1917 ovverosia l’anno peggiore per chi ha
combattuto nella prima guerra mondiale, le continue offensive e controffensive
che mandarono al massacro decine di migliaia di giovani, fronti aperti e metri
di terra contesi palmo a palmo. Acquitrini e pozzanghere in cui il massacro
continuò per mesi. La speranza che la guerra fosse a un bivio e al suo
crepuscolo, una stanchezza lunga anni che contagiava i soldati reduci di lotte
infinite. Un florilegio di nuove armi, tank e aerei, ma anche una guerra di
intelligence per capire e comprendere dove l’avversario avrebbe sferrato l’attacco.
Il gas e la lotta senza quartiere. Tutti o quasi questi elementi sono stati
magistralmente evocati e riportati nel film di Sam Mendes che ha reso così
omaggio ai racconti della sua famiglia e dei suoi avi (piacerebbe anche a me
ricordare le gesta del Nonno Beppe sul Piave), in un film quanto mai iconografico
sulla Grande Guerra. Spazio ai sentimenti, alla cruda realtà del conflitto,
alla ineluttabilità degli eventi, alla cameratesca fratellanza tra uomini di
reparti diversi. Struggente per certi versi prima dell’attacco il canto che un
soldato realizza a favore dei commilitoni dedicato al ricongiungersi con i
padri, un chiaro verso all’imminente e probabile morte all’assalto fuori dalla
trincea. Insomma un film realizzato in modo innovativo e con garbo e che più di
mille libri presenta uno spaccato di un conflitto in cui morì la meglio
gioventù della fine del secolo scorso. Un’ode ai racconti di Alfred Hubert
Mendes del battaglione dei fucilieri reali inglesi. Concorrerà agli Oscar e questa
è una buona notizia perché oggi il cinema rappresenta un modo innovativo
di tramandare ai posteri pagine di storia che meritano di essere raccontate. Eppure
in tutto questo c’è anche chi sbeffeggia come la recensione pubblicata dal
Fatto Quotidiano che presenta con chiari errori anche banali (parla di divisioni
di 1600 uomini invece che di battaglioni -sic) un film - paragonato secondo l’autore
- a un videogioco (call of Duty – una sorta di sparatutto) quando in realtà la
parte di guerra, pur presente non è fondamentale se non accessoria al racconto
dell’episodio che la caratterizza, ma con certi soloni è sicuramente fatica
sprecata
domenica 26 gennaio 2020
giovedì 23 gennaio 2020
JO JO REFLECT
Satira o film che fa riflettere?
Obiettivamente ci ho pensato e devo dire che ero preparato a un film molto più legato
all’ironia, invece, grazie anche alla bravura del regista, si parte da una
presa per i fondelli della hitlerjugend per un’esplorazione nell’animo umano del
comune sentimento del popolo tedesco alla fine della guerra. Certo ci sono
esagerazioni storiche (americani e russi che liberano la citta nello stesso
momento; oppure le perquisizioni della Gestapo in modo così irriverente) ma a parte
questi cameo della storia, la poesia che ne emerge attraverso la mente di un
bambino di dieci anni che si affranca dai falsi miti e che è costretto a
crescere dalla morte della madre, impiccata sulla pubblica piazza, fino alla
fine del mito di Hitler. Non sarà come detto un icona storiografica ma per
avvicinare il grande pubblico a un tema così importate questo film fa del bene,
aiuta a pensare e fa riflettere, può essere propedeutico magari ad avvicinarsi
al tema e ad approfondire. Se il regista si trova a suo agio nell’hitler
sbruffone (da citazione quando sbeffeggia von Stauffenberg, chiamandolo
amichevolmente Stauffy) la vera sorpresa è Scarlett Johansson perfetta nel
ruolo della madre apprensiva e complice del figlio, ma al tempo stesso anima di
