Una maglia: la numero 6, una fede: la Pallacanestro Biella che non si discute, un amore per la città incommensurabile, un attaccamento viscerale alla patria del basket piemontese degli anni 90 e dei primi 2000. Un territorio tranquillo che ha eletto a suo buen ritiro. Il Mine è uno sperimentatore di emozioni, si butta a capofitto in tutto quello che fa con l’energia di un ventenne la voglia di un bambino e la passione di un uomo che sa mettersi sempre in gioco. Gentilissimo e disponibile si concede di buon grado al fuoco di fila delle domande ma non perde di vista le cose semplici, se ritarda anche solo di cinque minuti ha la premura di avvisarti, in un mondo in cui la cortesia è spesso un lusso poco sbandierato, fa particolarmente piacere. Concetti chiari e semplici come la pallacanestro che ti faceva vedere in campo ma è la grinta che ci mette che ha sempre fatto la differenza e che lo ha eletto a vera bandiera di Biella. Lui si schermisce ma lo vedi quanto ci tiene proprio dal suo incipit (..) una fede è una fede e non c’è niente altro (..)
Banale forse chiedergli qual è il ricordo migliore (..) l’ultimo il canestro contro Cantù. Ho giocato un anno in serie A ringrazio la società per avermi dato quella possibilità e la mia carriera è finita con quell’emozione È stata il raggiungere un sogno, tutti noi abbiamo dei sogni che facciamo da bambini i sogni te li dimentichi, io no, ho avuto questo sogno quello di segnare nella massima serie e di farlo con Biella e quindi il mio proposito partito vent’anni prima ha avuto compimento . Mi può capire solo chi è riuscito a realizzarne uno, un sogno realizzato in una frazione di un secondo.
E allora è giocoforza chiedere al Mine chi si sentiva quando calcava i campetti da piccolo (..) tutti e nessuno in particolare, ero un po’ volubile (ride ndr) giovano mezzora a basket e mi sentivo Jordan e poi prendevo la palla dal calcio e si giocava a football e provavo a fare Maradona e poi mi mettevo a giocare anche a baseball. Insomma la sua era una vera e propria vita sportiva in cui il divertimento e l’agonismo la facevano da padroni
Ma la passione, quella vera, familiare trasmessa da genitore a figlio sono i motori, meglio se a due ruote, ma non tanto per una passione sportiva, anche se Valentino Rossi è un icona. Qui ci sta il concetto di libertà, inforcare una Harley Davison e di correre in sentendo i profumi della terra che ti circonda, senza essere collegato a telefonini e tecnologia è quanto di più bello ci possa essere. Lo vedi ancora oggi sfrecciare per le vie della città legato a questa passione. Minessi sarebbe il prototipo del free ride tipico che partecipa senza scuderia alla Parigi Dakar, ma non quella dei giorni nostri, quella antica e dal sapore agreste di Thierry Sabine.
L’attualità vede il Mine a supporto della squadra e ha ingaggiato non solo il personaggio ma anche la sua grinta, contagiosa e utile per una squadra che ha l’obbligo di ritrovare freschezza ed entusiasmo. (..) E’ bello alzarsi la mattina avere migliaia di cose da preparare e poi chiudere con un intervista (erano le sette di sera ndr) Nel mio piccolo spero di portare il mio mattone, sono nella terra di mezzo tra squadra e società e io nella terra di mezzo ci sto benissimo, vedo un grande entusiasmo e lo sento. Biella è ormai una fede i veri credenti non mollano la fede.
Grazie di esistere Mine
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