martedì 9 dicembre 2025

Onore e Rispetto: il valore della parola data di Robert Campbell


 

La storia antica è piena di gesti che sembrano impossibili oggi. Pensiamo ad Attilio Regolo, il generale romano catturato dai Cartaginesi: gli fu concesso di tornare a Roma a patto che convincesse il Senato a firmare una pace favorevole al nemico. Lui fece l’opposto, parlò contro quella pace, e poi — pur sapendo che lo attendeva una morte atroce — tornò a Cartagine, semplicemente perché aveva dato la sua parola.
È uno di quegli episodi che ti fanno pensare a un’epoca in cui onore e lealtà valevano più della vita stessa.
E, incredibilmente, qualcosa di simile accadde molti secoli dopo, in un mondo che stava bruciando nella Prima Guerra Mondiale.

Siamo nel 1916, l’anno in cui la Storia sembra impazzita: Verdun è un carnaio senza fine, la Somme inghiotte decine di migliaia di giovani in un solo giorno. I soldati vengono mandati all’assalto delle prime linee con un coraggio che non ha nulla di moderno: è un retaggio dei combattimenti del Settecento e dell’Ottocento, quando avanzare “a testa alta” era considerato la massima espressione del valore militare. Ma lì, nel fango, tra filo spinato, mitragliatrici e granate, quel coraggio diventa spesso una condanna.

In questo inferno, Robert Campbell, ufficiale britannico, è prigioniero da due anni in un campo tedesco, dalla battaglia di Mons dell’agosto del 1914. Le giornate sono sempre uguali, dure, sospese. Finché non riceve una notizia che lo colpisce più di qualsiasi bombardamento: sua madre sta morendo. Campbell allora compie un gesto che sembra davvero d’altri tempi: scrive direttamente al Kaiser, a Guglielmo II, chiedendo un permesso speciale per tornare a casa a salutarla un’ultima volta.
Sembra una follia, e invece accade l’imprevedibile:
il Kaiser accetta. Ma solo a una condizione, apparentemente assurda eppure perfettamente coerente con la mentalità di quell’epoca: che Campbell prometta, come ufficiale e come gentiluomo, di tornare in prigionia dopo la visita.

E qui entra in gioco la parte più sorprendente della vicenda. Campbell torna davvero a casa. Rivede sua madre, le parla, l’accompagna fino all’ultimo respiro. E poi, quando tutto è finito e nessuno potrebbe mai biasimarlo se decidesse di rimanere in Inghilterra, fa ciò che pochissimi oggi sarebbero disposti a fare: ritorna spontaneamente al campo tedesco. Non perché costretto. Non perché sorvegliato.
Ma perché aveva dato la sua parola.

Un gesto che ricorda Regolo, che ricorda gli antichi codici d’onore militare, quelli in cui un giuramento ha più peso delle armi, più peso della paura, più peso perfino della libertà. In un secolo dominato dalle macchine, dai gas, dai bombardamenti, quel gesto di Campbell appare quasi una nota stonata — o forse una nota purissima — in mezzo al rumore della guerra. Un frammento di umanità e di lealtà che sopravvive al crollo di tutto il resto. La storia ci insegna che alcuni valori e principi sono in grado di sopravvivere anche alle crudeltà di un conflitto che segnò la storia del nostro continente

sabato 6 dicembre 2025

Una dolce vittoria che vale il titolo di Campioni d'Inverno


 Anche a Crema gli Orange impongono la loro legge, fatta di buon futsal, intensità e una qualità tecnica decisamente superiore. Un successo che, nel punteggio finale, vede la squadra di Patanè prevalere con una sola rete di scarto, ma che racconta di un gruppo capace – soprattutto nella ripresa – di esprimere giocate di livello assoluto.

La classifica parla chiaro: con questa vittoria, Ibra e compagni conquistano con due giornate di anticipo il titolo platonico di campioni d’inverno, forti di dieci punti di vantaggio, del miglior attacco del campionato (47 reti) e della seconda miglior difesa (23 gol subiti), superata solo dal Verona (19).

La trasferta sul campo del Videoton parte nel migliore dei modi, con il vantaggio firmato da Itria, salvo poi andare al riposo sul 2-2 dopo una prima frazione combattuta e molto fisica. Nella ripresa gli Orange entrano con un’altra marcia: Ibra firma il nuovo vantaggio, immediatamente consolidato nel giro di un minuto da Francalanci e Montauro per il provvisorio 5-2. Nel finale un rigore riapre parzialmente il match, ma non cambia l’esito di una gara sempre in controllo.

A questo punto non resta che mantenere la concentrazione e continuare a crescere: il campionato è ancora lungo, ma gli Orange hanno dimostrato di avere tutte le carte in regola per restare in cima.

Videoton Crema vs Orange 4 - 5 (2 - 2 pt)

venerdì 5 dicembre 2025

Un' operazione impensabile per contrastare la Russia. La visione di Wiston Churchill


 

L’Operazione Unthinkable, concepita nel 1945 da Winston Churchill, nacque in un momento in cui la Seconda guerra mondiale non era ancora del tutto conclusa, ma già si delineava un nuovo equilibrio globale. Churchill, che aveva guidato la Gran Bretagna nella resistenza contro Hitler, temeva che il collasso della Germania lasciasse l’Europa esposta a un’altra egemonia: quella dell’Unione Sovietica. L’Armata Rossa, forte di milioni di uomini e di un avanzamento impressionante verso Ovest, controllava ormai Polonia, Stati baltici e gran parte dell’Europa orientale. Per Churchill, che aveva sempre diffidato delle intenzioni di Stalin, la rapida imposizione di regimi filocomunisti in quei Paesi era un segnale inequivocabile. Il suo timore era che il continente, appena salvato dal nazismo, potesse cadere sotto un’altra forma di autoritarismo. Ecco perché chiese ai capi di Stato Maggiore un’analisi “impensabile”: valutare un’eventuale offensiva occidentale per impedire che l’Europa venisse dominata da una sola potenza.

