venerdì 30 agosto 2013

Analisi acuta e condivisibile dell'amica Chiara (leggete il suo blog http://squarcidisilenzio.wordpress.com/)

La decadenza.

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Il tempo passa e modifica i pensieri, spegne ed accende progetti e passioni; la mente molto spesso  è l’unico padrone che ci guida e dirige, anche se i fattori esterni possono contribuire ad influenzare le nostre condizioni mentali: allegria, tristezza, noia, rabbia, desolazione, apatia.
Vivo da sempre in una piccola cittadina di provincia del Nord, diventata, vent’anni fa, per qualche calcolo politico-economico, provincia, ed ora, per lo stesso incomprensibile motivo, decaduta. Non conserva grandi retaggi storici, a parte qualche piccolo reperto, e la sua storia è legata principalmente ad un florido periodo tra 1800 e la fine del 1900 ove il settore manifatturiero ha creato una vela che ha aperto orizzonti e lidi in tutto il mondo.
La crisi che tutto colpisce ed uccide, qui ha fatto danni abissali. Là dove il settore manifatturiero  aveva costruito palazzoni ed un indotto economico attivo, restano pochi immigrati che avevano creduto nello stipendio fisso e facile, i loro tappeti appesi ai balconi;  la smaniosa corsa all’oro di commercianti finita dietro a serrande abbassate e cartelli “Cedesi attività”; la prospera ricchezza dei suoi abitanti, scesi dai monti per abitare lussuosi appartamenti in centro, incarcerata nelle finestre spoglie il cui unico abbellimento sui muri è la scritta “Vendesi”.
Torno a casa dopo due settimane di vacanza.
La strada che collega il mondo con la mia città, è una superstrada che taglia la provincia da Sud a Nord. Una striscia di asfalto, le linee di mezzeria sbiadite, e, ad invadere la carreggiata, un groviglio di piante e rovi che non teme confronti con una florida giungla tropicale. Un pericolo per la circolazione e un pessimo biglietto da visita per una città che potrebbe puntare al turismo, ma non lo sa fare.
Due passi in centro per vedere chi è già tornato, e la via principale, quella del passeggio, appare avvolta in una desolazione da ex Jugoslavia, senza i fori dei cannoni. I negozi sono chiusi, e non per ferie; solo alcune grandi marche in franchising  per uno strano motivo ancora si fidano ad investire nella nostra scalcagnata ex provincia, ma la maggioranza delle attività commerciali storiche ha dovuto battere in ritirata prima del fallimento. Le serrande abbassate, la sporcizia che regna nei locali vuoti, vecchi cartelloni pubblicitari ormai sbiaditi e bruciati dal sole.
Mi rifugio in un bar, un caffè dona consolazione; è Domenica mattina, il bar ha quattro sparuti avventori. “Speriamo che da domani sia meglio, la gente dovrebbe tornare a lavorare” mi confida il barista, e ci scambiamo un sorriso di solidarietà, confidando nel fatto che peggio di così non si può andare.
Dal centro mi dirigo nel borgo antico, unica e rara salvezza per un turismo traballante e molto spesso muto. Quattro sono i bar, tutti aperti e per il resto il nulla; mi domando: “Ma un turista ha solo sempre fame? Magari un libro lo compera, o un gadget, una maglietta, una rivista…”. Pare che la squadra attiva al Comune stia collaborando alla decrescita e alla paralisi totale di una città semideserta, una città destinata a diventare un dormitorio, dalla quale tutti stanno fuggendo, e chi resta, resta solo per lamentarsi.
Dal borgo antico decido di godere della natura che, ancora ricca, avvolge questo spicchio di vita italiana. Non mi inoltro nei sentieri di montagna né in boschi incolti, ma seguo le indicazioni per un parco cittadino, un’aera di verde spontaneo rigoglioso ma salvaguardato e curato dalle manovalanze comunali. Uno scempio, un degrado assurdo, piante rotte secche a terra, erba e rovi a rendere quasi impossibile il passaggio. Cartelli illustrativi danneggiati, panchine distrutte. L’unico desiderio: venirne via al più presto.
Questa è la decadenza.
E si aggiunge in maniera pesante e forte, con atti concreti, a quella profonda in atto da tempo nella mia mente e in quella dei cittadini tutti, giovani e vecchi che siano. Un senso di stallo, di non ritorno, di blocco mentale e fisico. Ci si guarda intorno con diffidenza, con speranze vane e pochi, pochissimi desideri e fiducia nel futuro.
Questa è l’immagine di una città che sta morendo e trascina con sé i buoni propositi e le speranze di chi crede che arrendersi sia il peggior fallimento mai messo in atto.
Chiara 

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