sabato 25 luglio 2020

Un calcio alla retorica e alla narrazione sportiva che trasforma tutto in epica


Prendo lo spunto da un articolo comparso oggi sul Foglio che condivido in toto. La retorica e lo storytelling sportivo negli ultimi anni ci hanno letteralmente ammorbato con storie da libro cuore nel mondo pedatorio che forse poco hanno a che fare con la ruvidezza di questo sport. Le storie che sentivo da piccolo erano quelle dell’Assassino, noto locale di Milano, una sorta di buen retiro in cui i campioni della Milano, che non era quella da bere, si ritagliavano spazi a tavola gustando cibo e narrando storie di pallone. Il calcio era quello delle basette lunghe, dei calzettoni arrotolati, non dei parastinchi con la scritta vae victis, sul campo si correva a perdifiato e le storie erano quelle preparate e oscurate dalle magie degli allenatori mito: da Nereo a Liddas, da Giuanin di Cusano fino all’Osvaldo della Bovisa. Storie di normalità non di eccesso. Se per gli inglesi la fantasia era per Best, noi preferivamo il pragmatismo dell’Abatino. Le serate di San Siro, del Prater, del Bernabeu rimanevano nel cuore di chi le poteva vivere. Oggi la rete ha avvicinato probabilmente molti più spettatori, il Var ha distrutto l’insindacabile giudizio dell’arbitro e le mille e più telecamere hanno tolto il mistero di un rito che era solo fra 22 pardon 23 in campo. Il racconto di chi vede lo spettacolo non è più solo dedicato all’atto tecnico ma si perde nei mille e più rivoli di una comunicazione che deve essere, a prescindere, spettacolare e carica di retorica, anche a costo di banalizzare estremamente il tutto. Le penne, o per meglio dire le tastiere di chi scrive, devono correre dietro a pettegolezzi di mercato, a gossip improbabili, a marketing selvaggio comunicativo per raccontare dettagli e numeri che forse con lo sport e la bellezza di un atto sportivo non c’entrano assolutamente nulla. Il tifoso e il giornalista si mescolano in un tourbillon in cui non si capisce più chi fa cosa e se, un tempo, il processo del lunedì, era un siparietto, quasi comico, per prendere le distanze dallo sport giocato. Oggi il contorno ha superato l’atto sportivo, ci sarà un limite a tutto questo?  io francamente lo spero. Nel frattempo come ammiccherebbe il buon Brera, un Dogliani per annacquare il ricordo.  

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