venerdì 5 dicembre 2025

Un' operazione impensabile per contrastare la Russia. La visione di Wiston Churchill


 

L’Operazione Unthinkable, concepita nel 1945 da Winston Churchill, nacque in un momento in cui la Seconda guerra mondiale non era ancora del tutto conclusa, ma già si delineava un nuovo equilibrio globale. Churchill, che aveva guidato la Gran Bretagna nella resistenza contro Hitler, temeva che il collasso della Germania lasciasse l’Europa esposta a un’altra egemonia: quella dell’Unione Sovietica. L’Armata Rossa, forte di milioni di uomini e di un avanzamento impressionante verso Ovest, controllava ormai Polonia, Stati baltici e gran parte dell’Europa orientale. Per Churchill, che aveva sempre diffidato delle intenzioni di Stalin, la rapida imposizione di regimi filocomunisti in quei Paesi era un segnale inequivocabile. Il suo timore era che il continente, appena salvato dal nazismo, potesse cadere sotto un’altra forma di autoritarismo. Ecco perché chiese ai capi di Stato Maggiore un’analisi “impensabile”: valutare un’eventuale offensiva occidentale per impedire che l’Europa venisse dominata da una sola potenza.

A distanza di quasi ottant’anni, quei documenti sembrano parlare a un continente nuovamente attraversato da tensioni profonde. Il conflitto russo-ucraino ha riportato la guerra convenzionale nel cuore dell’Europa, rimettendo in discussione l’ordine di sicurezza costruito dopo il 1991. L’invasione dell’Ucraina non è soltanto un’aggressione territoriale: è un messaggio politico rivolto all’intero continente, un tentativo di ridefinire le sfere di influenza in un mondo segnato da equilibri instabili. Le recentissime dichiarazioni di Vladimir Putin, che ha accusato l’Europa di essere “un vassallo degli Stati Uniti” e di “alimentare l’escalation militare”, riportano alla luce una retorica che sembrava sepolta insieme alle rovine della Guerra Fredda, ma che oggi torna a risuonare con inquietante attualità.

In questo contesto, attualizzare l’Operazione Unthinkable significa interrogarsi su come l’Europa possa evitare di diventare di nuovo il terreno di scontro fra potenze. Allora come oggi, la domanda di fondo è la stessa: il continente può difendere la propria sicurezza senza farsi trascinare verso uno scontro diretto? Può farlo mantenendo autonomia politica, capacità militare e una reale visione strategica, in un mondo in cui la guerra è tornata a essere uno strumento esplicito di politica estera?

Il parallelo non va forzato: nessuno in Occidente immagina oggi un’offensiva contro la Russia, come invece Churchill si trovò a valutare nel 1945. Ma ciò che ritorna è il quadro geopolitico: una potenza nucleare che utilizza la minaccia militare come leva politica, una guerra alle porte dell’Unione e un ordine internazionale che fatica a reggere l’urto delle trasformazioni globali. In questo scenario, l’Europa appare spesso divisa, esitante, ancora alla ricerca di una propria identità strategica.

Le dichiarazioni di Putin, unite alla prosecuzione del conflitto in Ucraina, rappresentano un monito severo: la stabilità europea non è garantita, e la storia dimostra che le crisi ignorate o sottovalutate possono trasformarsi in fratture irreversibili. Come nel 1945, il continente si trova davanti a un bivio. Ma, diversamente dal passato, la risposta non può essere “impensabile”: deve essere lucida, unitaria e costruita sulla capacità di coniugare sicurezza, diplomazia e autonomia strategica. Perché le scelte compiute nei momenti di incertezza — oggi come allora — determinano il futuro per generazioni.


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