giovedì 19 agosto 2021

1842 La lunga marcia da Kabul a Jalalabad ne resterà solo uno


Oggi tutti esperti di geopolitica orientale e la situazione esplosiva dell’Afghanistan mette tutti in guardia sulle future implicazioni di natura politica economica di un mondo che è una perenne polveriera, minata da temi religiosi, ma in realtà dominata dallo sterco del demonio, quel vile denaro, che è il volano di tutti i movimenti a cui assistiamo. Che l’Afghanistan sia la tomba di tutti gli Imperi è già stato abbondantemente detto, che l’Afghano si affitti al miglior offerente anche, che si voglia imporre uno stile di vita diventa per le meno stucchevole dal momento che è dominato da tribù che vantano tradizioni millenarie. Da sempre terreno di competizione tra le varie potenze diventa centrale nella lotta per la supremazia continentale, quella che viene chiamata il Grande gioco alla metà del 1800, come terreno di lotta tra Russia e Inghilterra. Lord Auckland governatore generale dell’India interviene nella lotta alla successione al trono afghano cercando di reintegrare Shujah Barakzai a discapito di Dost Mohammed. La deflagrazione del conflitto diventa ufficiale nel 1838 quando Mohammed si proclama emiro (che significa combattente della fede – guarda le analogie) dell’Afghanistan gli inglesi intervengono e in una facile campagna conquistano la capitale (corsi e ricorsi storici), l’emiro viene catturato e mandato in esilio in India, ma il figlio dello stesso Mohammed Akbar Khan dà del filo da torcere alle truppe inglesi. L’occupazione britannica si protrae e questo scontenta la popolazione locale, la rivolta scoppia il 2 novembre 1841 con l’assalto alla casa di un agente britannico, tale Alexsander Burnes accusato di relazioni promiscue con donne afghane. L’agente viene ucciso e fatto a pezzi e in città compare Mohammed Akbar Khan che diventa capo dell’insurrezione e costringe gli inglesi a fuggire da Kabul. Così il primo gennaio 1842 una lunga colonna tra militare e civili, in totale saranno circa 18.000 persone, esce dalla città. Mohammed si distingue per la propria doppiezza da un lato tratta con gli inglesi promettendo salvacondotti dall’altro in pasthun, la lingua ufficiale, aizza gli afghani contro gli inglesi. Quella che doveva essere una marcia sicura diventa un calvario incredibile, tra gli stenti, il freddo, gli agguati di alcune tribù che usavano i temibili jezail (fucili a canna lunga in grado di colpire bersagli a lunga distanza) a poco a poco vengono tutti uccisi. A Jalalabad arriva solo un medico a cavallo, William Brydon, è stata una carneficina migliaia di morti. Gli inglesi si riorganizzano e nell’autunno dello stesso anno riconquistano Kabul sotto il comando di George Pollock, ma per evitare i problemi dell’anno precedente Dost Mohammed viene liberato e insieme al figlio Mohammed riappare trionfalmente nella capitale afghana qualche mese più tardi quando gli inglesi abbandonano il terreno (costa troppo ed è poco sicuro) e così viene ristabilita l’antica dominazione. A distanza di quasi due secoli il problema è sempre lo stesso, se non comprendi il terreno dello scontro sei destinato a soccombere.

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