Cinque le partite fin qui
disputate che hanno portato in dote 6 punti frutto di tre pareggi una vittoria
e una sconfitta alla prima giornata. Si poteva portare casa qualche punto in
più come nella partita a Reggio Emilia e contro Sestu, ma la classifica del
Girone parla chiaro non c’è ancora un dominatore assoluto e tutte le squadre
possono ambire ai piani alti della classifica. Mettiamo un po’ di sfortuna con
i legni, qualche defezione fisica e le squalifiche e la classifica è fatta. Ma
c’è un elemento che depone a favore delle truppe di Lotta e di Braga, è una
squadra che non muore mai. A Imola, contro una delle pretendenti alla vittoria
finale sotto di due reti, la squadra ha disputato un suntuoso secondo tempo con
un Corsini ispiratore che ha permesso ad Asti di uscire indenne dalle forche
caudine romagnole. Ora dopo tre pareggi consecutivi si impone un altro passo e
contro i Saints nel giorno dei Santi (scherzo del calendario) l’obiettivo deve
essere chiaro. Alle 16 di sabato prossimo sarà spettacolo e i giocatori e lo
staff si aspettano un pubblico numeroso e caldo perché si vince solo insieme
giovedì 31 ottobre 2019
mercoledì 30 ottobre 2019
Ricky numero uno
Tra le tante celebrazioni di
questo periodo di uomini che hanno fatto la storia dello sport ce n’è una in
particolare che vale la pena di citare quella di Ricky Albertosi, il portierone
guascone che ha segnato la mia infanzia. Il portiere della stella degli anni
settanta, con quei basettoni unici e quell’aria da schiaffi, autore di paratone
incredibili e di mega papere giganti (Duda 1980, Coppa Campioni) finito poi nel
vortice del calcio scommesse, una sorta di antesignano di Buffon con carriera
all’epilogo al sorgere dei quaranta. Un portiere tutto istinto mai ragionato
che ha fatto da antesignano a una pletora di tanti altri sopra le righe che ha
chiuso la sua carriera con noi dopo aver deliziato le platee di Cagliari e di
Firenze, un irregolare ma con tanti vizi
la croatta. Prima i piemontesi
Prima i piemontesi e non i francesi, potrebbe risultare uno sfottò, ma quando si tratta di storia è bene andarci piano, stiamo solo parlando di cravatte, un capo di abbigliamento quanto mai utile, che fa sfoggio in incontri di prim’ordine ed è considerato un elemento che contraddistingue l’eleganza maschile. Marinella, Zegna Cerruti, siamo in Piemonte ed è giusto celebrare il nostro brand, si contendono oggi la qualifica di miglior produttore, ma quando per la prima volta si parlò di questo accessorio ? Quali le sue origini ? Moda o particolarità legate a eventi e/o costumi ? Le origini del manufatto hanno una connotazione militare, ci perdiamo nella Guerra dei Trent’anni (1618 – 1648) che sconvolse la geografia politica europea di quell’epoca e che vide eserciti e truppe nuove prendervi parte. Stiamo parlando dei croati, corpi mercenari al soldo dei francesi che annoveravano nel loro guardaroba un foulard colorato annodato (ribattezzato croatta), e che ostentavano combattendo con vigore. Secondo la storia i francesi furono affascinati da questo capo di abbigliamento e per volontà del futuro Re Sole Luigi XIV, che già l’indossava in tenera età nel 1646, divenne di moda soprattutto tra la nobiltà francese, esportata in tutta Europa fino a diventare un vero e proprio accessorio imperdibile e di gran pregio. Ma se il Re Sole ne esportò l’uso, in un brogliaccio canavesano del 1638 si parlava di un nuovo indumento in uso tra la popolazione: “uso di un novo indumento per la copertura dello collo da freddo ed mali tempi che è fatto di straccio colorato da passare attorno al collo e annodare sullo davanti”. Insomma ancora una volta com’era già avvenuto con il vermouth e con mille altre cose gli italiani, pardon i piemontesi, erano sul pezzo, come si ama dire oggi, ben prima dei francesi. In ogni caso anche se non esisteva ancora il marketing, la Francia in quel periodo aveva ben altra rilevanza politica internazionale rispetto ai comuni piemontesi e quindi questa testimonianza era destinata a rimanere nell’ombra non fosse stata per questa voce del passato che di fatto rende giustizia. La curiosità semmai sta nella data, se il testo è del 1638, quello è l’anno in cui vede la luce e nasce a Saint German in Laye proprio Luigi XIV. Per quanto riguarda il capo di abbigliamento vale la pena precisare che, se valorizzata dai croati, già in epoca romana per i militari che svernavano al Nord al di là del Reno avevano in dotazione una specie di cravatta detta “focale” che era un tratto distintivo oltre che un ricovero per quelle temperature rigide. Poi in seguito se ne perse l’utilizzo, più decorativo che altro, e tornò in auge solo durante i conflitti del XVII secolo
mercoledì 23 ottobre 2019
Cinema di guerra a quando una pellicola italiana ?
