sabato 13 marzo 2021

La sindrome Ronaldo


 

Ammetto non essendo tifoso juventino non mi sono stracciato le vesti per la dipartita europea della Signora, una maledizione quella della Coppa con le grandi Orecchie che va a imperitura memoria fin dai tempi delle finali di Belgrado per arrivare all’epilogo contro la squadra di Oporto. Da osservatore esterno ho visto una squadra mal disposta in campo, in confusione tattica che viaggiava sulle ispirazioni dei singoli. Alla fine l’uomo in più ha motivato più gli ospiti che non i padroni di casa e la punizione con l’eliminazione ha sancito la maggior voglia dei portoghesi. Si è scatenata così la caccia al colpevole e sul banco degli imputati è salito il fenomeno, al secolo Ronaldo, considerato egoista, inopportuno insomma una pippa. Premesso che non è un mostro di simpatia e che certi atteggiamenti d’automa sono più simili a un’azienda che non a un calciatore, lo stesso, per la sua squadra ha tirato la carretta per tutta la stagione, giocando più di ogni altro. Certo un ingaggio importante ma se vuoi vincere devi anche costruirgli una squadra intorno, con il Manchester del 2008 duettava con Tevez, Rooney, Scholes, Carrick e Ferdinand.  A Madrid poteva contare su Benzema, Kroos, Marcelo, Bale, Modric e Pepe. A Torino se gli affianchi Frabotta, Bernardeschi, Ramsey e Rabiot non puoi pensare di avere la stessa resa. Eppure in questi anni ha segnato reti a grappolo e anche contro il Porto ha fornito un assist al bacio per Chiesa, ha subito un fallo netto da rigore e ha tenuto alta la squadra. L’Italia tuttavia non gli porta fortuna la semifinale con il Milan nel 2007 la finale di Champions a Roma contro il Barcellona, un giocatore ancora importante ma con ingaggio troppo pesante. Acquisito per un obiettivo non raggiunto, sarà sacrificato, e come al solito i giornalai locali passeranno dall’uomo dei record ogni cinque minuti (i paragoni e i numeri si sono decisamente sprecati) all’inutile peso e fardello; la verità come al solito sta nel mezzo.

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