mercoledì 26 dicembre 2012

Pato - fenomenologia di un ex-campione

Era una domenica sera di gennaio, era il 2008 faceva freddo, e a distanza di un mese eravamo diventati la squadra più titulata al mondo, il Boca come il Liverpool aveva assaggiato la nostra tremenda vendetta. Il gioiellino comprato con lungimiranza da chi aveva scoperto Kakà parlava di un talentuoso ragazzino non ancora maggiorenne che faceva mirabilie in allenamento. Quella stagione la squadra faceva fatica a ingranare in casa ma quella sera era magica. Berlusconi aveva iniziato la sua campagna elettorale a San Siro blandendo gli elettori napoletani, ma in campo fu un'altra cosa un roboante 5 a 2 con ultimo goal del Papero che cominciava a prendere confidenza con quello stadio. Di fatto quella rete sancì la fine del rapporto tra il Milan e Gilardino che difatti abbandonò a fine stagione. Si aprivano le porte per un nuovo idolo che avrebbe rivoluzionato le classifiche dei marcatori, rapidità e velocità le sue armi, la leggerezza dei suoi movimenti era uno spettacolo. La rete si gonfiava con continuità. Eppure in questi anni i successi sono stati pochi, se non fosse arrivato Ibra difficilmente avremmo vinto uno scudetto. Di partite memorabili ce ne sono state poche: la vittoria di Madrid, il goal a Barcellona e all’Inter dopo pochi secondi. Nei momenti topici però scompariva. E poi gli infortuni tanti, seriali, troppi, più presente sulle cronache rosa che in quelle sportive. Una barzelletta quella dei malanni fisici, al minimo movimento un crack, tenuto e realizzato non importa. Un rapporto deteriorato e ora forse giunto al capolinea. Il calcio a volte è strano ti regala qualità ma poi ti relega ai confini dello sport pedatorio. Forse è una questione di carattere, più psicologico che altro un ragazzo cresciuto troppo in fretta che ora torna forse in Brasile per ritrovare se stesso, Rolando e Adriano non ci sono riusciti, a lui non possiamo che augurargli di riuscire a tornare quella promessa che era.

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