Qui ci sono i leoni. Così si legge sul drappo che sventola per il rione Don Bosco. Un’espressione antica, che un tempo veniva usata sulle mappe per indicare territori sconosciuti, misteriosi, pericolosi. Ma qui, in questa parte di città, non ci sono leoni nel senso classico. Qui c’è qualcosa di diverso. C’è un cavallo che vola, e lo fa sospinto dalle ali dell’entusiasmo, della passione e, soprattutto, dell’appartenenza. Giovanni Atzeni è uno che di Palii ne ha vinti diversi, ma l’emozione di riportarlo a Don Bosco dopo 29 anni la vedi nel suo sorriso e nella sua pacatezza a fine gara. Per Tittia il Palio non è solo una gara, è un rituale, un modo di vivere, un mantra che ritorna, anno dopo anno, curva dopo curva, fino all’arrivo.
Il Palio è un drappo, certo. Un pezzo di stoffa, colorato, dipinto con arte, che si porta a casa come simbolo della vittoria. Ma è anche molto di più. È un segno d’onore, è l’anima di una città che si sfida, si misura e si riconosce. Chi vince non porta via solo un trofeo. Porta con sé l’orgoglio del quartiere, il cuore della gente.
Tutto questo nasce da lontano, da un tempo in cui i grandi imperi erano crollati e gli Stati nazionali ancora non esistevano. Era il tempo del Medioevo, dei comuni, delle contrade, delle piazze vive e dei mestieri tramandati di padre in figlio. In quel mondo, fatto di artigiani, contadini, mercanti e vicinati, le corse come questa servivano a celebrare l’identità, a marcare il territorio, a ricordare che ogni borgo aveva un’anima, un volto, una voce.
E ancora oggi è così. Quando corre il cavallo, non è solo lui a correre. Corre il rione intero. Corrono le emozioni, i sacrifici, le notti passate a preparare ogni dettaglio. Corrono le storie, i volti, le mani che alzano striscioni, che vestono le strade, che stringono altre mani prima del via.
E quando quel cavallo vola, tutti volano con lui.
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