una resistenza alle follie del Nazismo. Per la cronaca lo si è visto in inglese
con sottotitoli italiani anche in questo caso estremamente soddisfatto
lunedì 20 gennaio 2020
l'Ammonizione
Eccesso di esultanza, il lungo e pallido Castillejo al
termine di una partita per cuori forti si è visto sventolare sotto il naso dopo
una vittoria conquistata con le unghie un cartellino giallo per eccesso di
esultanza. In un mondo dove la passione è un elemento insostituibile e la
vittoria il passaporto per un futuro felice dopo un periodo travagliato. La
punizione è fin troppo eccessiva. Si sono viste esultanze di ogni colore e
sapore e quando non sono irriverenti dell’avversario possono essere
magistralmente tollerate. E invece la famiglia Pairetto di Torino ha
sbeffeggiato il povero ispanico. Certo non è un’espulsione ma il cumulo dei
cartellini potrebbe diventare in futuro un’incognita per giocare magari le
partite più importanti. Certo anche gli arbitri possono sbagliare ma alle volte
si fa fatica a comprendere di certi comportamenti, come la seconda ammonizione
a Balotelli (why always me ?) francamente un paio di vaffa, neppure così
plateali, potevano passare in cavalleria. Non potete immaginare quali e quanti
ne pronunciano i giocatori di ogni categoria e grado. Se ogni vaffa fosse
punibile con l’ammonizione state pur certi che ogni partita sarebbe sospesa per
mancanza di giocatori, o per andare sul calcio a 5, un sorriso malizioso di un
giocatore interpretato dall’arbitro di turno come presa per i fondelli e
passibile quindi di cartellino. Rimpiango sinceramente i Collina e gli Agnolin
a cui forse i giocatori non risparmiavano le critiche ma che con la loro
presenza e prestanza si facevano rispettare senza aver bisogno di sventolare
quel pezzo giallo. O tempora o mores
Bogia Nen: l'editto nummario che conia le gallin-e
il 15 febbraio 1755 un editto istituisce le “galline” Carlo Emanuele III di Savoia emette un’ordinanza che definisce la vita dei pollai o delle contrade agricole?? Niente di tutto ciò si tratta di un editto nummario che riguarda l’emissione di monete piemontesi.
Una delle caratteristiche dei regni è sempre stato quello di coniare e di mettere in circolazione monete in grado di favorire il pagamento dei servizi e di favorire la circolazione di merci. Ogni stato aveva le sue e in alcuni casi si verificarono particolarità, non ne era immune il Piemonte
In quel periodo, a metà del 1700, viene creata la Doppia di Savoia, ovverosia la pezza da ventinove che la fantasia popolare e vernacolare piemontesi ribattezza galin-a. L’incisore aveva riprodotto su una facciata della moneta un’aquila, nelle intenzioni nobile uccello araldico, nella realtà dei fatti il manufatto non era stato fatto benissimo e quei buontemponi dei popolani piemontesi l’avevano trovata più simile a un gallinaccio da li l’epiteto.
La moneta però avrà una discreta fortuna perché rimarrà nelle tasche dei piemontesi per più di un secolo fino all’unità d’Italia (1861). Il pezzo acquisirà inoltre un valore di conio quasi aristocratico al pari delle monete d’oro, valore superiore a quello dello scudo, considerato borghese e della mota, una moneta creata e coniata da Vittorio Amedeo III nel 1794 classificata democratica per via del valore o magari della vicinanza dei francesi impegnati in quel periodo nella Rivoluzione, prima dell’avvento napoleonico. Ma la mota stessa non aveva valore piccolo ne occorreva una per entrare negli spettacoli teatrali dell’epoca, due se volevi un posto riservato in galleria.
