Era una domenica sera di gennaio,
era il 2008 faceva freddo, e a distanza di un mese eravamo diventati la squadra
più titulata al mondo, il Boca come il Liverpool aveva assaggiato la nostra
tremenda vendetta. Il gioiellino comprato con lungimiranza da chi aveva
scoperto Kakà parlava di un talentuoso ragazzino non ancora maggiorenne che
faceva mirabilie in allenamento. Quella stagione la squadra faceva fatica a
ingranare in casa ma quella sera era magica. Berlusconi aveva iniziato la sua
campagna elettorale a San Siro blandendo gli elettori napoletani, ma in campo
fu un'altra cosa un roboante 5 a 2 con ultimo goal del Papero che cominciava a
prendere confidenza con quello stadio. Di fatto quella rete sancì la fine del
rapporto tra il Milan e Gilardino che difatti abbandonò a fine stagione. Si
aprivano le porte per un nuovo idolo che avrebbe rivoluzionato le classifiche
dei marcatori, rapidità e velocità le sue armi, la leggerezza dei suoi
movimenti era uno spettacolo. La rete si gonfiava con continuità. Eppure in
questi anni i successi sono stati pochi, se non fosse arrivato Ibra
difficilmente avremmo vinto uno scudetto. Di partite memorabili ce ne sono state
poche: la vittoria di Madrid, il goal a Barcellona e all’Inter dopo pochi
secondi. Nei momenti topici però scompariva. E poi gli infortuni tanti,
seriali, troppi, più presente sulle cronache rosa che in quelle sportive. Una
barzelletta quella dei malanni fisici, al minimo movimento un crack, tenuto e
realizzato non importa. Un rapporto deteriorato e ora forse giunto al
capolinea. Il calcio a volte è strano ti regala qualità ma poi ti relega ai
confini dello sport pedatorio. Forse è una questione di carattere, più
psicologico che altro un ragazzo cresciuto troppo in fretta che ora torna forse
in Brasile per ritrovare se stesso, Rolando e Adriano non ci sono riusciti, a
lui non possiamo che augurargli di riuscire a tornare quella promessa che era.
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