A distanza di quasi ottant’anni, quei documenti sembrano parlare a un continente nuovamente attraversato da tensioni profonde. Il conflitto russo-ucraino ha riportato la guerra convenzionale nel cuore dell’Europa, rimettendo in discussione l’ordine di sicurezza costruito dopo il 1991. L’invasione dell’Ucraina non è soltanto un’aggressione territoriale: è un messaggio politico rivolto all’intero continente, un tentativo di ridefinire le sfere di influenza in un mondo segnato da equilibri instabili. Le recentissime dichiarazioni di Vladimir Putin, che ha accusato l’Europa di essere “un vassallo degli Stati Uniti” e di “alimentare l’escalation militare”, riportano alla luce una retorica che sembrava sepolta insieme alle rovine della Guerra Fredda, ma che oggi torna a risuonare con inquietante attualità.

In questo contesto, attualizzare l’Operazione Unthinkable significa interrogarsi su come l’Europa possa evitare di diventare di nuovo il terreno di scontro fra potenze. Allora come oggi, la domanda di fondo è la stessa: il continente può difendere la propria sicurezza senza farsi trascinare verso uno scontro diretto? Può farlo mantenendo autonomia politica, capacità militare e una reale visione strategica, in un mondo in cui la guerra è tornata a essere uno strumento esplicito di politica estera?

Il parallelo non va forzato: nessuno in Occidente immagina oggi un’offensiva contro la Russia, come invece Churchill si trovò a valutare nel 1945. Ma ciò che ritorna è il quadro geopolitico: una potenza nucleare che utilizza la minaccia militare come leva politica, una guerra alle porte dell’Unione e un ordine internazionale che fatica a reggere l’urto delle trasformazioni globali. In questo scenario, l’Europa appare spesso divisa, esitante, ancora alla ricerca di una propria identità strategica.

Le dichiarazioni di Putin, unite alla prosecuzione del conflitto in Ucraina, rappresentano un monito severo: la stabilità europea non è garantita, e la storia dimostra che le crisi ignorate o sottovalutate possono trasformarsi in fratture irreversibili. Come nel 1945, il continente si trova davanti a un bivio. Ma, diversamente dal passato, la risposta non può essere “impensabile”: deve essere lucida, unitaria e costruita sulla capacità di coniugare sicurezza, diplomazia e autonomia strategica. Perché le scelte compiute nei momenti di incertezza — oggi come allora — determinano il futuro per generazioni.


domenica 30 novembre 2025

Le interferenze e le politiche di espansione


 

Il 2 dicembre 1823, durante il discorso sullo Stato dell’Unione, il presidente degli Stati Uniti James Monroe pronunciò parole destinate a segnare profondamente la storia della politica internazionale. Da quel messaggio sorse infatti quella che sarebbe poi stata chiamata Dottrina Monroe, un principio che avrebbe definito per decenni i rapporti tra il continente americano e le potenze europee. La Dottrina, sintetizzata spesso nella formula “L’America agli Americani”, nasceva in un contesto particolarmente delicato. In quegli anni, numerosi Paesi dell’America Latina stavano conquistando la propria indipendenza dalla Spagna e da altre potenze europee. Gli Stati Uniti, che osservavano con favore questi processi emancipatori, temevano che l’Europa — e in particolare la Santa Alleanza — potesse tentare di restaurare il vecchio ordine coloniale.

Per questo Monroe decise di tracciare una linea netta: le Americhe non erano più terreno di conquista. Nessuna potenza europea avrebbe dovuto tentare nuove colonizzazioni, né interferire negli affari interni delle giovani nazioni americane. Qualsiasi ingerenza sarebbe stata interpretata come una minaccia diretta alla pace e alla sicurezza degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, il presidente ribadiva che gli USA non avevano intenzione di intervenire nelle dinamiche politiche dell’Europa, rivendicando una posizione di equilibrio e distacco. Il messaggio di Monroe aveva dunque una duplice funzione: difendere i Paesi latinoamericani da possibili restaurazioni coloniali e, al contempo, affermare il ruolo degli Stati Uniti come potenza guida dell’emisfero occidentale. Sebbene inizialmente la Dottrina avesse un valore più simbolico che pratico — gli Stati Uniti dell’epoca non erano ancora la potenza globale che sarebbero diventati — con il passare dei decenni essa divenne uno dei pilastri della politica estera americana.

La portata della Dottrina Monroe non si esaurì nel XIX secolo. Nel 1904 il presidente Theodore Roosevelt introdusse un corollario che ampliava notevolmente il significato originario, sostenendo il diritto degli Stati Uniti a intervenire attivamente negli affari dei Paesi dell’America Latina quando ritenuto necessario per garantirne la stabilità. Questa reinterpretazione trasformò il principio da semplice barriera contro l’ingerenza europea in uno strumento di interventismo americano, influenzando profondamente la storia politica del continente. Ancora oggi, la Dottrina Monroe rappresenta uno dei passaggi più discussi della politica estera statunitense. Da un lato, segnò la fine dell’era coloniale europea nelle Americhe; dall’altro, aprì la strada alla crescente supremazia degli Stati Uniti nella regione. Un messaggio nato quasi due secoli fa, ma la cui eco continua a risuonare nella geopolitica contemporanea.



Anche ad Aosta gli Orange lottano fino all'ultimo


Chiamatela zona Condor, chiamatela fame, chiamatela cuore che non smette mai di battere. Chiamatela come volete. L’unica verità è che, dopo una battaglia feroce, marted’ scorso, contro l’L84, gli uomini di Patanè tornano a casa contenti per la prima volta in 17 anni dal Montfleury. Un tabù che cade. Una storia riscritta. È stata una giornata da mani sudate e voce spezzata, perché il futsal non ha logica, non ha garanzie: la palla è pesante, scappa, tradisce, vola dove decide lei. E allora servono i piedi, sì… ma soprattutto serve anima. E questa squadra, l’anima, l’ha messa tutta. Ibra apre il cammino, Vitellaro tiene in piedi il fortino, ma a fine primo tempo tutto si riapre. La ripresa è un terremoto: ribaltamenti, occasioni, respiri trattenuti. Finché lui, Piazza si fa trovare lì — nel posto giusto, nell’attimo perfetto — quando il cronometro dice cinque secondi alla gloria. Non sarà il 4-3 dell’Azteca, ma il brivido è lo stesso. Le emozioni, pure. Ora, per trasformare questo dicembre in un Natale davvero dolce, servirà non perdere sul campo, quello della Videoton Crema, dove troppe volte abbiamo pagato pegno. Ma questo è domani. Oggi è il giorno dei guerrieri orange. Oggi il riposo è meritato, il sorriso è legittimo, l’orgoglio è enorme.