Dare nomi alle monete comunque non era un novità anche nel periodo successivo quello napoleonico circolava un soldo che veniva chiamato in modo buffo , sold d’l pento – per via di una corona che aveva una vaga somiglianza con un pettine e il risorgimentale cavourin dal cui titolo si poteva già presumere sia il periodo sia la qualità della moneta. Per fortuna che poi è arrivata la Lira ma questa è un’altra storia
lunedì 13 gennaio 2020
Un secolo fa la Maginot per fermare le guerre
1928 a gennaio venne dato il via
alla costruzione più inutile della storia. Dopo dieci anni dalla fine della
prima guerra mondiale, i francesi, preoccupati dai tedeschi, anche se erano ridotti
ai minimi termini ma nel dubbio che prima o poi una frontiera andasse fatta e
provati dalla carneficina delle fortezze attorno a Verdun diedero il via il via
alla Linea Maginot. Una linea fortificata fatta di casematte, di munizioni, di
vedette di cannoni dal calibro improponibile, una linea insomma impenetrabile. Ma
la storia non si ferma coi numeri con le mura e con le difese, il progresso
anche nel settore delle armi di fatto rese vecchia quella costruzione ancora
prima di renderla operativa. I paracadutisti, gli arei i bombardamenti e le
armi non convenzionali di fatto ne decretarono la fine. E si badi anche se
fosse stata costruita fino al mare non avrebbe arrestato le truppe corrazzate
di Guderian. Un paradosso forse ma c’è un significato molto profondo, che vale in
tutto in guerra e anche nella società civile sempre pensare fuori dagli schemi
si riuscirà ad arrivare prima degli altri. Lo aveva detto Von Clausewitz un
tedesco ben prima degli altri, lo riproposero più di un secolo dopo e per
assurdo i tedeschi quando smisero di pensare in modo alternativo persero. Un
esempio Creta la guerra aerea e i paracadutisti furono l’apice del successo della
Wermacht, ma spaventati dalle perdite ricevute i tedeschi abbandonarono la
guerra aerea ripresa dagli americani (82 divisione airborne) che così ebbero la
meglio in Normandia
domenica 12 gennaio 2020
il dado è tratto
Ci risiamo continua la proiezione
del giornale repubblica sulla storia se nel recente passato alcuni titoli erano
discutibili adesso siamo al parossismo con l’utilizzo di episodi e passaggi
storici. La prossima campagna elettorale dell’Emilia (a proposito aveva ragione
cettola qualunque le elezioni non finiscono mai ) ha fatto rimembrare un
passaggio di Cesare, quel Cesare che circa 2000 e passi anni orsono pronunciò
proprio in terra della Gallia Cisalpina la frase Alea jacta est (il dado è
tratto ). Ora che un giornalista accosti la figura di Cesare stratega e fine
politico ma anche un po’ despota a Zingaretti mi sembra di una bestialità cosmica.
Il Cesare Zingaretti a rincorrere il Pompeo Renzi e a cercare accordi con
Lepido Di Maio. E con quali legioni poi concorrere alla cosa pubblica. Cesare
era tutto tranne che un monarca illuminato, nell’antica Roma la corsa verso il
potere era lastricata di assassini e truffe e nemmeno lui ne era immune. Un
paragone come vedete abbastanza azzardato. Viene da chiedersi chi sia Antonio
(Franceschini ?) o il futuro Ottaviano Augusto (Boccia ??) e soprattutto i traditori
della repubblica (in questo caso il partito faranno la fine di Cicerone (travaglio
? oppure feltri- quello della stampa?) insomma un bel groviglio. La politica
italiana di questo periodo lo è già, meglio non inquinare la storia. E anche se
è una storia inventata io rimpiango Attilio Regolo
giovedì 9 gennaio 2020
Mercato invernale al via gli scambi .... conviene ?
Ci risiamo banditi gli scambi
incrociati coi cugini dopo che gli ultimi avevano decisamente portato fortuna
ai nostri colori: Coco e Guglieminpietro con l’aggiunta di Helveg mentre a noi
tocco Clarence Seedorf e soprattutto Andrea Pirlo. Insomma abbiamo avuto
fortuna ma ora continuerà?? Kessie molto fisico potrebbe essere un’arma in più
per Conte, mentre Politano laterale per noi sarà altrettanto affare, a questo
uniamo la svalutazione dello sfortunato Caldara pagato 35 e svenduto a 15 e una
squadra senza capo ne coda. Suso involuto, il turco sopravvalutato e tanti
altri mezzi giocatori, o forse giocatori buoni ma che non hanno ancora trovato
un loto giusto impiego. Todibo forse in arrivo e poco altro. A guardare da fuori
si ha l’idea che la squadra e la dirigenza siano estremamente in affanno. Vedremo
mai la fine del tunnel ma soprattutto torneremo nell’empireo. I grandi cicli
sono fatti per essere ripercorsi, spero solo che non passi lo stesso tempo che