Torna la storia, la grande storia
al cinema con due film che trasmettono la voglia di ricordare e di studiarla
per imparare ancora di più, il primo titolo è quello di Sam Mendes 1917,
incentrato sulla storia di una pattuglia di soldati inglesi pronta a salvare il
sacrificio di un battaglione, poco verosimile come momento storico ma è l’occasione
per il regista di fare una digressione sulla prima guerra mondiale presentando
scenari, armi e strategie di un evento che ha cambiato il mondo. E a guardare
il trailer questo trasmette adrenalina e sete di conoscenza. Più coreografico
quello relativo a Midway la vittoria americana che cambiò il destino della
guerra, in questo caso vai al cinema ben sapendo come si svilupperà il tutto,
ma grazie agli effetti speciali, alle nuove tecnologie, ti sembrerà di essere
li a vedere in prima linea un teatro di guerra unico. La domanda che sorge su
questi spettacoli è una sola, perché noi italiani che abbiamo forgiato la storia
non siamo in grado di rendere cinematograficamente bene episodi di storia. Abbiamo
fior di esempi di racconti che potrebbero prestarsi a sceneggiature epiche e
invece su questo fronte siamo assenti. Perché non raccontare storie mescolando azione
ben fatta e sceneggiature forti. Uomini contro, pur se datato e con una vena politica
era riuscito in questo intento, lo stesso dicasi anche per El Alamein la linea
del fuoco, pellicole sottovalutate poi il vuoto. E’ un peccato perché sono
convinto che un 1917, un Midway, un Dunkerque riusciremmo a farlo anche noi perché
non provarci
il valore del marchio
E’ ovvio che in questi ultimi
anni i colori rossoneri non se la passano particolarmente bene l’ultimo
successo è datato 2016 a Doha e poi una lunga serie e sequela di tentativi, di
passioni scaldate e di rapide delusioni. E allora come sfottono tutti pronti a
lucidare l’argenteria, le sette Champions e i ricordi di un bel tempo che fu. Ma
in definitiva non è poi passato tanto tempo. Lo scudetto del 2011 aveva Ibra in
campo, la Champions del 2007 non è un secolo fa, ma poco più di dieci anni con
tre finali nel breve volgere di quattro anni. Insomma il ricordo è ben nitido
non sbiadito. E se Atene piange Sparta
Juve e Inter non ridono di certo, allori in Italia ma oltre il confine ben poco.
In tutto questo contesto si parla del valore del marchio secondo i media
svalutato da allori scarsi e da pendenze economiche simili a stati
sudamericani. E qui invece sta l’errore, il valore del brand non dipende solo
dai risultati immediati ma dalla storia, un coacervo di appartenenze e di
valori quanto mai consolidati. Chi ha vissuto la serie B e annate storte non si
arrende di certo e anzi nella difficoltà trova ancora più certezze. Se la
società punta sull’appartenenza potrà decuplicare i ricavi e aumenterà sempre
di più il suo appeal, quello è il patrimonio reali di questi colori e non c’è
comparazione che tenga. Appartenenza e storia nelle difficoltà sono i modelli
da seguire
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