Aosta vs Orange 3 – 4 ( 1- 2 pt)

Marcatori 2 Piazza 1 Ibra e Vitellaro

venerdì 28 novembre 2025

Romani popolo di artigiani e di organizzatori. La storia del Milione di chiodi di Inchtuhil


Tra le Highlands scozzesi, lungo il corso del fiume Tay, sorgeva uno dei più ambiziosi e avanzati avamposti dell’Impero romano: Inchtuthil, la fortezza della Legio XX Valeria Victrix. Fondata attorno all’83 d.C. durante la campagna di Agricola, era destinata a essere la base permanente dei legionari nelle terre più remote e ostili della Britannia. Pur costruita con una precisione quasi maniacale, dotata di caserme, magazzini, ospedale e poderose fortificazioni, la fortezza ebbe vita breve: dopo pochi anni i Romani decisero di ritirarsi verso sud, abbandonando l’idea di un controllo stabile sulla Caledonia.

È proprio in questa ritirata che nasce uno dei misteri più affascinanti dell’archeologia romana. Quando, nel 1959, un’équipe guidata dall’archeologo Sir Ian Richmond iniziò a scavare l’area del forte, nessuno immaginava ciò che stava per emergere. Sotto il terreno, perfettamente sigillata, apparve una fossa rettangolare colma di oltre 875.000 chiodi di ferro, di diverse dimensioni, molti dei quali mai utilizzati. Un deposito immenso, unico nel suo genere, che gli studiosi ribattezzarono subito “il tesoro dei chiodi di Inchtuthil”.

La scoperta era sorprendente non solo per la quantità – vicina al milione di pezzi – ma per l’intenzionalità con cui i chiodi erano stati seppelliti. Perché i Romani, noti per il loro pragmatismo, avrebbero sotterrato un materiale così prezioso? Il ferro, nel I secolo, era una risorsa scarsa e strategica; permetteva di costruire armi, rinforzare fortificazioni, realizzare utensili essenziali. Lasciare quel patrimonio in mano ai Caledoni sarebbe stato, militarmente, un errore imperdonabile. La spiegazione più accreditata è dunque semplice e al tempo stesso straordinaria: prima di ritirarsi, i Romani preferirono nascondere per sempre un’enorme riserva di ferro, pur di non farla cadere nelle mani delle popolazioni locali.

Un’altra ipotesi, non meno affascinante, suggerisce che quel tesoro fosse il risultato di anni di produzione interna al forte, frutto del lavoro dei fabbri legionari. Più di 10 tonnellate di ferro rappresentavano un capitale enorme, troppo ingombrante da trasportare nella ritirata e troppo prezioso per essere abbandonato allo scoperto. La soluzione fu quella che ancora oggi stupisce gli studiosi: sigillare tutto sotto terra.

Il “milione di chiodi” di Inchtuthil è ancora oggi considerato una delle scoperte più impressionanti della presenza romana nelle Isole Britanniche. Una parte del deposito venne utilizzata per studi metallurgici, ma molti chiodi sono conservati in musei e collezioni private, a testimoniare la precisione, l’organizzazione e la lungimiranza della macchina militare romana.

Oggi l’area di Inchtuthil appare come una tranquilla distesa verde, ma sotto quell’erba si nasconde la memoria di una storia sorprendente: quella di una fortezza gigantesca, costruita ai confini del mondo conosciuto, e di un tesoro di ferro sepolto per sempre per proteggere l’Impero anche nella ritirata. Una vicenda che ricorda come, a volte, sono i dettagli più piccoli – persino un semplice chiodo – a rivelare la grandezza e le contraddizioni della storia.



mercoledì 26 novembre 2025

Una serata di grande futsal al Palabrumar. Gli Orange giocano alla pari ma salutano la Coppa di Divisione



Metti una sera che ha il sapore della Champions: per chi mastica futsal significa prepararsi a una vera e propria battaglia di Coppa. Metti di fronte una squadra volenterosa di provincia, capolista del suo girone di A2, e un’altra con ambizioni da scudetto nella massima serie. Metti la bellezza del futsal in un palazzetto caldo, pieno, coinvolgente. E ottieni uno scontro unico, in cui Davide fa impazzire Golia, gli mette pressione, lo costringe a sudare ogni pallone. Uno scontro leale, intenso, dirompente. Chi ha assistito al match tra L84 e Orange non è rimasto deluso: ha potuto toccare con mano la vera essenza del nostro sport, fatto di accelerazioni improvvise, pause sceniche, giocate di classe e reti una più bella dell’altra. Certo, l’esperienza conta e alla fine fa la differenza. Ma da partite così si esce comunque vincitori, anche quando il tabellone finale non sorride.

È stata la serata di Ibra, autore di tre gol, ma anche quella di Liberti e Murilo. Un primo tempo chiuso in perfetto equilibrio e una ripresa in cui le differenze sono emerse solo nel finale.

Usciamo ai sedicesimi, sì, ma con vibrazioni positive e la consapevolezza di potercela giocare con chiunque. Adesso testa al campionato: ci aspetta il Montfleury, un campo storicamente ostico, ma che affrontiamo con fiducia e determinazione.


