E’ quasi l’alba, questa notte non
si riesce a dormire, è non è per colpa del Natale che si avvicina e che non
trascorreremo a casa con la famiglia, ma perché questa guerra ci ha trascinato
via a 1000 e piu chilometri da casa e l’immagine della cascina che ti ha visto
crescere è sempre più lontana. Il freddo è pungente e non basta l’alcool e
mitigarne l’effetto, il gelo ti penetra nelle ossa e l’attesa dell’attacco dei
russi, da qualche giorno imminente, ti tiene col fiato in gola. In guerra le
notizie corrono veloci, il fronte a Sud è fermo, anzi, i tedeschi stanno
facendo una fatica terribile ad avere ragione dei difensori della città di Stalingrado,
e poi il mese scorso i rumeni sul fianco destro sono stati travolti. Le voci
circolano il disastro sembra dietro l’angolo ma perché sono venuto qui, in
questa landa desolata e d’inverno dimenticata da Dio, mi mancano i miei
fratelli, mi manca il piccolo Adriano, mi manca Ponderano, ora mi sembra un
posto bellissimo, un paradiso in terra, vorrei andare a lavorare al Mulino dal
Renzo, sarei a pochi passi da casa, dalla Belaria, sento nelle narici il profumo
del pane appena sfornato dal panettiere del paese. E mentre tutto questo mi
passa nelle mente vedo dei bagliori, lontani sembrano dei lampi ma sono troppo
geometrici per essere veri; è un attimo i razzi katiuscia cominciano a cadere
vicino, sul comando, sulle batterie, su un pagliaio, tutti cercano riparo, c’è
chi prega, chi cerca le cartucce, chi s’accuccia sperando nella fortuna di non
essere colpito. E io corro verso la stazione, luogo di raccolta del plotone, mi
metto a tracolla il fucile, stringo il cappotto d’ordinanza e cerco di trovare
una via d’uscita da questo inferno, uno scoppio a due metri di distanza fa fare
delle capriole innaturali a tre soldati, solo uno si alza, glia altri due
rimangono immobili, è l’immagine della morte del distacco, dell’ultimo viaggio,
non succederà anche e me. Corro corro e mi butto dentro un vagone in cui hanno
trovato posto i commilitoni, sento il sibilo di un proiettile che si conficca nel
legno del vagone, è un attimo, un sussulto prima dello scoppio che ci ucciderà ed
è tutto finito, qui, a più di 3000 km da casa, a Vescenskaja
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