Ha suscitato interesse l’intervento di Luca Vialli prima della finale dell’Europeo in cui ha citato un passo di a Citizen in a Republic il discorso che tenne Theodore Roosvelt alla Sorbona nel 1910, dopo 8 anni in cui era stato il 26 Presidente degli Stati Uniti
(…) Non è il critico che conta, né l’individuo che
indica come l’uomo forte inciampi, o come avrebbe potuto compiere meglio
un’azione.
L’onore spetta all’uomo che
realmente sta nell’arena, il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore, dal
sangue; che lotta con coraggio; che sbaglia ripetutamente, perchè non c’è
tentativo senza errori e manchevolezze; che lotta effettivamente per
raggiungere l’obiettivo; che conosce il grande entusiasmo, la grande dedizione,
che si spende per una giusta causa; che nella migliore delle ipotesi conosce
alla fine il trionfo delle grandi conquiste e che, nella peggiore delle
ipotesi, se fallisce, almeno cade sapendo di aver osato abbastanza. Dunque il
suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide che non conoscono né la
vittoria, né la sconfitta (…)
Un presidente Roosvelt sicuramente forse non nelle
corde di Vialli, sicuramente più riflessivo, mentre Theodore era il classico
prototipo del cowboy che osava sempre e sfidava la sorte e spingeva in là l’asticella
del valore. La creazione dei rough riders, la guerra ispano americana le varie
crisi di quel periodo furono tutte gestite in modo molto diretto e grintoso, L’epopea
di Roosvelt andò in questa direzione, per lui l’azione e la lotta erano tutto e
per poco da autonomo ai vari partiti non vinse le elezioni presidenziali per la
terza volta spalancando la Presidenza a Woodrow Wilson, avesse vinto lui
probabilmente l’entrata in guerra degli Stati Uniti sul fronte Occidentale
sarebbe stata immediata e il primo conflitto mondiale sarebbe durato forse meno
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