Orange vs l84 3 - 6 (2 -2 pt)

domenica 23 novembre 2025

Krystina Skarbek il femminicidio di un eroina della seconda guerra mondiale


 

La porta dell’hotel si chiuse alle sue spalle, ma la tragedia era già in agguato. Krystyna Skarbek, conosciuta nel mondo come Christine Granville, non immaginava che quel pomeriggio di giugno del 1952 sarebbe stato l’ultimo. Dennis Muldowney, ossessionato dal suo rifiuto, la attendeva con un coltello: un femminicidio che avrebbe stroncato la vita di una delle più straordinarie eroine della Seconda Guerra Mondiale.

Nata a Varsavia nel 1908, Krystyna era cresciuta tra lingue straniere e cultura, temprata da un coraggio innato. Quando la Polonia cadde sotto i nazisti, fuggì in Francia e poi in Gran Bretagna, entrando nello Special Operations Executive come agente segreta. Tra le missioni più rischiose, una rimane leggendaria: tre spie catturate dai nazisti, condannate a morte. Christine si presentò alle guardie come la figlia del generale Montgomery, con voce ferma e occhi di ghiaccio, e pretese la loro liberazione. L’inganno riuscì: le vite furono salvate e l’astuzia della donna rimase scolpita nella memoria dei sopravvissuti.

Operava dietro le linee nemiche, sola, armata di ingegno e coraggio. Francia, Polonia, Ungheria: ogni missione era una danza con la morte. Winston Churchill la chiamava eroina, ammirando la sua capacità di rischiare tutto per salvare gli altri. Dopo la guerra, la quiete apparente di Londra non cancellò il suo passato di eroismo. Qui, però, incontrò Muldowney. Il rifiuto, la libertà, l’indipendenza di Christine si scontrarono con l’ossessione: il coltello mise fine alla sua vita, ma non alla leggenda.

Krystyna Skarbek resta simbolo di audacia e resilienza. La sua storia è un monito e un esempio: una donna può affrontare la morte, salvare vite, cambiare il corso degli eventi. Ma anche l’eroina più grande non è immune alla violenza insensata di chi non accetta il rifiuto. La sua leggenda brilla ancora, tra coraggio, ingegno e dignità assoluta.

Estasi Orange. Contro il Real Sesto Piazza il sorpasso a otto secondi dalla fine


 

Otto secondi: questa è stata la distanza tra la serenità di una partita giocata con furore agonistico e grande attenzione, e l’estasi per un risultato raggiunto in extremis. La gioia dei ragazzi Orange è incontenibile al termine di una gara che ha dimostrato la volontà e la crescita di un collettivo che continua a stupire per la maturità raggiunta. Di fronte avevano un Real composto da uomini di esperienza come Caglio e Lari, dal ritorno di peso al Palabrumar di Ramon e guidato da un mister di comprovata solidità tattica come Danilo Lemma. La partita si è subito sintonizzata sui canali giusti per l’Orange: Ibra, letteralmente scatenato, ha preso in mano la squadra realizzando un eurogol dei suoi da fuori area e poi una cavalcata incredibile dalla propria metà campo, finalizzata dal rapace d’area Piazza. Due reti che avrebbero stordito chiunque.

Il Real, però, non si è scomposto e ha impostato una gara attenta nella prima frazione, per poi scatenarsi nella ripresa. Qui è salito in cattedra Amico, capace di chiudere a doppia mandata la propria porta per diversi minuti. Con pazienza i lombardi hanno dapprima accorciato con Caglio, lesto a prendere il tempo alla difesa Orange, e poi con Lari, autore di un preciso esterno da fuori. Superata la tempesta, gli Orange hanno ripreso a giocare con energia, costruendo diverse occasioni con Ibra, Itria, Piazza e Montauro, e limitando le incursioni ospiti.

A 30 secondi dalla fine, Patanè si gioca l’azzardo: time-out e quinto di movimento. La palla arriva ad Angelino, che serve sotto porta l’assist perfetto per Piazza, pronto a depositare in rete e far esplodere il Palabrumar. I numeri parlano chiaro: sei vittorie su sette incontri e una media realizzativa importante per una squadra che gioca davvero da collettivo.


venerdì 21 novembre 2025

80 anni fa Norimberga un processo storico


 

Il processo di Norimberga fu uno dei momenti più importanti della storia del diritto internazionale e della giustizia del Novecento. Si svolse tra il 1945 e il 1946, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nella città tedesca di Norimberga, scelta simbolicamente perché sede di molte celebri adunate del regime nazista.

Per la prima volta nella storia i principali dirigenti politici, militari ed economici di uno Stato sconfitto venivano chiamati a rispondere davanti a un tribunale internazionale per i crimini commessi non solo contro altri Stati, ma contro l’umanità stessa.

A costituire il tribunale furono le quattro potenze alleate vincitrici della guerra: Stati Uniti, Unione Sovietica, Regno Unito e Francia. Sul banco degli imputati comparvero ventiquattro tra i più alti rappresentanti del Terzo Reich: gerarchi politici, comandanti militari e ministri del governo di Hitler. Tra loro figuravano Hermann Göring, Joachim von Ribbentrop, Albert Speer e altri protagonisti della macchina nazista.

I capi d’accusa principali erano quattro:

  1. Crimini contro la pace (pianificazione e avvio di guerre di aggressione)

  2. Crimini di guerra (violazioni delle convenzioni internazionali)

  3. Crimini contro l’umanità (sterminio, deportazioni, persecuzioni)

  4. Cospirazione per commettere tali crimini

Il processo ebbe un valore enorme: mostrò al mondo le prove dello sterminio degli ebrei, delle atrocità sui civili e della brutalità dei campi di concentramento. Per la prima volta venne stabilito che i leader di uno Stato non possono giustificarsi dicendo di aver “eseguito ordini” o di aver agito per ragioni di governo: la responsabilità personale non può essere cancellata.

Al termine, dodici imputati furono condannati a morte, altri ricevettero pene detentive, alcuni furono assolti. Ma l’eredità più importante fu la nascita di principi che ancora oggi fondano il diritto internazionale: il concetto di crimine contro l’umanità, la responsabilità individuale dei leader, e l’idea che la giustizia debba prevalere anche dopo i conflitti più devastanti.

