giovedì 4 settembre 2025

Il Lead Lease Act il vero vincitore della seconda guerra mondiale

 

Nel 2025 ricorrono gli ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, e, come da tradizione, Russia e Cina celebrano la vittoria con grande enfasi. Parate militari, discorsi solenni, orgoglio nazionale: due superpotenze che si autorappresentano come artefici fondamentali del trionfo contro il nazismo e il militarismo giapponese. Una narrazione forte che ha radici profonde nella memoria collettiva di entrambi i Paesi. Eppure, in mezzo a tutto questo apparato simbolico e retorico, c’è una parte della storia che tende a essere taciuta, o quantomeno ridotta al minimo: il ruolo decisivo giocato dagli Stati Uniti d’America nel sostenere — con armi, mezzi, cibo, tecnologie e denaro — i loro futuri alleati, ben prima di entrare in guerra. Senza quel sostegno, è difficile immaginare che la Russia (allora URSS) e la Cina avrebbero potuto reggere l’urto di Hitler e dell’Impero giapponese.

La chiave di tutto fu una legge: il Lend-Lease Act. Era l’11 marzo 1941. Gli Stati Uniti non erano ancora formalmente entrati nel conflitto — Pearl Harbor sarebbe arrivata solo a dicembre — ma Roosevelt e il suo governo avevano capito che l’isolazionismo non poteva durare. La guerra minacciava di travolgere tutto. Così, con un gesto che cambiò il corso della storia, Washington varò il Lend-Lease Act, una legge che autorizzava la fornitura di aiuti militari a tutti quei Paesi la cui sopravvivenza veniva ritenuta "vitale per la sicurezza degli Stati Uniti".

Non si trattava di un gesto altruistico, ma di realpolitik pura. Aiutare gli altri a combattere Hitler e il Giappone significava anche difendere gli interessi americani, contenere le forze dell’Asse e prepararsi — se necessario — a entrare nel conflitto da una posizione più solida. Da quel momento in poi, milioni di tonnellate di materiali presero il largo verso l’Europa e l’Asia, e con essi un messaggio: la guerra non si sarebbe vinta da soli.

Quando la Germania invase l’URSS nell’estate del ’41, i sovietici si trovarono improvvisamente a dover affrontare una macchina bellica devastante, lanciata in profondità nei loro territori. Le prime settimane furono un disastro: città in fiamme, eserciti in ritirata, milioni di morti o prigionieri. Fu in quel momento critico che l’aiuto americano cominciò ad arrivare. Treni carichi di viveri, convogli navali pieni di mezzi, rifornimenti via Iran e persino attraverso l’Artico. Fu una corsa contro il tempo, fatta di rischi e perdite, ma anche di una logistica colossale.

L’Armata Rossa ricevette oltre 400.000 camion, migliaia di aerei e carri armati, milioni di tonnellate di cibo, carburante, materiale industriale. Strumenti senza i quali sarebbe stato impossibile organizzare le grandi controffensive che, anni dopo, l’avrebbero portata a Berlino. Non fu l’America a combattere a Stalingrado, certo. Ma molte delle truppe sovietiche ci arrivarono a bordo di mezzi americani, con stivali e uniformi made in USA, comunicando con radio prodotte in Michigan.

Anche la Cina ricevette un aiuto sostanziale, benché meno visibile nella narrazione storica. Dal 1937 in guerra contro il Giappone, il governo nazionalista di Chiang Kai-shek combatteva su più fronti: contro un nemico esterno, contro la fame, e anche contro l’opposizione interna dei comunisti di Mao. Per anni, il Paese riuscì a resistere quasi miracolosamente, ma non senza costi enormi. A quel punto, gli Stati Uniti intervennero, convinti che mantenere viva la resistenza cinese fosse strategicamente fondamentale per rallentare l’espansione giapponese.

Gli aiuti arrivarono in gran parte per via aerea, attraversando l’Himalaya in condizioni proibitive, attraverso quella che i piloti chiamavano “The Hump”. Lì passarono aerei, pezzi di ricambio, medicine, armi, viveri, e anche istruttori militari. Nonostante la frammentazione del fronte interno, questi rifornimenti contribuirono a prolungare la resistenza cinese e a mantenere vivo un fronte che altrimenti sarebbe crollato. Oggi, a ottant’anni di distanza, il racconto ufficiale che arriva da Mosca e Pechino tende a mettere in secondo piano questo capitolo scomodo. In Russia, la vittoria viene celebrata come il trionfo dell’eroismo sovietico. In Cina, si racconta di una resistenza popolare guidata (secondo la versione ufficiale) dal Partito Comunista, quando in realtà il grosso degli aiuti americani andava al governo nazionalista. In entrambi i casi, il contributo decisivo degli Stati Uniti è spesso ridotto a una nota a margine. Eppure, i numeri parlano chiaro. Non si tratta di sminuire il sacrificio dei soldati sovietici o del popolo cinese, ma di riconoscere che nessuna vittoria in quel conflitto fu davvero "autarchica".

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