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Niente siamo proprio sul fondo, quando ci si può
autoflagellare, noi che veniamo dal distretto del fu tessile siamo i migliori.
Mancano i collegamenti, manca il lavoro, manca la voglia di vivere. Insomma
Biella, un puntino sulla cartina geografica nel mare del guano da cancellare perché
è inutile, inopportuna e non vale nemmeno la pena di viverci in questo posto
catastrofico in cui perfino le Poste ti sbeffeggiano. Poi però ti guardi
intorno, vai a tirar fuori una vecchia indagine fatta nel 2007 (mica nel secolo
scorso) in cui emerge che la capacità tipica dei biellesi è quella di avere
grande attrattiva e comprensione dall’esterno ma troppa autoironica (si spera
ma non è così) capacità di flagellazione interna. In cui il disagio per mille e
più cose è insopportabile per tirare a campare. In cui non si intravede nulla
che possa far recuperare fiducia alle truppe biellesi rimaste circa 180.000
persone, statistica più o meno. Eppure a guardare bene siamo ancora la patria
di un tessile di nicchia che dovrebbe piacere, abbiamo un orografia che se non
da Svizzera poco ci manca, una realtà di ricerca e di formazione quanto mai
viva e che cerca soluzioni ottimali. Abbiamo al nostro interno i cromosomi di
gente che ha inventato la televisione privata, la pubblicità selvaggia, il
ruolo del tessile di ricerca e di mille e più caratteristiche utili a far
capire che proprio così sfortunati non siamo. Certo siamo litigiosi, certo l’erba
del vicino è sempre la più verde, certo le opportunità che a detta di molti
(???) abbiamo perse sono molteplici (Amazon che è un colosso della logistica
non sarebbe comunque mai venuto a Biella, per il solo fatto che doveva essere
baricentrica per le consegne). Insomma tutto è buono per criticare senza mai
proporre soluzioni da parte di chi alza i primi fendenti. Non mi sento Fantozzi, né tantomeno un disadattato, e tutto sommato vivere qui non è poi così male,
magari un po’ di autopromozionalità non guasterebbe, o forse anche solo non
spararsi addosso sarebbe già qualcosa. Sursum corda.
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