1917 ovverosia l’anno peggiore per chi ha
combattuto nella prima guerra mondiale, le continue offensive e controffensive
che mandarono al massacro decine di migliaia di giovani, fronti aperti e metri
di terra contesi palmo a palmo. Acquitrini e pozzanghere in cui il massacro
continuò per mesi. La speranza che la guerra fosse a un bivio e al suo
crepuscolo, una stanchezza lunga anni che contagiava i soldati reduci di lotte
infinite. Un florilegio di nuove armi, tank e aerei, ma anche una guerra di
intelligence per capire e comprendere dove l’avversario avrebbe sferrato l’attacco.
Il gas e la lotta senza quartiere. Tutti o quasi questi elementi sono stati
magistralmente evocati e riportati nel film di Sam Mendes che ha reso così
omaggio ai racconti della sua famiglia e dei suoi avi (piacerebbe anche a me
ricordare le gesta del Nonno Beppe sul Piave), in un film quanto mai iconografico
sulla Grande Guerra. Spazio ai sentimenti, alla cruda realtà del conflitto,
alla ineluttabilità degli eventi, alla cameratesca fratellanza tra uomini di
reparti diversi. Struggente per certi versi prima dell’attacco il canto che un
soldato realizza a favore dei commilitoni dedicato al ricongiungersi con i
padri, un chiaro verso all’imminente e probabile morte all’assalto fuori dalla
trincea. Insomma un film realizzato in modo innovativo e con garbo e che più di
mille libri presenta uno spaccato di un conflitto in cui morì la meglio
gioventù della fine del secolo scorso. Un’ode ai racconti di Alfred Hubert
Mendes del battaglione dei fucilieri reali inglesi. Concorrerà agli Oscar e questa
è una buona notizia perché oggi il cinema rappresenta un modo innovativo
di tramandare ai posteri pagine di storia che meritano di essere raccontate. Eppure
in tutto questo c’è anche chi sbeffeggia come la recensione pubblicata dal
Fatto Quotidiano che presenta con chiari errori anche banali (parla di divisioni
di 1600 uomini invece che di battaglioni -sic) un film - paragonato secondo l’autore
- a un videogioco (call of Duty – una sorta di sparatutto) quando in realtà la
parte di guerra, pur presente non è fondamentale se non accessoria al racconto
dell’episodio che la caratterizza, ma con certi soloni è sicuramente fatica
sprecata
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