Metti una sera davanti alla tv a
vedere la tua squadra, un match non facile contro una squadra sempre ostica,
una partita indirizzata da un tiro potente ma non irresistibile, un centrocampo
che non filtra molto, una difesa spesso preda di amnesie, un portiere all’altezza
che blocca tutti i pericoli. Alla fine vinci tre a zero e porti a casa una
qualificazione all’Europa che conta e, probabilmente, un budget maggiore che ti
consente di programmare altre spese e investimenti ma senza esagerare. Una
serata forse tranquilla e invece no, il livornese fumantino, indispettito per l’approccio
mediatico alla partita, a modo suo, ma sbagliando tempi e uscite, cerca di
togliersi qualche sassolino dalle scarpe.
Quello che emerge è un quadro
decisamente nero degli umori che circolano in casa Milan. Allenatore
sicuramente discusso dalla società (ma allora perché rinnovargli l’incarico);
poco amato dagli spogliatoi e dal gruppo (le cessioni in questi anni ne sono
emblematiche: da Pirlo fino ad arrivare ad Ambro) poco feeling con la Curva
(punta su Matri ma i tifosi dicono di no). Certo riconoscergli il merito di
aver vinto un titolo (ma con la campagna acquisti del 2010 forse sarebbe stato
difficile fare il contrario), di aver rottamato la vecchia classe dirigente (da
Ronnie a Seedorf, da Nesta ad Ambro passando per Pirlo – l’errore più grande) e
di aver condotto la squadra lo scorso anno a un insperato terzo posto.
Rimane
però un giudizio sospeso, perché non ha rivinto il titolo con una squadra
oggettivamente più forte della Juve nel 2012, ha una visione del gioco
particolare, poco incline alla velocità e soprattutto non legge molto bene le
partite, prima di fare un cambio passa troppo tempo. Non è poi un grande
comunicatore e la battuta delle dimissioni ieri è venuta decisamente male e ha
ingenerato più confusione che altro. Ci aspetta un anno complicato e molto
litigioso e forse con il senno di poi diremo che sarebbe stato meglio cambiare
prima. Ma perché dobbiamo farlo sempre dopo.
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