Come i vecchi gladiatori, i
giocatori massima espressione del tifo panem et circensem, passano
rigorosamente dall’altare alla polvere in men che si dica. E così dopo tre anni
passati a incensare l’extraterrestre quale sommo e divino vate calcistico, oggi
lo stesso fugge a gambe levate, pardon con Renegade oscurato e a dire le peggio
cose. Che sia un campione nessuno lo mette in dubbio, ha numeri di alta scuola
ed è in grado da solo di cambiare il destino di una partita; ma il calcio è
gioco collettivo. Faccio il paragone con un altro extraterrestre come Dinho
arrivato al Milan nel 2008, una gioia vederlo giocare, ma di titoli nemmeno l’ombra,
perché questi giocatori sono un lusso in una squadra di campioni, figuriamoci
in una di comprimari. Alla fine un Milan meno pompato di quello del 2005 (kakà,
Crespo, Stam, Sheva) portò a casa il trofeo definito porta-ombrelli due anni dopo con una squadra più
coesa. Il tifoso deve essere paziente e guardare sempre in modo acritico la sua
creatura fidandosi del lavoro della sua Dirigenza. Chi è rossonero è stato
travolto nell’estate delle cose formali della banda cinese, ma poi se abbiamo
voluto tornare nell’empireo del football abbiamo avuto bisogno dell’esperienza
e della qualità di un capitano che lo era in campo e lo è diventato anche
dietro la scrivania: Paolo Maldini. Insomma non facciamoci travolgere dal
momento ma guardiamo alla squadra nella sua interezza; poi per carità i
campioni vanno e vengono i colori restano
venerdì 27 agosto 2021
Sic transit gloria mundi
venerdì 20 agosto 2021
Si ho giocato nel Milan ma giuro non volevo
Più falso del calciomercato con
improbabili accordi e intrecci a volte ci sono le conferenze stampa di benvenuto
dei nuovi giocatori che in modo ruffiano devono prendere gli applausi della
nuova curva e allora sotto con sfottò agli avversari e a rinnegare qualunque
cosa successa nel passato. Il primo era stato Mourinho e il suo Non sono un pirla,
ma a lui questo poteva venire concesso in qualità di trainer. Poi i giocatori
che alla vigilia della nuova stagione devono fare professione di appartenenza. Lontani
i tempi di Roberto Baggio che ha girovagato tantissime squadre ma ha sempre esultato
ed è stato un professionista eccellente, oppure di Aldo Serena (che ha vestito
le maglie di Milan, Inter, Juve e Toro). Francamente queste prove di appartenenza
hanno un po’ stufato e mi aspetto che i giocatori diano il massimo per il club
in cui militano senza secondi fini e senza tirare in ballo nonne e cugini fino
al quinto grado e questo vale per tutti. Da Giroud che in conferenza ha preso
per i fondelli l’Inter, ma il sottoscritto si aspetta solo che segni nel derby,
oppure Bonucci che nel suo girovagare ha fatto professione di amore a targhe
alterne tra Torino e Milano, per finire a Locatelli che oggi ha tirato in ballo
l’avita nonna, manco fosse la moglie di Carlo Sassi, aveva già analizzato una
partita alla moviola. Smettiamola di parlare di sogni, di passato e di
appartenenze e guardiamo il calcio giocato, di solito è più bello senza
retorica.