Guardando alla storia, il processo di Norimberga raggiunse molti dei suoi obiettivi: istituì principi giuridici innovativi, mostrò al mondo la necessità di una giustizia internazionale e mise un limite alla pretesa impunità del potere. Tuttavia, osservando ciò che accade oggi — guerre, violazioni dei diritti umani, aggressioni ai civili — è inevitabile chiedersi quanto quella lezione sia stata davvero compresa. Norimberga fu un punto di partenza, non un traguardo: il suo messaggio rimane valido, ma richiede ancora impegno, responsabilità e volontà politica per essere pienamente realizzato.

martedì 18 novembre 2025

Tha spasoume ti mesi stin Ellada ....... spezzeremo le reni ....


 

Il 18 novembre 1940, dal balcone di Palazzo Venezia affacciato su Piazza Venezia, Mussolini pronunciò una delle frasi più celebri e più vuote della retorica fascista: «Spezzeremo le reni alla Grecia».

Era un proclama roboante, concepito per galvanizzare la folla e mascherare le difficoltà crescenti dell’esercito italiano, già impantanato tra pioggia, montagne e carenze logistiche. A Roma si recitava la parte dell’Italia invincibile; nei Balcani si combatteva con materiali insufficienti, mezzi antiquati e piani improvvisati. L’immagine che il regime voleva trasmettere era quella di una potenza sicura di sé, guidata da un capo infallibile. Ma la realtà smentì presto il mito: l’offensiva italiana fu respinta, e l’esercito ellenico passò al contrattacco, costringendo Mussolini a chiedere l’intervento tedesco.

Quella frase, declamata con tono minaccioso alla folla di Piazza Venezia, divenne così il simbolo della distanza abissale tra parole e fatti, tra la propaganda che prometteva vittorie facili e la guerra che rivelava tutta la fragilità del sistema fascista. Il Duce, maestro di messa in scena, sapeva come usare slogan, immagini e toni enfatici per costruire consenso. Ma la comunicazione, pur potente, non poteva compensare la mancanza di strategia, organizzazione e preparazione. Con il tempo, “spezzeremo le reni alla Grecia” è rimasta come una citazione amara e ironica, ricordata non per la forza, ma per la sua inconsistenza. Un monito su quanto la retorica politica possa apparire grandiosa… finché non si scontra con la realtà e questo vale sempre.

domenica 16 novembre 2025

la Storia di Edward Teach in arte Barbanera


Nato in Inghilterra sul finire del Seicento, Edward Teach crebbe tra porti affollati e racconti di mare, finché la guerra e il destino lo spinsero verso i Caraibi. Lì, tra tempeste e cannoni, imparò l’arte del mare servendo come corsaro, ma quando la guerra finì scelse la via più rischiosa: la pirateria.

Sotto il comando del pirata Hornigold affinò il suo talento, ma il vero Barbanera nacque quando prese possesso di una poderosa nave francese, trasformandola nella terribile Queen Anne’s Revenge. Con quaranta cannoni e una ciurma votata al terrore, iniziò a solcare gli oceani come una leggenda vivente.

Sul ponte della sua nave, la barba lunga e scura intrecciata con micce fumanti, Barbanera pareva una creatura evocata dagli abissi. Il suo aspetto era un’arma: molti capitani ammainavano le vele senza osare combatterlo. Nel 1718 compì il gesto che lo rese immortale: bloccò il porto di Charleston, catturando navi e ostaggi con una calma glaciale. Seduto sulla sua sedia di rovere, emanando fumo come un demone, accettò il riscatto solo quando lo decise lui. Per la città fu un incubo, per lui solo un altro giorno in mare.

Ma nessuna leggenda dura per sempre. Il governatore della Virginia, stanco del suo dominio, mandò il tenente Maynard a porre fine alla minaccia. Nelle acque di Ocracoke avvenne lo scontro finale: un turbine di fumo, esplosioni e urla. Barbanera combatté con la forza di dieci uomini, sanguinante ma inarrestabile, finché cadde colpito da colpi di pistola e di lama. Si dice che, anche a terra, il suo corpo continuò a muoversi per qualche istante, come se rifiutasse la morte.

La sua testa venne issata sulla prua dei vincitori, ma la sua storia non finì lì. Ancora oggi, nelle notti calme delle Caroline, i marinai giurano di vedere una nave scura tagliare l’orizzonte, e un uomo dalla barba fumante osservare il mare… come se Barbanera non avesse mai davvero abbandonato il suo regno.



sabato 15 novembre 2025

Orange in trasferta portano a casa un buon punto dalla Sardegna. Doppietta Angelino e Ibra


Dopo cinque vittorie sulla ruota della Sardegna esce il pareggio (3 a 3 con Quartu)… ma che partita, ragazzi! Le trasferte — soprattutto quelle isolane — sono sempre un terno al lotto: distanze infinite, giornate che sembrano non finire mai e mille sbatti. Ma Ibra e compagni non mollano di un centimetro e si portano a casa un punto che non vale solo per la classifica, ma soprattutto per il morale, per come è stato conquistato. Quartu impone subito la legge del proprio campo e azzanna gli astigiani fin dall’inizio, passando in vantaggio. Ci pensa Ibra a rimettere le cose a posto, ma i padroni di casa tornano avanti e, nella ripresa, allungano ancora.

Qualsiasi altra squadra si sarebbe sciolta… ma non gli Orange. Loro no. Con il portiere di movimento e soprattutto con un Angelino in versione finisseur, gli Orange rimontano e la impattano. E ci sarebbe pure l’ultimo sussulto di Ibra, a dieci secondi dalla fine: un tiro che esce di un soffio, di un niente. Finisce così. Dopo cinque vittorie consecutive, un pari lontano dal PalBrumar ci può stare.