intercorse dall ultimo scudetto primo 900 a quello degli anni cinquanta, ma li
in mezzo ci furono due guerre mondiali, qui, forse le sfanghiamo
mercoledì 8 gennaio 2020
la giustizia ...... sportiva
Fa bella mostra sui giornali l’ennesimo
rifiuto subito da parte della giustizia sportiva alle aspirazioni juventine di
rimuovere il giudizio di calciopoli. Si tratta di una sindrome che si sta protraendo
da tempo e che fa il paio con la vulgata di avere due scudetti in più. Una
lotta che presumo proseguirà nel tempo e non si concluderà mai. Credo sarebbe
opportuno mettere una pietra sopra al passato e concentrarsi sul presente. Anch’io
come sportivo, tifoso di una squadra, ho fatto fatica ad accettare una
retrocessione sul campo nel 1980 e abbiamo sofferto le pene d’inferno ma quello
ormai appartiene alla storia. Difficile che la giustizia sportiva torni
indietro, sarebbe sconfessare pubblicamente tutto quanto fatto anni fa,
difficile molto difficile forse meglio concentrarsi sul futuro e lasciare
queste polemiche a eventuali scontri verbali tra tifosi, con lunghissime
digressioni. La storia di una società non può cambiare così come le decisioni
arbitrali altrimenti correremmo il rischio di rigiocare all’infinito
9 gennaio 1916 Ataturk batte Churchill
104 anni finiva o meglio si
consumava la più cocente disfatta politico militare di Churchill che convinto
di sbaragliare la turchia occupando i Dardanelli ideo e condusse la campagna di
Gallipoli. Più di 250 mila alleati ci lasciarono la pelle su quelle spiagge
sbaragliati, anche se a costo di parecchi uomini dai turchi di Kemal Ataturk il
padre della Turchia Moderna aiutato da ufficiali tedeschi. La Turchia alleata
con le potenze centrali in chiave anti russa, mentre Francia e Inghilterra
volevano costringere i turchi ad alzare bandiera bianca e a lasciare il fronte.
Una gestione del conflitto e dell’azione non unitaria e soprattutto poche idee
ma confuse. A pagarla centinaia di migliaia di giovani mandati al macello per
una lotta assolutamente inutile. Inghilterra che ricorse a truppe del
Commonwealth. Il cinema ha immortalato questa guerra con due bei film, il primo
di Peter Weir gli Anni Spezzati che racconta proprio i sogni interrotti dei
giovani aussie, attraverso le prove di un giovane Mel Gibson e poi sempre con
un altro australiano, al secolo il gladiatore Russel Crowe, con the Water Divaner,
il resoconto di un padre che va alla ricerca dei suoi figli dispersi in quel
teatro di guerra, con molti flashback su quel difficile fronte. Pagine di
storia da ricordare
domenica 5 gennaio 2020
Noi italiani che amiamo raccontare le sconfitte
C’è un particolare curioso che è legato a un libro che ho
appena finito di leggere: l’Italia nella sconfitta in cui si analizzano le
cinque peggiori sconfitte militari da Custoza ad Adua, da Caporetto alla Grecia
per finire alla Campagna di Russia. Non c’è che dire tutti episodi in cui,
causa anche una classe dirigente quanto meno imbarazzante spesso e volentieri
siamo stati sonoramente suonati, ma tutto questo fa emergere anche un elemento
di cui noi italiani abbondiamo, ovverosia la capacità di attirarsi addosso non
solo sfortuna ma di celebrarla sopra ogni cosa. Noi siamo più votati alla
sconfitta come elemento di narrazione che non alla capacità di saper cogliere i
momenti positivi. Pensiamo a come celebrano una sconfitta ad esempio gli
inglesi. Per i sudditi britannici la disfatta di Dunquerque fu una vittoria
(certamente 300.00 soldati salvati erano un bell’inizio ma che dire di tutti
quelli abbandonati alla mercé dei tedeschi e l’immane materiale sacrificato
nella ritirata) per non parlare delle mille e più battaglie combattute nella
prima guerra mondiale con rovesci epocali. O se ci spostiamo sul fronte
coloniale gli inglesi hanno subito rovesci a più non posso dal Madhi in Sudan
per finire in Afghanistan, il primo esercito occidentale a lasciare campo agli
avversari. Eppure se guardate i libri di storia inglesi, pur non negando la
realtà, celebrano spesso i loro successi, mentre latitano su altri fronti dall’Operazione
Market Garden (1944) alla guerra contro i Boeri in sudafrica (e non erano certo
i cioccolatini). Mi piacerebbe magari leggere un testo italiano in cui si parla
di Goito, di Solferino, di Bezzecca, delle vittorie in mare come ad esempio le
imprese dei MAS, di Vittorio Veneto e prima ancora della battaglia estiva sul
Piave o per finire alla seconda guerra mondiale con la carica di Isbuskenki,
insomma anche noi abbiamo avuto le nostre glorie, perché invece sempre parlare
