martedì 9 gennaio 2018

Cronache dalla Grande Guerra 3/1918. Quella volta sul Monte Nero ........


 

Sono giorni pesanti, quasi fastidiosi, vissuti a metà tra la pioggia che scende copiosa mista a neve sulle nostre teste, tu ritto nei tuoi ricoveri con una umidità che ti penetra fin dentro le ossa, in attesa di un attacco, di un colpo di mortaio, di un tiro di un cecchino, di uno shrapnel, pronto a buttarti nel fango nella speranza, com’è successo migliaia di volte in questi mesi, di essere graziato. E il tempo che non passa il grande signore e maestro di queste giornate. L’altro giorno sono tornato al comando a prendere gli ordini per la compagnia, queste sono le cosiddette prebende che il grado di sergente mi consente e ho parlato, si fa per dire, con qualche commilitone inglese. A parte il fatto che le mie domande erano più tese a sapere dei loro alloggiamenti nel mantovano tra Ostiglia e Sermide, ma pare non siano passati da Carbonara. Loro raccontavano del saliente di Ypres, un posto in cui la pioggia battente cade 300 giorni all’anno, in cui non ti muovi dalle tue posizioni anche se vuol dire star sdraiato nel fango per ore.
Mi verrebbe da chiedere se i nostri ufficiali siano a conoscenza delle nostre condizioni, ma i comandi Son fatti così; inesperienza e rigore dosati in ugual misura e capacità di prendere gli spazi che competono a noi soldati, lasciando agli umili sottoposti le briciole, al massimo una pacca sulla spalla e una tazza di grappa. Come quella volta sul Monte Nero quando, con due colleghi, un toscano e un emiliano, di pattuglia ci siamo trovati nella terra di nessuno, avvicinatisi a una grotta abbiamo sentito parlare un idioma che sembrava bergamasco. ma molto più stretto. Tornare indietro voleva dire farsi scoprire e così abbiamo buttato due bombe a mano all’apertura, dopo dieci secondi di silenzio, una voce gracchiante in italiano stentato diceva. “buono italiano non sparare”, sono usciti dalla grotta in settanta, ammonticchiando le loro armi: fucili, pugnali e qualche bomba a mano in un cumulo che poi abbiamo fatto brillare. Tornati indietro siamo stati persino rampognati dal tenente che non sapeva cosa fare di tutti quei prigionieri e io e gli altri due a guardarci in faccia a chiederci se avevamo fatto bene o meno.
Mesi più tardi per quell’azione il tenente si è beccato una medaglia, e noi una promozione sul campo per meriti di guerra, ma boia mondo l’azione l’avevamo fatta noi. Sempre pronti i comandi a prendersi la gloria e noi militi di truppa a marciare e ad andare avanti, almeno quella volta non abbiamo avuto perdite e nemmeno gli austriaci, ecco in quel caso ci è andata bene erano austriaci e ungheresi, fossero stati sloveni o croati ci avrebbero sopraffatti. E intanto che ricordo i momenti passati tengo l’occhio vigile sull’orizzonte, scruto le rive del Piave dalla parte opposta nell’attesa di un segnale e di un movimento, al momento ci logorano nell’attesa. Abbiamo pagato dazio due mesi fa e la paura di una nuova ritirata non ci ha ancora lasciato.
I bagliori della notte son sempre a nord, ma la sensazione e che prima o poi si scatenerà l’inferno anche qui

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