Ma la vera notizia è un’altra: la consapevolezza di un gruppo che non smette mai di crederci è ormai una certezza scolpita.

mercoledì 12 novembre 2025

I Leoni di HIghbury. Chi si estranea dalla lotta.......


 

È il 14 novembre 1934, stadio Highbury di Londra. L’Italia campione del mondo affronta l’Inghilterra in una sfida durissima. Appena mezz’ora di gioco e gli azzurri sono già sotto di tre gol: un disastro. L’Inghilterra domina, gli italiani arrancano, e la partita sembra segnata. Nell’intervallo, nello spogliatoio, il clima è pesante. È allora che uno dei giocatori - molti dicono il capitano Ferraris IV - urla la frase rimasta nella leggenda:

Dalla lotta chi desiste fa una fine molto triste,
chi desiste dalla lotta è ’n gran fijo de ’na mignotta!”.

Quelle parole scuotono tutti. Nella ripresa gli azzurri tornano in campo come leoni. Con Meazza , l’Italia segna due volte, sfiora il pareggio colpisce una traversa e mette paura agli inglesi. Finisce 3-2 per l’Inghilterra, ma i britannici riconoscono: “They are Lions of Highbury”. Quel giorno l’Italia non vinse la partita, ma vinse il rispetto.

Da allora, “i Leoni di Highbury” rappresentano il coraggio, la dignità e la forza di non arrendersi mai. Una lezione di sport e di vita, nata da un urlo nello spogliatoio e scolpita nella storia del calcio.


lunedì 10 novembre 2025

“Tutto sull’amore e altre stranezze” la performance di Claudio Cali al Teatro di Rete7 sabato 15 novembre ore 21


Che cos’è l’amor?”, canta Vinicio Capossela, ma oltre la musica e la poesia, c’è molto di più: c’è la vita vera, con le sue passioni, le sue fragilità e le sue meravigliose contraddizioni. A guidarci in questo viaggio sarà Claudio Calì, comunicatore, formatore e mediatore civile, protagonista della serata “Tutto sull’amore e su altre stranezze”, in programma sabato 15 novembre alle ore 21 presso il Teatro di Rete7.

Un evento dedicato ai sentimenti, alle relazioni e a tutte quelle “stranezze” che rendono l’amore la più universale e affascinante delle esperienze umane. Con il suo stile diretto, ironico e coinvolgente, Calì condurrà il pubblico in un racconto leggero ma profondo, dove l’amore diventa un pretesto per parlare di emozioni, linguaggi e connessioni autentiche.

La serata sarà un dialogo aperto tra riflessione e intrattenimento: un’occasione per sorridere, pensare e riconoscersi nelle infinite sfumature del sentimento più antico e misterioso del mondo.

Claudio Calì non è un “guru dell’amore”, ma un autentico affabulatore capace di trasformare i grandi interrogativi del cuore in momenti di leggerezza e consapevolezza, dove la parola si fa incontro, e la comunicazione diventa un ponte tra le persone.

Senza dimenticare che la serata servirà a raccogliere fondi per a favore della Biennale della Legalità, una finalità quanto mai necessaria.

Tutto sull’amore e su altre stranezze” — Una serata tra parole, emozioni e ironia

📅 Sabato 15 novembre, ore 21 📍 Teatro di Rete7 – Torino



domenica 9 novembre 2025

Georg Elser, l’uomo che voleva fermare il tempo


Monaco di Baviera, autunno 1939. Mentre la Germania esulta per le prime vittorie in Polonia, un uomo solo lavora in silenzio, notte dopo notte, nel seminterrato di una birreria. Si chiama Georg Elser, è un falegname, un artigiano. Le sue mani conoscono la pazienza, la precisione, il ritmo del lavoro. E proprio con quelle mani sta costruendo una macchina che non ha mai osato immaginare: un orologio che misura la fine di un dittatore. Nel Bürgerbräukeller, dove ogni 9 novembre Hitler celebra il fallito colpo di stato del 1923, Elser si nasconde dopo la chiusura, smonta assi, scava una colonna, lima, salda, misura. Nessuno lo aiuta. Nessuno sa

La sua bomba è un capolavoro di ingegnosità artigianale: due meccanismi di orologio, ingranaggi perfetti che dovranno far esplodere la carica alle 21:20 del giorno fissato. Ogni ticchettio è una preghiera, ogni vite serrata è un atto di fede nella libertà. Elser non è un soldato, non è un cospiratore professionista. È un uomo qualunque che crede che un solo gesto giusto possa cambiare il corso della storia.
“Se nessuno fa nulla,” pensa, “la Germania andrà in rovina.” L’8 novembre 1939 tutto è pronto. Hitler arriva, parla, infiamma la folla. Ma quella sera ha fretta: la nebbia minaccia il volo per Berlino, e il Führer
anticipa il discorso di mezz’ora. Quando lascia la sala, sono le 21:07. Alle 21:20, puntuale come solo un orologio può essere, la bomba di Elser esplode. La colonna crolla, il tetto si squarcia, otto persone muoiono.
Ma non l’uomo che doveva morire. Mentre la Gestapo bracca sospetti, Elser è già in viaggio verso la Svizzera. Lo fermano alla frontiera: nel cappotto, trovano schizzi, disegni, pezzi di orologio. Quando lo interrogano, confessa tutto. “Ho agito da solo.” Nessuno gli crede. Nessuno vuole credere che
un solo uomo, armato solo della sua coscienza e del suo mestiere, abbia tentato di fermare la Storia.

Passerà anni in prigionia. Sarà ucciso nel 1945, poche settimane prima della fine del regime che aveva cercato di distruggere. Eppure, nella sua solitudine, Georg Elser resta il simbolo più puro del coraggio individuale: l’uomo che cercò di fermare Hitler con un orologio e con la forza del proprio lavoro. Un artigiano che, mentre il mondo correva verso la guerra, tentò — per un attimo — di fermare il tempo.