di quello che non è andato. Un parallelismo si potrebbe anche con il periodo
odierno e sulla nostra capacità di farci del male ricordando sempre i nostri peggiori
difetti ricordando solo ciò che non andava, eppure se ben ricordiamo la civiltà
moderna in un modo o nell’altro è sempre passata dalla penisola
L'onore gli alpini in Russia nel secondo conflitto mondiale non si discute anche senza la Direttiva 630 dell'Armata Rossa
La direttiva 630 dell’esercito
Sovietico, l’armata Rossa, stabiliva che il Corpo d’armata Alpino in Russia nel
secondo conflitto mondiale era da considerarsi imbattuto, questo è sempre stato
uno dei cardini dell’epopea e della leggenda reale che si era consumata sul
Don, il Corpo d’armata voluto da Hitler, dell’alleato italiano da mandare a
combattere sul Caucaso e invece arenato sull’Ansa del Don e costretto a furiosi
combattimenti che sarebbero poi stati la tomba di migliaia di italiani da Nikolajevka
alle balze di Valuiki. Quanti friuliani, quanti cuneesi erano caduti in quell’inferno
bianco. L’onore delle Armi era il minimo che potessero rivolgere i nemici. Ora
scopro che con ogni probabilità quella fonte era un falso, o per lo meno una
bugia volta, in un momento di difficoltà, a mitigare il prezzo di così tante
vite. Tutto ciò perché su quel fronte con la carneficina in atto era
impensabile emettere un ordine del giorno così palese e per di più a sostegno
del nemico. Eppure siamo cresciuti con queste convinzioni: “italiani brava gente,
imbattuti” Insomma siamo a bravi a raccontarcela per farci coraggio, per darci
l’illusione che anche nelle difficoltà possiamo sempre emergere. Ma la triste
realtà è un'altra 229.000 soldati impegnati, 74.800 morti in battaglia, morti
assiderati a temperature incredibili, nelle marce verso la prigionia e nei
gulag. 10030 tornati dopo anni passati nei campi prigionia. Una tragedia che
molti e tanti hanno raccontato chi con pudore come Vicentini altri come Corradi
e Revelli con un piglio più da giornalista, ma tutti consapevoli dell’immane
tragedia che fu quella guerra con la consapevolezza che il rispetto per i
nostri alpini fanti e granatieri lo ottennero veramente al di là della mera
propaganda
sabato 4 gennaio 2020
Sono tornato
Lo avevamo previsto già mesi fa la
presenza di Zlatan ha rivitalizzato ancor prima dei risultati un ambiente che
aveva bisogno come il pane di stimoli e di obiettivi. Per dieci giorni non si è
parlato d’altro e il vecchio lottatore di area svedese si è presentato con il
piglio di un guerriero ma anche di un riflessivo e pacato uomo di sport.
Basterà per risollevarsi, può anche darsi, visto che i primi impegni non sono
proibitivi e poi la sua presenza in campo potrebbe essere un toccasana per
tutti liberi di pesi e di zavorre. Oltretutto si è rivitalizzato anche il tifo
contro che tutto sommato è anche un bel modo di sentirsi vivi anche se rimani a
distanze siderali. E speriamo che il 2020 sia un vera e propria liberazione per
le nostre aspettative di tifosi e se ci vuole un 38enne va bene cosi
Lo scenario mondiale mutato: paure o certezze ?
Vorrei avere le certezze granitiche di tutti sulle politiche
estere e su quello che sta succedendo ma è fuor di dubbio che siano cambiati
gli scenari. Da sempre la Turchia nell’orbita americana ne sta uscendo e quel
che è peggio la Russia, che storicamente è stata sempre contro la Sublime Porta
(1878 battaglia di Plevna, Prima Guerra Mondiale, Guerre balcaniche) a favore
del popolo serbo, di fatto ha sostituito l’influenza americana che usava Incirlik
come base per tutto quello che succedeva in Medio Oriente. Non solo ma Erdogan
si sta ritagliando un ruolo quasi da imperatore del vecchio impero ottomano,
risultando decisivo sia in Siria e ora con mire espansionistiche in Libia
(insomma una vecchia guerra di ritorno per l’influenza in un’area in cui turchi
e italiano si sono scontrati nel 1911/1912). Manca l’Onu in tutto questo e la
Nato non è più potente come un tempo. L’America si sta prendendo i suoi spazi spesso
in contrapposizione anche ai naturali alleati europei. Tutto ciò rischia di
scatenare un’instabilità incredibile e di accendere pericolosi venti di guerra
in un’area esplosiva. L’Iran colpito sul vivo reagirà, l’islamismo estremo
tornerà ad accendersi e ovviamente la tensione salirà a mille in attesa delle
prossime mosse cruente o meno. Ci sarebbe bisogno come il pane di una politica
attenta e responsabile che seguisse i dettami di Sun Tzu, il generale
vittorioso dà battaglia quando è sicuro di vincere, qui è cosi??
