Sono giorni pesanti, quasi
fastidiosi, vissuti a metà tra la pioggia che scende copiosa mista a neve sulle
nostre teste, tu ritto nei tuoi ricoveri con una umidità che ti penetra fin
dentro le ossa, in attesa di un attacco, di un colpo di mortaio, di un tiro di
un cecchino, di uno shrapnel, pronto a buttarti nel fango nella speranza, com’è
successo migliaia di volte in questi mesi, di essere graziato. E il tempo che
non passa il grande signore e maestro di queste giornate. L’altro giorno sono
tornato al comando a prendere gli ordini per la compagnia, queste sono le cosiddette
prebende che il grado di sergente mi consente e ho parlato, si fa per dire, con
qualche commilitone inglese. A parte il fatto che le mie domande erano più tese
a sapere dei loro alloggiamenti nel mantovano tra Ostiglia e Sermide, ma pare non
siano passati da Carbonara. Loro raccontavano del saliente di Ypres, un posto
in cui la pioggia battente cade 300 giorni all’anno, in cui non ti muovi dalle
tue posizioni anche se vuol dire star sdraiato nel fango per ore.
Mi verrebbe
da chiedere se i nostri ufficiali siano a conoscenza delle nostre condizioni,
ma i comandi Son fatti così; inesperienza e rigore dosati in ugual misura e
capacità di prendere gli spazi che competono a noi soldati, lasciando agli
umili sottoposti le briciole, al massimo una pacca sulla spalla e una tazza di
grappa. Come quella volta sul Monte Nero quando, con due colleghi, un toscano e
un emiliano, di pattuglia ci siamo trovati nella terra di nessuno, avvicinatisi
a una grotta abbiamo sentito parlare un idioma che sembrava bergamasco. ma
molto più stretto. Tornare indietro voleva dire farsi scoprire e così abbiamo
buttato due bombe a mano all’apertura, dopo dieci secondi di silenzio, una voce
gracchiante in italiano stentato diceva. “buono italiano non sparare”, sono
usciti dalla grotta in settanta, ammonticchiando le loro armi: fucili, pugnali e
qualche bomba a mano in un cumulo che poi abbiamo fatto brillare. Tornati
indietro siamo stati persino rampognati dal tenente che non sapeva cosa fare di
tutti quei prigionieri e io e gli altri due a guardarci in faccia a chiederci
se avevamo fatto bene o meno.
Mesi più tardi per quell’azione il tenente si è
beccato una medaglia, e noi una promozione sul campo per meriti di guerra, ma
boia mondo l’azione l’avevamo fatta noi. Sempre pronti i comandi a prendersi la
gloria e noi militi di truppa a marciare e ad andare avanti, almeno quella
volta non abbiamo avuto perdite e nemmeno gli austriaci, ecco in quel caso ci è
andata bene erano austriaci e ungheresi, fossero stati sloveni o croati ci
avrebbero sopraffatti. E intanto che ricordo i momenti passati tengo l’occhio
vigile sull’orizzonte, scruto le rive del Piave dalla parte opposta nell’attesa
di un segnale e di un movimento, al momento ci logorano nell’attesa. Abbiamo
pagato dazio due mesi fa e la paura di una nuova ritirata non ci ha ancora lasciato.
I bagliori della notte son sempre a nord, ma la sensazione e che prima o poi si
scatenerà l’inferno anche qui
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