L'Orange mette la quinta, anche Cornedo cade al Palabrumar


 

Partita di sostanza da parte dell’Orange Futsal, che contro il Cornedo sforna una prestazione super e porta a casa un match tutt’altro che scontato, sigillando ancora di più il primo posto in classifica. La squadra di Patanè resta infatti imbattuta e vincente dopo cinque partite di campionato.


Le due squadre, che già si erano affrontate ai playoff nella passata stagione, danno vita a una partita vibrante, maschia e decisamente sopra le righe. Le difese concedono poco o nulla e serve un errore in ripartenza dei veneti per permettere a Caracciolo un tap-in tutt’altro che facile ma vincente.


Il gioco duro fa aumentare i falli — ben undici nel primo tempo — ma il sesto lo commette il Cornedo, e Petkovic, come al solito, si dimostra un baluardo insuperabile anche per un sempre ficcante Montauro, che però si rifà poco dopo su calcio da fermo: la deviazione della difesa favorisce il comodo tap-in di Vitellaro. Alla sirena è 2-0.


La ripresa è nel segno del Cornedo, che piazza una ripartenza ficcante con Murgia; poco dopo, in un’altra azione, Vitellaro viene espulso e, con l’uomo in più, Amoroso — sempre più capocannoniere — trova il pareggio. Qui un’altra squadra avrebbe mollato, invece, dopo soli venti secondi, Montauro riporta avanti i padroni di casa e, sempre lui, mette la doppia freccia, conquistandosi meritatamente il titolo di MVP dell’incontro: caparbietà e grinta come pochi. Ma è tutta la squadra che gira: Itria per Ibra, e sono cinque! A questo punto Cornedo inserisce il portiere di movimento, ma Cavallo — alla prima rete in prima squadra — recupera palla e la fa scivolare dolcemente in rete. Sul 6-2 gli Orange arretrano e subiscono due volte Zini dalla distanza e Cailotto sotto porta, ma ormai la partita è indirizzata e consegna la vittoria a Ibra e compagni.


Chi oggi era al PalaBrumar ha visto una partita vera e combattuta: un inno al nostro sport.


Orange vs Cornedo 6 – 4 ( 2 – 0 pt)


Marcatori 2 Montauro 1 Ibra, Vitellaro, Cavallo, Caracciolo (orange) Murgia, Amoroso, Zini e Cailoto (Cornedo)

giovedì 6 novembre 2025

“Qui ad Atene noi facciamo così” – L’eredità democratica di Pericle

Nel cuore dell’Atene del V secolo a.C., Pericle pronunciò uno dei discorsi più celebri della storia, un’orazione funebre in onore dei caduti della guerra del Peloponneso. Quel discorso, tramandato da Tucidide, è diventato il manifesto ideale della democrazia ateniese, un modello politico e morale che ancora oggi ispira le società moderne.

Qui ad Atene noi facciamo così”: con questa frase simbolica, Pericle non celebra solo una città, ma un modo di vivere fondato sulla libertà, sull’uguaglianza e sulla partecipazione di tutti i cittadini. La democrazia, per lui, non è soltanto un sistema di governo, ma una forma di educazione civile, un costume collettivo.

Uno dei punti centrali del discorso è la centralità del cittadino. Ogni ateniese, indipendentemente dalla ricchezza o dal ceto, ha il diritto e il dovere di partecipare alla vita pubblica. La libertà individuale non è mai disgiunta dalla responsabilità verso la comunità. In questo equilibrio tra libertà personale e bene comune risiede la forza di Atene.

Pericle esalta anche la meritocrazia: nella democrazia ateniese, le cariche vengono assegnate non per nascita o privilegio, ma per capacità e valore. È un messaggio rivoluzionario per l’epoca, in cui il potere era spesso ereditario o legato alla ricchezza.

Un altro aspetto fondamentale è il rispetto delle leggi. La democrazia, ricorda Pericle, non può sopravvivere senza l’obbedienza volontaria alle regole condivise. Il rispetto dell’ordine civile garantisce la libertà di tutti.

Infine, l’orazione celebra la grandezza morale e culturale di Atene: la città è un modello di apertura, tolleranza e creatività. Gli Ateniesi non temono di accogliere idee nuove, di confrontarsi, di imparare dagli altri.

Così, nelle parole di Pericle, la democrazia si rivela non come un privilegio, ma come un impegno continuo verso la giustizia, la partecipazione e la dignità dell’uomo. E il suo messaggio, pur antico di oltre duemila anni, continua a ricordarci che la vera libertà nasce solo dove ogni cittadino si sente parte viva della comunità.



domenica 2 novembre 2025

Vittoria nel derby e primato consolidato


 

Il campo è uno dei più difficili, e la squadra — come già visto nella Coppa di Divisione — si è confermata un’avversaria ostica. Il derby, poi, è sempre una partita complicata sotto ogni punto di vista. Eppure, oggi è andata in scena l’ennesima prova di maturità di un gruppo che continua a crescere e che si muove da squadra vera: compatta, generosa, pronta ad aiutarsi in ogni situazione. Una sorta di “cooperativa del futsal”, capace di divertire, costruire e colpire con intelligenza.

Merito dei ragazzi, ma anche del mister Patanè, che ha saputo plasmare un collettivo vincente, consapevole dei propri mezzi e ricco di entusiasmo. Certo, arriveranno anche momenti difficili, ma intanto godiamoci questo inizio di campionato quanto mai fruttuoso.

La partita si è incanalata bene fin dal terzo minuto, quando Caracciolo ha sbloccato il risultato su assist di Vitellaro. Parti invertite per il raddoppio: stavolta è stato “Vite” a impattare, firmando il 2-0. Nella ripresa la squadra ha controllato con autorità, trovando l’affondo nel finale ancora con Caracciolo per il 3-0; dopo la rete di Corsini, è arrivata la doppietta di Montauro — la seconda su tiro libero — che ha definitivamente sigillato il match.

Lo score di queste prime quattro partite parla chiaro: Orange a punteggio pieno e con un saldo reti positivo di +19. Sabato arriva un altro snodo importante: la sfida con il Cornedo, reduce dal pareggio in Sardegna contro il Quartu.