giovedì 19 agosto 2021
1842 La lunga marcia da Kabul a Jalalabad ne resterà solo uno
Oggi
tutti esperti di geopolitica orientale e la situazione esplosiva dell’Afghanistan
mette tutti in guardia sulle future implicazioni di natura politica economica
di un mondo che è una perenne polveriera, minata da temi religiosi, ma in
realtà dominata dallo sterco del demonio, quel vile denaro, che è il volano di
tutti i movimenti a cui assistiamo. Che l’Afghanistan sia la tomba di tutti gli
Imperi è già stato abbondantemente detto, che l’Afghano si affitti al miglior
offerente anche, che si voglia imporre uno stile di vita diventa per le meno
stucchevole dal momento che è dominato da tribù che vantano tradizioni
millenarie. Da sempre terreno di competizione tra le varie potenze diventa
centrale nella lotta per la supremazia continentale, quella che viene chiamata
il Grande gioco alla metà del 1800, come terreno di lotta tra Russia e
Inghilterra. Lord Auckland governatore generale dell’India interviene nella
lotta alla successione al trono afghano cercando di reintegrare Shujah Barakzai
a discapito di Dost Mohammed. La deflagrazione del conflitto diventa ufficiale
nel 1838 quando Mohammed si proclama emiro (che significa combattente della fede
– guarda le analogie) dell’Afghanistan gli inglesi intervengono e in una facile
campagna conquistano la capitale (corsi e ricorsi storici), l’emiro viene
catturato e mandato in esilio in India, ma il figlio dello stesso Mohammed
Akbar Khan dà del filo da torcere alle truppe inglesi. L’occupazione britannica
si protrae e questo scontenta la popolazione locale, la rivolta scoppia il 2
novembre 1841 con l’assalto alla casa di un agente britannico, tale Alexsander
Burnes accusato di relazioni promiscue con donne afghane. L’agente viene ucciso
e fatto a pezzi e in città compare Mohammed Akbar Khan che diventa capo dell’insurrezione
e costringe gli inglesi a fuggire da Kabul. Così il primo gennaio 1842 una
lunga colonna tra militare e civili, in totale saranno circa 18.000 persone,
esce dalla città. Mohammed si distingue per la propria doppiezza da un lato
tratta con gli inglesi promettendo salvacondotti dall’altro in pasthun, la
lingua ufficiale, aizza gli afghani contro gli inglesi. Quella che doveva
essere una marcia sicura diventa un calvario incredibile, tra gli stenti, il
freddo, gli agguati di alcune tribù che usavano i temibili jezail (fucili a
canna lunga in grado di colpire bersagli a lunga distanza) a poco a poco
vengono tutti uccisi. A Jalalabad arriva solo un medico a cavallo, William
Brydon, è stata una carneficina migliaia di morti. Gli inglesi si riorganizzano
e nell’autunno dello stesso anno riconquistano Kabul sotto il comando di George
Pollock, ma per evitare i problemi dell’anno precedente Dost Mohammed viene
liberato e insieme al figlio Mohammed riappare trionfalmente nella capitale
afghana qualche mese più tardi quando gli inglesi abbandonano il terreno (costa
troppo ed è poco sicuro) e così viene ristabilita l’antica dominazione. A
distanza di quasi due secoli il problema è sempre lo stesso, se non comprendi il
terreno dello scontro sei destinato a soccombere.
venerdì 13 agosto 2021
Una fine necessaria ?
“Hiroshima fu la sigla di inizio
del nuovo mondo, mentre scorrevano i titoli del drammatico film precedente. Fu
sganciata a guerra finita, praticamente, quando il Terzo Reich era già
crollato, i dittatori erano morti, l’Asse si era spezzato, il Giappone stesso
era in ginocchio e andava verso una onorevole resa (cit.)
Questo scrive il buon Veneziani
in un fondo dedicato alla fine della seconda guerra mondiale e seppur in
passato ho condiviso alcuni suoi scritti, su questo mi permetto di dissentire, perché
forse in maniera semplicistica chiude il capitolo Giappone seconda guerra
mondiale come una guerra ormai finita e fa un errore. La bomba atomica, nella
sua accezione, è il fiore all’occhiello di una generazione che sperimenta. In
realtà non fu così, perché prima di tutto, come avevano dimostrato le battaglie
di Iwo Jima e Okinawa, per i giapponesi non esisteva l’onorevole resa ma solo una
morte onorevole. Poche decine di soldati giapponesi furono catturati vivi a Jwo
Jima e anche a Okinawa non andò meglio. Fece più morti di Hiroshima il
bombardamento di Tokyo del marzo 1945 con bombe incendiarie volute da Bomber
Harris e per finire la seconda guerra mondiale, una stima e calcolo delle
perdite americane, dopo Okinawa, gli americani prospettavano di sacrificare
mezzo milione di soldati per invadere il Giappone. L’estrema ratio su la bomba
H per piegare la resistenza dell’imperatore e della casta dei generali nipponici.