giovedì 2 gennaio 2020
Il Manifesto della Giovine Italia
La Giovane Italia, eccoci ci
risiamo, Repubblica di nuovo vaticina con un titolo che richiama il Risorgimento
per mettere in risalto il discorso di fine anno del capo di Stato Mattarella, parlando
di fatto di un nuovo Risorgimento in mano a una nuova leva ma è così ? Certo il
discorso di fine anno deve essere necessariamente un misto di speranza e di
voglia di guardare al futuro, com’è sempre stato, ma il parallelismo non regge
e allora andiamo a cercare l’autore di quegli scritti, quel Giuseppe Mazzini
teorico di uno stato Italiano che all’epoca non esisteva ma che attraverso i
suoi scritti doveva trovare compimento anni dopo.
Due i passaggi in particolare che
nel discorso ai Giovani vanno la pena di essere citati. Il primo è sul valore
morale dei nostri (per quell’epoca) giovani: L’uomo è pensiero e azione e
qualunque sopprime uno di quei due termini smembra la sacra unità della vita,
sacrifica metà dell’anima e tradisce la propria missione. Il pensiero e l’azione
stanno termini indivisibili dello sviluppo nazionale del genio italiano. La contemplazione
è l’egoismo del genio
L’italia sembra oggi ingombra di
sette e opinioni diverse unitarie o federaliste spettacolo doloroso non insolito.
A un popolo confuso le forme del vero appaiono sempre molte e distorte. Fra una
tomba e una culla sta l’infinito. E noi balziamo dalla sepoltura di un’epoca spenta
al limitare di un’altra appena nascente che aspetta forse la prima parola da
noi. Ma a chi guarda a questo caos foriero di una creazione due soli partiti esistono
il partito che crede nel moto dall’alto verso il basso e quello che intende la
vita italiana non poter salire che dalle viscere del paese alle sue sommità: il
principesco e il popolare il moderato e il nazionale.
Giuseppe Mazzini, un gigante e
anche un genio incompreso di quell’Italia che emetteva i primi vagiti, un fine
pensatore e un politico d’eccezione che pagò forse la sua scarsa propensione
all’attività bellica, forse non un grande uomo di squadra ma di sicuro un
osservatore fine e capace. Ecco forse al di là del parallelismo sul titolo
sarebbe stato bello un parallelismo sui testi e sui contenuti, un’occasione
persa un’opportunità sfumata. Ma come in altri casi precedenti ancora uno
stimolo per studiare meglio la storia
mercoledì 1 gennaio 2020
16 gennaio 1920 entra in vigore il proibizionismo. fu sconfitto dalla birra
Andrew Volstead fu un deputato
degli Stati Uniti che rimase in carica dal 1903 al 1923 e che legò il suo nome
a uno dei provvedimenti più discussi e travagliati del secolo scorso la proposta
di legge che regolava il proibizionismo e che rimase in vigore fino al 1933. La
legge entrò in vigore proprio il 16 gennaio del 1920 un secolo fa e stabiliva
il divieto di fabbricazione vendita importazione di prodotti alcolici
proibendone anche la vendita e il consumo nei bar. Un provvedimento le cui
intenzioni erano quelle di moralizzare la vita degli americani, di fatto fece
aumentare a dismisura il commercio illegale e fece la fortuna di diversi gangster
(come non ricordare Al Capone). Fu creata persino un’agenzia federale il Bureau
of Prohibition che doveva far rispettare la legge. La legge fu emendata il 17
febbraio del 1933 in piena recessione economica quando venne concesso di
vendere un'altra bevanda leggermente alcolica la birra
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