Sono decisamente sobbalzato sulla
sedia quando a margine di un post su facebook dedicato alla politica (beninteso
non mi interessa difendere un partito rispetto a un altro) è stata usata un
immagine di soldati che avevano combattuto la prima guerra mondiale ma che sono
stati identificati come italiani (in realtà erano inglesi). Sarebbe bastato
dare un occhiata alla divisa, rigorosamente anni 1917 – tra l’altro è appena
uscito il film, che dipinge per bene scenograficamente proprio la Grande
Guerra. Oggi nella vasta platea di internet si trova di tutto ma spesso molte cose
vengono usate a sproposito, manca una cultura solida di base che spieghi o che
faccia innamorare del nostro passato. Mi chiedo ad esempio come icone di quel
periodo, penso a Enrico Toti (non l’attaccante della Roma che ha appeso le
scarpe al chiodo) a Damiano Chiesa, Cesare Battisti (il patriota impiccato a
Trento non il leader dei Pac) a Fabio Filzi, luoghi simbolo della guerra come il Monte
Sabotino, del Podgora di Gorizia o eventi come la Strafexpedition , oppure la
Beffa di Buccari siano conosciuti nelle nostre giovani generazioni. Persone,
miti che meriterebbero di essere conosciuti al meglio e studiati perché proprio
loro contengono i prodromi della nostra Italia. E invece nel vaniloquio
culturale e anche del mondo dell’insegnamento il passato rappresenta sempre un
inutile orpello e una materia sotto – utilizzata. Non è questione di date o di
numeri è proprio la capacità di capire attraverso letture studi e anche interessi
momenti di vita quotidiana. Nel decennale della morte di Alberto Ronchey
eminente giornalista già ministro dei Beni Culturali sarebbe bello pensare a un
futuro migliore per la nostra cultura
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