Tutto li. La guerra il Giappone l’aveva persa a Midway il 4/6 giugno 1942
quando la sua flotta fu sconfitta, gli scontri successivi con le risorse ridotte
al minimo per gli uomini del Sol Levante erano di fatto una lunga agonia. Proprio
nell’ottica di evitare più scontri e sacrificare vite gli americani attuarono
la tattica del cavallo a scacchi investendo un isola su tre e tagliando i
rifornimenti alle altre. Hiroshima certamente ha aperto un nuovo mondo di paure
e di tensioni, ma fu quasi un atto dovuto per mettere fine a una follia che
aveva generato 65 milioni di morti. Una sorta di epitaffio sulle guerre future
e che invece creò solo tensione.
giovedì 12 agosto 2021
Afghanistan: Mission impossible
E’ la notizia del momento, a vent’anni
dall’intervento degli Stati Uniti e degli alleati nell’Afghanistan, la forza
internazionale abbandona il paese e di fatto la riconsegna al dominio dei
talebani. L’eco dell’11 settembre e la connessione tra Bin Laden e il regime
islamico di fatto provocarono la sollevazione popolare che portò all’intervento
e alla lotta senza quartiere contro il nemico degli occidentali. Ma quello che
tutti hanno sempre sottovalutato sia quando si parla di Afghanistan e di Libia
e che in quei paesi, non vi è mai stata un’identità politica definita ma una
conglomerazione di tribù, e queste, a seconda delle convenienze e del momento scelgono
una fazione piuttosto che l’altra. Lo dice la storia, lo recita il passato, e
lo testimonia il presente. Quello stato è il crocevia o meglio la porta tra il
Medio Oriente e quindi anche l’Europa e l’Asia centrale. Luogo deputato a
risorse incredibili e inestimabili per il futuro e il progresso tecnologico da
sempre crocevia del destino di eserciti occidentali, dove non conta la battaglia
del momento ma il percorso della guerra. Inglesi, sovietici e ora americani
sono passati in questi territori spesso vincendo una moltitudine di scontri ma
poi di fatto perdendo il conflitto, dal 1919 con la fine della terza guerra
anglo indiana, per arrivare agli anni ottanta e al pantano in cui crollò il
mito dell’esercito sovietico, per finire ora con l’abbandono degli americani
che lasciano migliaia di soldati morti in quel territorio e anche la loro fama
di tutori dell’ordine mondiale. Per assurdo la tecnologia non solo non ha
aiutato ma anzi è stata battuta dalle vecchie tattiche di guerriglia. Se dai
quei luoghi persino un condottiero illuminato come Alessandro il Macedone preferì
ritirarsi c’è da credere che siano territori e popolazioni difficili da
gestire. E allora bisogna cambiare tattica e anche strategia ma ricordandosi
sempre la massima di Sun Tzu: il generale vittorioso prepara il terreno dello
scontro vittorioso
mercoledì 11 agosto 2021
S.P.S.G Sono Pazzi Sti Girondini
domenica 1 agosto 2021
Citius, altius, fortius
Com’è vacuo il tifo di tantissime
persone, guardi le Olimpiadi che dovrebbero essere l’esempio classico di
partecipazione per gareggiare e non spinti dalla brama di vincere e poi dopo
una prima settimana di gara in cui tutto sommato in diverse discipline i
compatrioti hanno mietuto una messe di medaglie cominciano i processi:
spedizione in disarmo, poche vittorie, si mettono sotto processo i capi
delegazioni delle varie discipline. La scherma poteva dare di più, non siamo più
i cecchini di una volta. Insomma un florilegio di elucubrazioni manco avessimo
perso una guerra. E così in rete scoppiano i processi, i giornalisti pronti a
decretare gli insuccessi anche di quelli che arrivano terzi o quel che peggio
secondi o con la medaglia di legno. D’accordo la vittoria piace ma siamo alle
solite non esiste la cultura della sconfitta, quella che ti prepara alla
vittoria. E così dopo aver criticato gli inglesi perché si sfilavano la
medaglia d’argento all’europeo di calcio facciamo anche peggio. Poi succede che
in dieci minuti porti a casa due medaglie d’oro forse inaspettate (cento metri
e salto in alto) e scoppia il casino, in senso buono. L’atletica diventa la
regina degli sport e non c’è posto per altro se non il racconto della vittoria.
Eppure questi atleti c’erano prima e ci saranno anche dopo e non saranno sempre
sorrisi ma come il percorso della vita con alti e bassi. Per cui godiamo di
questi momenti di felicità e viviamo questi eventi con il vero spirito con cui
erano stati creati: contaminazione, confronto, gara e partecipazione.
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