La direttiva 630 dell’esercito
Sovietico, l’armata Rossa, stabiliva che il Corpo d’armata Alpino in Russia nel
secondo conflitto mondiale era da considerarsi imbattuto, questo è sempre stato
uno dei cardini dell’epopea e della leggenda reale che si era consumata sul
Don, il Corpo d’armata voluto da Hitler, dell’alleato italiano da mandare a
combattere sul Caucaso e invece arenato sull’Ansa del Don e costretto a furiosi
combattimenti che sarebbero poi stati la tomba di migliaia di italiani da Nikolajevka
alle balze di Valuiki. Quanti friuliani, quanti cuneesi erano caduti in quell’inferno
bianco. L’onore delle Armi era il minimo che potessero rivolgere i nemici. Ora
scopro che con ogni probabilità quella fonte era un falso, o per lo meno una
bugia volta, in un momento di difficoltà, a mitigare il prezzo di così tante
vite. Tutto ciò perché su quel fronte con la carneficina in atto era
impensabile emettere un ordine del giorno così palese e per di più a sostegno
del nemico. Eppure siamo cresciuti con queste convinzioni: “italiani brava gente,
imbattuti” Insomma siamo a bravi a raccontarcela per farci coraggio, per darci
l’illusione che anche nelle difficoltà possiamo sempre emergere. Ma la triste
realtà è un'altra 229.000 soldati impegnati, 74.800 morti in battaglia, morti
assiderati a temperature incredibili, nelle marce verso la prigionia e nei
gulag. 10030 tornati dopo anni passati nei campi prigionia. Una tragedia che
molti e tanti hanno raccontato chi con pudore come Vicentini altri come Corradi
e Revelli con un piglio più da giornalista, ma tutti consapevoli dell’immane
tragedia che fu quella guerra con la consapevolezza che il rispetto per i
nostri alpini fanti e granatieri lo ottennero veramente al di là della mera
propaganda
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