foto tratta da www.haisentito.it
Era il 1986 un giovane e
brillante imprenditore televisivo cambiava il corso della vita calcistica
milanese riportando ai fasti degli anni sessanta un club glorioso che aveva
avuto i suoi natali nel 1899. Silvio Berlusconi, con mosse nient’affatto banali
e scontate, irrompeva nel panorama calcistico e mandava in pensione la Juve di
Platini. Scudetti e successi a raffica ma soprattutto una dimensione europea e
internazionale. Quanti club esteri hanno poi copiato le movenze di quel Milan.
Quello degli invincibili degli immortali, degli ancelottiani. Anni e partite
indimenticabili fino ad arrivare alla Supercoppa di Pechino vinta contro i
cugini. Era l’agosto del 2011, dall’epoca un lustro di ipotesi, di parametri
zero, di allenatori incompresi, di giocatori sopravvalutati, ma soprattutto un
declino quanto mai annunciato e una china sempre più discendente. San Siro
deserto la dice lunga su questo pendio inclinato. Sembra di essere tornati a
metà anni settanta con una squadra che d’estate annunciava acquisiti e
obiettivi sempre disattesi, tradizioni continentali che finivano all’alba di
una giornata autunnale, partite epiche e tonfi altrettanto pesanti. Ora in una
sorta di dejà vu si rivive quel periodo. Contro la Roma la partita del vorrei
ma non posso, una batteria di giocatori italiani bravi ma non eccezionali,
stranieri volitivi e poco altro. La pecca come negli anni settante e ottanta è
da ricercare nella società. Confusione estrema, due Ad un Dg che non esiste
(quanto ci manca Braida) troppe presenze e poca organizzazione. Se si vuole
tornare alle origini si deve tornare a strutturare la società, una presenza
chiara e uomini di esperienza nei ruoli chiave e organizzativi. Non è tutto marketing, quello va di seguito a
successi e risultati. Seguire l’esempio del Bayern di Monaco e avere pazienza,
da li ripartire, oggi il nostro futuro si chiama Carpi ma il nostro DNA è ben
altro e se Silvio è stufo che venda al miglior offerente, possibilmente arabo.
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