Caro
Vittorio, mi permetto di darti del tu perché ci accomuna non solo il lavoro, ma
anche per quella chiacchierata che facemmo qualche mese fa a Dogliani al
Festival della Tv su quel piemontese mandrogno che è stata la bandiera della
nostra squadra negli anni sessanta e settanta. Il tuo grido di innamorato
ferito percosso da troppe buriane societarie e sportive degli ultimi anni, e
ormai provato dalla deriva degli ultimi mesi, ha scatenato in me la stessa ridda
di pensieri che sono alla base del tuo ragionamento. Quante volte il
sottoscritto di area politica difforme rispetto ai desiderata del nostro
Presidente è stato preso dallo sconforto per come viene gestito questo
crepuscolo degli dei rossoneri.
Vedere una partita come quella contro l’Ajax di
De Boer con una tattica catenacciara unica e i match contro squadre mediocri del
campionato con la consueta fatica per portare a casa il risultato, spingerebbe
anche il più paziente dei tifosi a gettare la spugna. Eppure chi ha nel suo Dna
i colori rossoneri conditi con le visioni di partite storiche e meno enfatiche
viste nel parterre, che ha macinato centinaia di chilometri per vedere le
casacche rossonere, che ha sofferto il freddo e il caldo, che ha mangiato
panini improbabili cedendo la sua salute per poter urlare almeno una volta
Milan Milan alla Scala del Calcio, non può abbandonare la sua passione e i suoi
colori. Lo hai detto tu, nemmeno nel 1994, all’apice del Berlusconi politico abbiamo
mollato consapevoli che alla fine l’amore per i propri colori supera
l’inimmaginabile. Il sinistro cognome dell’allenatore in questo periodo buio,
la Diarchia che si va instaurando, vera o presunta che sia, sembra ripercorrere
i passaggi del tardo Impero Romano con lo smembramento dello stesso, di fatto
anticamera della caduta definitiva e totale.
Sarà questione di tempo, ma credo
che la Famiglia Berlusconi abbandonerà il nostro Milan, per esigenze economiche
di rappresentanza e di chissà cosa, ma non mi importa. Si aprirà un'altra
storia, un successivo segmento che mi auguro carico di successi. Tutto ciò è
nel nostro DNA, tifosi abituati a soffrire, a cadere, ma poi a risorgere e per
un Calloni, una Verona e una fatale Istanbul abbiamo dei contraltari
decisamente importanti: la prima coppa vinta a Wembley, Gianni Rivera, le sette
Champions, Van Basten, Savicevic, Sheva, Weah. Nell’attesa di un nuovo ciclo
racconta ai tuoi nipoti quanto è bella la nostra storia e quanto dobbiamo
a Herbert Kilpin. Il Milan è nostro, lo
è sempre stato e lo sarà per sempre
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