In principio era il vate Mou che
dall’alto di una squadra destinata a imporre il proprio gioco, in virtù della
propria qualità vaticinò il concetto di zero tituli. Poi ci si mise di mezzo
Galliani inventandosi il palmares di squadra più titulata, infine Agnelli che
in barba alla sentenza sportiva sbeffeggiò la magistratura sentenziando e
reclamando tituli revocati. Subentrò infine anche il giocatore della Roma che in
pieno regime da ventennio sentenziò meglio un titulo da lupi che dieci da
zebre. Insomma ci si gonfia i muscoli per un quadratino di stoffa, tricolore o
arcobaleno. E su questo i social network e i tifosi delle suddette squadra ci
campano e ci marciano da sempre, sfottò perenni in grado di demarcare il
confine tra liceità e volontà. Insomma un gran bailamme. Uno non può gustarsi
nemmeno un trofeo Tim delle balle, come ricorda il buon Mancio, senza
incorrere nelle solite liti da bar, per l’occasione trasferite sui social e per
stessa natura infinite. Coppe, coppette, targhe e targhette fanno da sempre
bella mostra di se su bacheche e mensole e ricordano ai posteri il calcio e i
successi che sono stati. L’ideale sarebbe vivere il presente e gustarsi partita
dopo partita agitandosi per la vittoria della squadra del cuore e tralasciando
i precedenti. Ma in un paese in cui in tutti campi, politica compresa, si è in
perenne diatriba e confronto è forse pretendere troppo. Il tifo a favore
e contro di qualsiasi tema diventa occasione di scontro eterno. La
vittoria ha molti padri mentre la sconfitta è sempre colpa di complotti
telefonici, farmacologici e automobilistici. E fra dieci giorni si incomincia
di nuovo. Verrebbe da dire purtroppo.
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