La genesi della libertà di stampa in America precede la nascita degli Stati Uniti, radicandosi già all’inizio del XVIII secolo, quando le tredici colonie erano ancora sotto il dominio della Corona britannica. Un evento fondamentale in questo percorso fu il processo a John Peter Zenger, avvenuto nel 1735 a New York.
Zenger, tipografo e giornalista tedesco immigrato, pubblicava il settimanale New York Weekly Journal, in cui denunciava la corruzione del governatore coloniale William Cosby. Accusato di diffamazione sediziosa, venne arrestato e processato, nonostante gli articoli fossero veritieri. All’epoca, infatti, in base al diritto inglese, la verità non costituiva una difesa sufficiente contro l’accusa di diffamazione contro l’autorità.
Il caso ebbe un esito sorprendente: Zenger fu assolto, grazie alla difesa dell’avvocato Andrew Hamilton, che sostenne il principio secondo cui “la verità non è diffamazione”. Questo verdetto segnò una svolta: pur non modificando formalmente le leggi, stabilì un precedente fondamentale per la libertà di stampa nelle colonie americane.
Da quel momento, l’idea che la stampa potesse e dovesse svolgere un ruolo di controllo nei confronti del potere cominciò a radicarsi nella cultura politica coloniale. Questo principio si sarebbe poi consolidato, qualche decennio dopo, nella Costituzione degli Stati Uniti, con il Primo Emendamento (1791), che sancisce esplicitamente la libertà di stampa come diritto fondamentale.
Il processo Zenger, quindi, è considerato un momento fondativo della democrazia americana e dell’idea moderna di libera informazione, anticipando di oltre mezzo secolo i principi costituzionali che ne sarebbero derivati.
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