Phil Goss non ha infierito negli
ultimi dieci secondi pallone in mano con la possibilità di sparare a canestro
ha percorso il campo zizzagando in una sorta di omaggio al destino di una
squadra che ieri sera pur priva di talenti e di numeri uno – a proposito che
peccato che Johnson non abbia voluto partecipare a questa festa – ha lottato
come una furia su ogni pallone cedendo con l’onore delle armi ad una compagine
che si trova al terzo posto nella regular season del campionato di basket. E
come nella resa dell’Amba Alagi con le Rifles Brigades che alla fine schierate
in assetto di guerra tributavano gli onori ai combattenti italiani capitanati
dal Principe Amedeo di Savoia duca d’Aosta che erano stati battuti in Africa
Orientale. Così ieri sera la squadra di Calvani ha testimoniato la discesa agli
inferi della serie GOLD della compagine laniera.
Quando si dice la nemesi
storica dal paradiso della semifinale scudetto all’epilogo sempre contro Roma.
Ma c’è un aspetto che vale la pena di sottolineare; il lungo sentitissimo
applauso scaturito al suono della sirena vale più di mille parole, un applauso
convinto da parte dei molti che quest’anno nonostante i rovesci sul campo hanno
comunque voluto manifestare la vicinanza alla società. Gli occhi lucidi dentro
e fuori del campo erano parecchi, era una sorta di tributo a un lungo progetto
che non è certo morto ma che si deve evolvere stretto da temi come crisi
economica e questioni di opportunità. I tanti giovani che calcavano il parquet
alcuni dal futuro assicurato, altri dal profilo incerto, guardavano allo
spettacolo consumato sulle tribune, e se la curva ha cantato a squarciagola per
tutto il match in modo davvero encomiabile, non meno appassionante è stata la
passione che emergeva e si vedeva dalla tribune.
Gli occhi lucidi di Renzi, il
pugno battuto all’altezza del cuore da Raspino, l’abbraccio tra Cancellieri e
Rochestie. Il capitano in mezzo al campo a fare da chioccia ai giovani e lui il
leone sloveno Jurak a calpestare tutti i metri possibili sul campo sono
elementi che danno la sensazione di un attaccamento ai colori, alla maglia e a
questa città che è encomiabile. Così come i sempre troppo poco citati uomini
dello staff che nella buona come nella cattiva sorte son sempre li ad
accompagnare il team dalla preparazione all’organizzazione, silenziosi e non
chiassosi, ma presenti e attenti.
Chi scrive è stato contagiato da questo
atteggiamento e ieri sera a fine partita non ha potuto che abbandonare i panni
del cronista sportivo per vestire quelli più semplici del tifoso fortunato, perché
vede le partite da bordo parquet e che orgogliosamente quando va in giro per il
Piemonte e spesso per l’Italia quando comunica la sua origine viene spesso
abbinato alla squadra di basket. Son proprio lontani i tempi in cui
frequentando l’Università a Milano l’origine era sbeffeggiata dall’imprinting
di Aiazzone, altri tempi e altre mode si dirà, ma il sottoscritto vorrebbe come
molti d’altronde tornare al Palazzetto e ritrovare lo spirito di un tempo. Io
ci sono
Nessun commento:
Posta un commento