cui, se appena scollinata la maggiore età, ti va di trovare una sistemazione stabile per mettere assieme il pranzo con la cena con una certa continuità, non solo per te, ma anche per moglie e figli, è facile finire dentro una divisa ed essere scelto per intrufolarti in gallerie sotterranee e cunicoli vari”.

Erano forse questi i pensieri che affollavano la mente di Pietro Micca, da Sagliano nei pressi di Biella. O da Andorno, che è il paese a valle di Sagliano? Ancora oggi la diatriba è ben lungi dall'essere chiusa e, per non saper né leggere né scrivere, i sindaci rispettivi si sono appropriati dei natali dell'illustre concittadino e non ammettono discussioni. I pensieri si annidavano nella mente di un soldato guastatore che stava per cercare di sbarrare per l'ennesima volta la strada, affinché non fosse presa la Cittadella sabauda, in compagnia di un commilitone, pure lui alto, smilzo, sgusciante, talmente alto da apostrofarlo, pare con un “lung cme 'na giornà senssa pàn”. Tutto da verificare, ovvio.

I pensieri viravano verso la paura di essere giunto di fronte ad una scelta finale, a rischio di quella vita ancora troppo breve e tutta da vivere. Ma i francesi stavano avanzando dentro la galleria, dopo avere finalmente scoperto l'arcano da cui i militari di Vittorio Amedeo II° si palesavano nelle notti    della pianura al di là delle retrovie, mietendo perdite ingenti ai franco spagnoli assedianti Torino. 

Emanuele Filiberto, quello del Cavàl 'd bronz, e suo figlio Carlo Emanuele non avevano lesinato nel costruire la Cittadella più inespugnabile d'Europa. Eppure il 29 agosto del 1706, l'edificio militare invidiato dai re di tutto il vecchio Continente, aveva bisogno del sacrificio di un umile soldato dal buffo e quanto mai azzeccato soprannome. 

Non si creda alla retorica di secoli di nazionalismo da quattro soldi. Pietro cercò in tutti i modi di salvare la “ghirba”. Probabilmente inciampò sulla miccia, già minima di per sé per non lasciare scampo ai francesi in arrivo e restò impigliato cadendo e morendo sull'istante per lo spostamento d'aria e per i calcinacci scientificamente crollati per ostruire il passaggio agli assalitori. Come andò veramente non si saprà mai, non erano ancora in dotazione gli smartphones con cui riprendere la scena, invece di prestare eventuali soccorsi. 

Il duca era alle porte di Torino allo stremo con l'esercito piemontese e con le compagnie austriache comandate dal cugino Eugenio. Questione di qualche giorno e le truppe del Re Sole sarebbero state scacciate una volta per tutte insieme agli alleati spagnoli. La storia italiana avrebbe preso il verso che conosciamo e Torino diventata la Porta della Pianura Padana, la città imprendibile, la capitale del Regno Savoiardo (titolo conquistato proprio per la vittoria del 1706). Uno dei quartieri della città a nord della Dora Riparia è intitolato a quella vittoria. Se si alza lo sguardo verso uno dei muri portanti del Santuario della Consolata, si può ammirare una palla di spingarda conficcatavi nel 1703. La fine ed il principio dell'assedio dall'esito glorioso, nel quale un biellese di montagna sceso al piano in cerca di fortuna, trovava il modo di fare il “passpartout” per entrare stabilmente sui libri di storia e nelle dispute tra paesi che avanzano i suoi natali. Ora gli smartphones esistono ed uno di essi che fotografa la presunta casa natale, è fonte di introiti. E nel biellese la pecunia è tutt'altro che vile.


                                                             Marco SANFELICI

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