Semifinale della Coppa Campioni 1990, una vittoria striminzita al Meazza, una partita nata male al ritorno, c’è bisogno dei supplementari e li il campione ti inventa un pallonetto dal limite che si insacca, è il pareggio ma è il goal che vale doppio nella semifinale e che ti spalanca le porte della Finale di Vienna. Difficile vincere una Champions, molto più difficile ripetersi dopo nemmeno 12 mesi, ma grazie a quello scricciolo di attaccante nostrano il termine lascia o raddoppia ha un senso compiuto. Ecco è questo il ricordo calcistico che mi piace portare dentro di Stefano che ci ha lasciati troppo presto, ma soprattutto dopo una malattia e una sofferenza infernale. Sempre dignitoso e campione anche nell’estrema difficoltà. Una malattia che non guarda in faccia alla celebrità ma che si diverte a torturarla nel suo modo peggiore. Gli occhi di Stefano costretto su una sedia a rotelle, impossibilitato a muoversi se non attraverso la forza dei suoi occhi sono li a ricordarci quanto sia breve e fallace la nostra esistenza e che dobbiamo viverla appieno godendo dei momenti felici che la possono contraddistinguere. La vita a volte ci riserva prove tremende e malattie sconosciute che devono essere affrontate attraverso la ricerca e la pazienza. E allora nella serata che ha sancito un miracolo sportivo, l’Italia che ha tenuto testa a una ben più blasonata Spagna culliamoci con il ricordo di un ragazzo che ci ha fatto divertire e sognare e ringraziamolo per il suo esempio maturato nel campo e fuori come ha giustamente ricordato Carlo Ancelotti
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