Sorvoliamo sulle terme di Plombieres, facciamo finta di nulla circa l'alleanza tra Napoleone III° e Cavour, narra la tradizione agiografica comodamente seduti sul sedile di un calesse, andiamo subito alla situazione derivata dai “fanghi” della cittadina savoiarda. Il Piemonte, piccolo staterello cuscinetto tra le grandi potenze invia l'esercito sabaudo (per essere più fedeli alle definizioni storiche: esercito sardo) in Crimea, per prendere parte alla guerra che vede l'Impero Russo accerchiato da un'alleanza che contempla Inghilterra, Francia, Impero Ottomano ed Regno di Sardegna. Cavour subodora un chiaro pericolo di convergenza di intenti tra Napoleone III° ed Austria e gioca la carta dell'equidistanza. Che il destino dei Savoia sia da sempre stato il muoversi in modo ondivago tra potenze a cui dare e togliere la propria alleanza è la storia a sancirlo. Sono in gioco questioni di controllo e custodia del Santo Sepolcro, ma non è l'oggetto del nostro interesse. Viceversa concentriamoci su una data fondamentale per le sorti della guerra: il 16 agosto 1855, dopo quasi due anni di conflitto. La battaglia che vede la partecipazione attiva e decisiva delle truppe sarde avviene nei pressi di un rivolo d'acqua che gli abitanti del luogo definiscono “piccolo ruscello nero” (in ucraino: ciòrnaja rièchka). A guerra vinta e di fronte al trionfo di Vittorio Emanuele II° e del suo primo ministro, conte Benso di Cavour, l'autorità cittadina prende immediatamente la decisione di intitolare una strada in via di tracciamento col nome della località, sede del cruento combattimento finale. Subito si presenta un problema di non poco conto. Chiunque sia torinese non di importazione e che mastichi con buona padronanza il dialetto, individua subito l'assonanza “ciòrnaja” con quella particolare parte del corpo femminile “che muove il mondo”. Davvero imbarazzante un dialogo del tipo: “'N dua ta stàghe 'd cà?” “Pardòn, ehm, 'n vìa Ciòrgna 69 (sèssanteneuv)”. Si pensa allora di far assurgere a sostantivo l'attributo, ripiegando su “La Nera”. Peccato che, “la nèira” in piemontese significhi...la stesso cosa o se si vuole la stessa essenza femminina, ma al dispregiativo. Peggio che andar di notte. Ecco che, in un momento di disperazione in Sala Consigliare nasce la soluzione. La preclara capacità italica di venire fuori dalle difficoltà con estro ed eleganza partorisce un nuovo idioma che suona “Cernaia”. Detto e fatto. La via che contempla i giardini Lamarmora (tanto per restare in tema), che incrocia la casamatta della Cittadella, attuale sede del museo dell'artiglieria (per Pietro Micca rimando ad una prossima puntata), la caserma della scuola carabinieri di complemento, la sede della R.A.I. e termina in braccio alla vecchia stazione di Porta Susa, è finalmente insignita di un nome nobile, ad imperitura memoria dei fatti di Crimea (in Piazza Crimea per un decennio la Juventus ha avuto il suo Quartier Generale, ma questo è un altro film). E poco importa se Cernaia non è presente su nessuna cartina geografica ed è conosciuta soltanto a Torino ed in lingua italiana. Nel tempo in cui si coprono le gambe dei pianoforti, un nome mistificato val bene “l'edocassiùn dij sitadìn”.
Marco SANFELICI
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