Avis Isola va Orange 1 – 5 ( 0 – 2 pt)

Marcatori: 2 Montauro Caracciolo 1 Vitellaro Corsini (I)

venerdì 31 ottobre 2025

Il VAR e l’incubo della moviola infinita


 



Il VAR, nelle intenzioni dei grandi burattinai del calcio, doveva essere la rivoluzione perfetta. L’arma tecnologica che avrebbe messo fine a ogni discussione, dissolvendo le ombre del sospetto e restituendo alla giustizia sportiva la sua purezza originaria. In teoria, un’idea impeccabile. In pratica, un incubo a colori.

A distanza non di mesi ma di anni, il grido profetico di Aldo Biscardi — “vogliamo la moviola in campo!” — è diventato la nostra ossessione domenicale. Quella che doveva essere la fine delle polemiche è diventata la loro moltiplicazione infinita. Ora le proteste non si fermano al “rigore sì, rigore no”: si dibatte di simulazioni e di scene teatrali, di angolazioni, di fotogrammi, di ginocchi sporgenti e di ascelle in fuorigioco.

Gli arbitri in campo non sono più soli. Alle loro spalle, o meglio sopra le loro teste, un esercito di giacchette fosforescenti, chiuse nelle sale operative di Lissone, analizza ogni tocco, ogni movimento, ogni frammento di partita. Non una palazzina arbitrale, ma un centro di controllo degno della NASA, dove si misura l’ångström che separa la regolarità dall’infamia sportiva.

La geometria ha sostituito l’intuito, il teorema ha preso il posto del fischietto. E così la partita, anziché scorrere nel suo ritmo naturale, diventa una sequenza di pause, attese, sospiri. Al gol non si esulta più: si aspetta la sentenza, come al tribunale dell’’Aia. L’arbitro tocca l’orecchio, il pubblico trattiene il fiato, il tempo si congela. Poi arriva il verdetto, spesso accolto da urla e improperi.

Il bello è che, nonostante tutto questo arsenale di tecnologia, il dubbio resta sempre. Forse perché il calcio, come la vita, non è fatto per essere vivisezionato al millimetro. È un gioco d’istinto, di errori, di emozioni. E invece lo stiamo trasformando in una perizia balistica. Ogni domenica, milioni di tifosi si improvvisano ingegneri ottici, analizzano immagini rallentate, tracciano linee colorate, citano regolamenti con la passione di un penalista. La promessa era di “rendere il calcio più giusto”. Il risultato? Lo abbiamo reso più nevrotico.

E così, mentre a Lissone le antenne del VAR scrutano ogni fotogramma con l’infallibilità della macchina, giù nei bar e sui social si accende la solita canea: c’è chi grida al complotto, chi invoca la Var Room come un oracolo infedele, chi sospetta favoritismi algoritmici. Una tecnologia che doveva pacificare il calcio lo ha reso ancora più divisivo.

A volte viene da pensare che il vero fuorigioco non sia quello di un attaccante con la punta del piede avanti, ma quello di uno sport che ha smarrito la sua spontaneità.

Una sola certezza rimane, tra ironia e rassegnazione: non vorrei abitare a Lissone. Perché, di questo passo, con le antenne che scrutano e i tifosi che ribollono, prima o poi qualcuno rischia di confondere la palazzina del VAR con la sede dell’ingiustizia calcistica universale e dalla presa della Bastiglia a quella dell’Antenna è un attimo.



giovedì 30 ottobre 2025

Fräulein Doktor, la spia che non mise mai piede sul campo


Non sparò mai un colpo, non attraversò notti di tempesta in trench e cappello a tesa larga, e non consegnò microfilm nascosti in una sigaretta. Eppure, Fräulein Doktor fu una delle menti più sottili — e più pericolose — dello spionaggio tedesco nella Prima guerra mondiale. Una spia… senza spiare davvero. O meglio, una direttrice d’orchestra del segreto, che dalla sua scrivania riuscì per mesi a far ballare la flotta britannica come voleva lei. La leggenda racconta che non si sapesse nemmeno il suo vero nome. C’è chi la immagina come un’intellettuale dallo sguardo tagliente dietro occhiali sottili, chi come una femme fatale in abito di seta e rossetto scuro. Forse era semplicemente una donna con un cervello che andava più veloce dei generali. Mentre gli uomini scavavano trincee, lei scavava reti di spie. La sua arma? Il linguaggio commerciale. Altro che codici cifrati e inchiostri simpatici: la Fräulein usava telegrammi che parlavano di... sigari. “Pregasi inviare a Portsmouth 3.000 Corona e 8.000 Avana entro il 10 maggio.” Così recitava uno dei suoi dispacci. Tradotto:
“Il 10 maggio nel porto di Portsmouth ci sono 3 corazzate e 8 incrociatori.” Un colpo di genio. Chi mai avrebbe sospettato che dietro un ordine di sigari si nascondesse la
mappa della marina britannica? Gli agenti olandesi, comparse perfette in questa commedia bellica, si fingevano commercianti neutrali e trasmettevano le informazioni alla centrale tedesca di Amsterdam, con il garbo di chi chiede un buon tabacco. Tutto funzionò alla perfezione… finché qualcuno non si accorse che in piena guerra nessuno importava 8.000 sigari Avana alla settimana. L’intelligence britannica non ci mise molto a unire i puntini: troppi ordini, troppa fretta, troppi sigari per un Paese in trincea. E così la rete della nostra raffinata Fräulein cadde, come un soufflé ben montato ma cotto troppo in fretta. Lei, però, non fu mai catturata. Non mise mai piede sul suolo britannico. Nessun processo, nessuna condanna. Solo un’aura di mistero e un nome che riecheggiava tra i corridoi dell’intelligence come una leggenda: Fräulein Doktor

Onore e Rispetto: il valore della parola data di Robert Campbell

  La storia antica è piena di gesti che sembrano impossibili oggi. Pensiamo ad Attilio Regolo , il generale romano catturato dai Cartagines...