sabato 9 agosto 2025

il famigerato patto Ribbentropp Molotov


 

Il 23 agosto 1939, mentre l’Europa tratteneva il respiro in attesa della guerra, a Mosca si firmava un accordo che avrebbe sancito uno dei più spietati tradimenti della storia moderna. Il Patto Molotov-Ribbentrop, ufficialmente un semplice trattato di non aggressione tra l’Unione Sovietica e la Germania nazista, fu in realtà un cinico patto segreto di spartizione territoriale.

Dietro le fotografie ufficiali, le strette di mano forzate e le dichiarazioni diplomatiche si celava un documento occulto che ridisegnava l’Europa orientale come se fosse una scacchiera, ignorando del tutto l’esistenza di nazioni, popoli e diritti. Nessuno sapeva che allegato al testo principale c’era un protocollo segreto: un foglio firmato nella notte, tra Stalin, Molotov e Ribbentrop, che divideva Polonia, Paesi Baltici, Finlandia e Bessarabia tra le due potenze, assegnando zone d’influenza come si dividono bottini tra ladri.

La Polonia, già sotto pressione tedesca, venne spezzata in due: a ovest la Germania, a est l’URSS. Estonia, Lettonia e Lituania finirono nella zona sovietica. La Bessarabia fu promessa a Mosca. L’accordo prevedeva persino il futuro assalto alla Finlandia. In meno di un mese, il piano si trasformò in realtà. Il 1° settembre, Hitler invadeva la Polonia da ovest. Il 17 settembre, Stalin entrava da est. Il paese fu cancellato dalla carta geografica. Seguì l’occupazione dei Paesi Baltici, la guerra d’inverno contro la Finlandia, l’annessione di territori rumeni. Tutto come stabilito. Tutto come pianificato nell’ombra.

Ma il mondo non lo sapeva. Per decenni, quel protocollo fu negato, nascosto, manipolato. Mosca giurava che non esistesse. Chi osava insinuarne l’esistenza rischiava la censura, l’arresto, l’esilio. Gli archivi erano sigillati, le verità sepolte sotto tonnellate di propaganda. Solo con il crollo del regime sovietico, cinquant’anni dopo, nel 1989, vennero alla luce le prove definitive: copie originali, testimonianze, confessioni. E in quell’anno simbolico, proprio il 23 agosto, due milioni di cittadini baltici formarono una catena umana lunga 600 km, da Vilnius a Tallinn, per denunciare la menzogna e rivendicare la verità.

Il 24 dicembre 1989, con il mondo che ormai guardava oltre la cortina di ferro, il Parlamento sovietico fu costretto ad ammettere ufficialmente l’esistenza del protocollo segreto. Una riga secca, laconica: «Quel documento non ha mai avuto valore legale.» Ma aveva già avuto un valore devastante: aveva permesso invasioni, occupazioni, deportazioni, massacri. Aveva disegnato un’Europa sotto ricatto, con una linea invisibile tracciata nel sangue.

Il Patto Molotov-Ribbentrop non fu solo una pagina di diplomazia. Fu una complicità criminale tra due regimi totalitari che, per convenienza politica, decisero di fare a pezzi un continente. La sua parte segreta — per anni negata, occultata, rimossa — è la prova che la storia si può scrivere con l’inchiostro, ma anche con la menzogna. E che la verità, quando emerge, lo fa sempre con il fragore delle catene spezzate.

Oggi, a distanza di oltre ottant’anni, il fantasma di quel patto non è del tutto sepolto. Quando la Russia parla di “zone d’influenza”, invade territori sovrani, nega l’esistenza storica di intere nazioni — come avvenuto con l’Ucraina — riemerge la stessa logica che alimentava il protocollo del 1939: decidere confini a tavolino, calpestando popoli, storie, diritti. Cambiano i nomi, i leader, le bandiere. Ma la tentazione di ridisegnare il mondo con la forza e l’inganno resta intatta. La memoria serve esattamente a questo: a riconoscere, quando riappare, lo stesso veleno sotto nuove maschere.


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