Mi chiamo Giuseppe Menghini Odone
classe 1897, sono il primo di sei fratelli, figlio di Olindo e di Lucia
Chiavelli e sono qui sul Piave, 66 divisione di fanteria, II armata. Questo per
me è il terzo anno di guerra, dopo settimane di ripiegamento, di corse, di
agguati ci siamo fermati sulla sponda del fiume. Tutti guardano al Piave con
paura, il timore del nemico, le acque limacciose e traditrici del corso d’acqua
mettono apprensione ai miei compagni, ma io che sono nato sul fiume, in una
golena, a Carbonara Po, non ho paura, conosco l’acqua, questo aspetto mi
tranquillizza mi sembra di essere a casa. Il grande fiume è il mio ambiente, l’acqua
è risorsa e per noi che lavoriamo la terra sappiamo come utilizzarla al meglio.
Gli austriaci, già ma perché chiamarli
austriaci, in realtà sono slavi, alcuni della peggiore specie, specialmente i
croati, sanguinari e briganti al tempo stesso. Circolano brutte storie sui
territori occupati, alcune magari frutto della propaganda, altre sicuramente
veritiere, questo crea uno spirito di corpo, in fin dei conti stiamo lottando
per noi.
La casa dei miei vecchi dista
poche decine di chilometri, mi sembra quasi di sentire il profumo degli
agnolotti che mamma Lucia preparava alla domenica di Natale e che adesso mi
mancano terribilmente. Qui, se va bene, ti arriva un pezzo di pane ammuffito e
una brodaglia che dovrebbe cibarti, certo meglio di quando eravamo vicini al
Monte Nero, dove spesso mancavano i rifornimenti. Per tutta la notte è andato avanti un cannoneggiamento da parte del
nemico soprattutto verso Il Monte Grappa, ma non è stato così intenso come in
passato. Alcuni reparti di arditi, per me son dei matti, anche se coraggiosi, hanno
ripulito la parte del fiume tenuta dalle nostre compagnie e i crucchi hanno
perso la testa di ponte a Zenson.
Forse ora il fronte reggerà, ho
perso tanti amici con cui avevo condiviso i primi anni di guerra in questa
ritirata, la domanda legittima è riusciremo a farcela? Sono stanco e ho
nostalgia della campagna, di quando la sera ci si riuniva nella stalla e si
raccontavano storie e pettegolezzi di paese, di quando ti svegliavi alle quattro per
andare a lavorare, ecco non pensavo l’avrei mai detto. Mi porto dietro un
vissuto di venti mesi terribili, di assalti, di difese, di proiettili che ti
sibilano attorno e per un puro caso colpiscono il tuo vicino con cui hai riso e
scherzato fino a pochi secondi prima, ho conquistato i galloni di sergente sul
campo per puro caso, credo sia una sorta di premio alla decimazione cui sono
andato incontro.
Torneremo mai a casa ? La
tentazione di mollare c’è, ma poi tornano alla mente i ricordi di nonno Natale quando
eravamo sotto le giacche bianche austriache, meno di cinquant’anni prima, le vessazioni,
le gabelle, le imposizioni, il militare in Galizia e allora tieni duro,
sperando in un domani migliore anche se il cielo promette neve e freddo in quantità.
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