Il caso sportivo della
settimana, la Nations League, un torneo di cui nessuno sentiva sicuramente la
mancanza e l’opportunità per l’Italia di giocarsi il pass per la finale a San
Siro contro la Spagna, precedentemente sconfitta alla semifinale degli europei,
ma la copertina viene presa dal ritorno di Gigio a Milano, colui che non per
viltade ma per pecunia fece il gran rifiuto. Il portierone presagendo l’aria
mefitica mette le mani avanti e si augura di non ricevere fischi sul verde
prato. Se avesse avuto la coscienza a posto sicuramente non avrebbe fatto una
dichiarazione del genere. Il resto è storia uno striscione della curva che non
ne esalta le qualità etiche e i fischi a profusione durante la partita. Nel
post gara poi il suo procuratore rincara la dose mettendo sul banco degli
imputati la sua ex società, rea di non averlo difeso. E come se non bastasse
gli alfieri del benaltrismo e dello stellone tricolore contro i fischiatori perché
non si dileggia uno che veste l’azzurro. Detto che questa storia è decisamente
stucchevole e denota una scarsa maturità del ragazzo che tra i pali è campione,
ma nella gestione delle emozioni si comporta ancora come un bimbo, rimane la
certezza che nella pubblica arena il pubblico abbia il diritto di fischiare una
persona che ha giocato con i sentimenti della propria squadra. La storia di un
talento che sboccia e che viene allevato a diventare campione, un atleta a cui
sul campo viene perdonato tutto, che incita il suo pubblico e che poi per vil
denaro, ma forse per ingordigia del suo procuratore (che belli i tempi in cui
gli agenti rimanevano dietro le quinte) abbandona la famiglia d’origine. Nessuno
critica questa scelta il professionismo te le fa fare ma prendere per i
fondelli la gente questo no e alla fine il tifoso reagisce fischiando è questo
è un suo diritto
sabato 9 ottobre 2021
Il diritto di fischiare Gigio
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