martedì 9 dicembre 2025

Onore e Rispetto: il valore della parola data di Robert Campbell


 

La storia antica è piena di gesti che sembrano impossibili oggi. Pensiamo ad Attilio Regolo, il generale romano catturato dai Cartaginesi: gli fu concesso di tornare a Roma a patto che convincesse il Senato a firmare una pace favorevole al nemico. Lui fece l’opposto, parlò contro quella pace, e poi — pur sapendo che lo attendeva una morte atroce — tornò a Cartagine, semplicemente perché aveva dato la sua parola.
È uno di quegli episodi che ti fanno pensare a un’epoca in cui onore e lealtà valevano più della vita stessa.
E, incredibilmente, qualcosa di simile accadde molti secoli dopo, in un mondo che stava bruciando nella Prima Guerra Mondiale.

Siamo nel 1916, l’anno in cui la Storia sembra impazzita: Verdun è un carnaio senza fine, la Somme inghiotte decine di migliaia di giovani in un solo giorno. I soldati vengono mandati all’assalto delle prime linee con un coraggio che non ha nulla di moderno: è un retaggio dei combattimenti del Settecento e dell’Ottocento, quando avanzare “a testa alta” era considerato la massima espressione del valore militare. Ma lì, nel fango, tra filo spinato, mitragliatrici e granate, quel coraggio diventa spesso una condanna.

In questo inferno, Robert Campbell, ufficiale britannico, è prigioniero da due anni in un campo tedesco, dalla battaglia di Mons dell’agosto del 1914. Le giornate sono sempre uguali, dure, sospese. Finché non riceve una notizia che lo colpisce più di qualsiasi bombardamento: sua madre sta morendo. Campbell allora compie un gesto che sembra davvero d’altri tempi: scrive direttamente al Kaiser, a Guglielmo II, chiedendo un permesso speciale per tornare a casa a salutarla un’ultima volta.
Sembra una follia, e invece accade l’imprevedibile:
il Kaiser accetta. Ma solo a una condizione, apparentemente assurda eppure perfettamente coerente con la mentalità di quell’epoca: che Campbell prometta, come ufficiale e come gentiluomo, di tornare in prigionia dopo la visita.

E qui entra in gioco la parte più sorprendente della vicenda. Campbell torna davvero a casa. Rivede sua madre, le parla, l’accompagna fino all’ultimo respiro. E poi, quando tutto è finito e nessuno potrebbe mai biasimarlo se decidesse di rimanere in Inghilterra, fa ciò che pochissimi oggi sarebbero disposti a fare: ritorna spontaneamente al campo tedesco. Non perché costretto. Non perché sorvegliato.
Ma perché aveva dato la sua parola.

Un gesto che ricorda Regolo, che ricorda gli antichi codici d’onore militare, quelli in cui un giuramento ha più peso delle armi, più peso della paura, più peso perfino della libertà. In un secolo dominato dalle macchine, dai gas, dai bombardamenti, quel gesto di Campbell appare quasi una nota stonata — o forse una nota purissima — in mezzo al rumore della guerra. Un frammento di umanità e di lealtà che sopravvive al crollo di tutto il resto. La storia ci insegna che alcuni valori e principi sono in grado di sopravvivere anche alle crudeltà di un conflitto che segnò la storia del nostro continente

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