venerdì 24 febbraio 2017

Tutto ebbe inizio un secolo fa. 24 febbraio 1917. la rivoluzione

foto wikipedia

Una data che nella storia dell’umanità ha un suo peso e un suo fascino. E ‘ l’inizio della rivoluzione russa, il passaggio dalla storia degli Zar a quella del popolo, un epopea che sarebbe andata avanti a lungo e che condizionò di fatto tutta la storia del secolo breve. Con l’avvento del bolscevismo la guerra sul fornte orientale si arrestò e con essa la partecipazione della Russia, con la ritirata di quelle truppe ci furono lo sfondamento del fronte a ovest e l’Italia lo pagò con Caporetto (24 ottobre). Insomma un anno terribile che aprì poi fronti e temi che sarebbero andavi avanti per decenni. Una data quella del 24 febbraio quanto mai importante. E tutto iniziò a Pietrogrado (poi leningrando e infine pietroburgo) esistevano tre organizzazioni operaie illegali: il Gruppo dei socialdemocratici menscevichi, il Comitato bolscevico e il Comitato interrionale dei socialdemocratici internazionalisti, un gruppo formato da trockisti e bolscevichi. Il 23 febbraio (8 marzo) si sarebbe dovuta celebrare la Giornata internazionale dell'operaia: in un primo tempo i Comitati bolscevichi e interrionali invitarono allo sciopero e a manifestazioni contro la guerra, l'autocrazia e il carovita; poi, secondo quanto riferisce Kajurov, attivista bolscevico del quartiere di Vyborg, il 22 febbraio (7 marzo) "l'eccitazione delle masse costrinse il Comitato di quartiere a interrompere la propaganda a favore dello sciopero", in vista di altre "imminenti manifestazioni". Il 24 febbraio (9 marzo) il numero degli scioperanti aumentò ancora, raggiungendo la cifra di circa 200.000 operai, e i manifestanti invasero il centro della città, con parole d'ordine contro l'autocrazia e la guerra. Nelle vie principali si tenevano comizi volanti che venivano dispersi dai cosacchi a cavallo, ma senza la consueta violenza, limitandosi ad attraversare la folla senza caricare. Era l’inizio .

martedì 14 febbraio 2017

Sconfitta o vittoria, in ogni caso manca la cultura


I migliori sono i primi ad andarsene verrebbe da dire, mi ha molto colpito l’intervista di Elkann in cui, di fatto il padrone di una società sportiva sbeffeggia un'altra al culmine di una lite che nemmeno all’oratorio si vedeva più. In Italia non manca la cultura della sconfitta o della vittoria, manca una vera e propria cultura di carattere generale e sempre più sovvengono le parole del vecchio Wiston Churchill che gli italiani affrontano la guerra come fosse un partita di calcio e una partita di calcio come fosse un guerra. Non c’è proprio il senso della misura, non si percepisce che a volte, chi comanda, chi dà l’esempio dovrebbe trarre qualche insegnamento da questi temi ed evitare di attizzare fuochi e polemiche che sono decisamente stucchevoli. Lontani i tempi di Nereo Rocco, e anche dell’Avv. Peppino Prisco e per citare i seguaci di Venaria dell’Avv. Agnelli, atteso per una battuta che diventava un epigramma immortale. Nell’età dei webeti e dei leoni da tastiera purtroppo anche coloro che dovrebbero dare l’esempio si trascinano nell’aura mediocritas generale. E allora si vien voglia di dire che da noi manca una cultura, ne avremmo bisogno

Hawksaw Ridge (Okinawa) dove sopravvivere era già un bel risultato

216 sopravvissuti su un numero iniziale di 21.000 una divisione, 7.400 uomini di una guarnigione forte di più di centomila unità. Di chi stiamo parlando, ma dei giapponesi che contesero le isole di Jwo Jima e di Okinawa nel 1945 agli americani e che sopravvissero alle battaglie. Il recente film di Mel Gibson ha messo in evidenza un fronte, quella della seconda guerra mondiale, in cui le carneficine erano all’ordine del giorno. I guerrieri nipponici avevano solo onore se riuscivano a mandare all’aldilà il maggior numero dei nemici possibili, quanti riferimenti anche ai moderni teatri di guerra. Quella non era una guerra, era un massacro continuo che sarebbe dovuto terminare solo con l’annientamento totale dell’avversario. Il soldato Doss, vero titolo del film (la battaglia di Hawksaw Ridge) narra le gesta reali di un obiettore di coscienza, o meglio di un infermiere, che combatte per far sopravvivere più compagni possibili (più di settanta quelli alla fine salvati). Un immagine meschina della guerra come annientamento dell’essere umano che si contrappone alla speranza di salvare delle vite. Un film didascalico che dipinge in modo preciso il teatro di guerra (anche se Gibson esagera nel rapporto tra giapponesi killer e americani salvatori – era andato meglio Clint Eastwood in Lettere da Jwo Jima in cui aveva fatto emergere le due diverse personalità) e che  ci ricorda come in una battaglia e in una guerra poi chi perde è sempre l’uomo, a prescindere dalla bandiera sotto cui combatte.   

giovedì 2 febbraio 2017

La patria dell'uomo qualunque

fotoslowfood

Niente siamo proprio sul fondo, quando ci si può autoflagellare, noi che veniamo dal distretto del fu tessile siamo i migliori. Mancano i collegamenti, manca il lavoro, manca la voglia di vivere. Insomma Biella, un puntino sulla cartina geografica nel mare del guano da cancellare perché è inutile, inopportuna e non vale nemmeno la pena di viverci in questo posto catastrofico in cui perfino le Poste ti sbeffeggiano. Poi però ti guardi intorno, vai a tirar fuori una vecchia indagine fatta nel 2007 (mica nel secolo scorso) in cui emerge che la capacità tipica dei biellesi è quella di avere grande attrattiva e comprensione dall’esterno ma troppa autoironica (si spera ma non è così) capacità di flagellazione interna. In cui il disagio per mille e più cose è insopportabile per tirare a campare. In cui non si intravede nulla che possa far recuperare fiducia alle truppe biellesi rimaste circa 180.000 persone, statistica più o meno. Eppure a guardare bene siamo ancora la patria di un tessile di nicchia che dovrebbe piacere, abbiamo un orografia che se non da Svizzera poco ci manca, una realtà di ricerca e di formazione quanto mai viva e che cerca soluzioni ottimali. Abbiamo al nostro interno i cromosomi di gente che ha inventato la televisione privata, la pubblicità selvaggia, il ruolo del tessile di ricerca e di mille e più caratteristiche utili a far capire che proprio così sfortunati non siamo. Certo siamo litigiosi, certo l’erba del vicino è sempre la più verde, certo le opportunità che a detta di molti (???) abbiamo perse sono molteplici (Amazon che è un colosso della logistica non sarebbe comunque mai venuto a Biella, per il solo fatto che doveva essere baricentrica per le consegne). Insomma tutto è buono per criticare senza mai proporre soluzioni da parte di chi alza i primi fendenti. Non mi sento Fantozzi, né tantomeno un disadattato, e tutto sommato vivere qui non è poi così male, magari un po’ di autopromozionalità non guasterebbe, o forse anche solo non spararsi addosso sarebbe già qualcosa. Sursum corda.

Non c'è linea, manca O Campos

foto tratta da fantamagazine.com


In attesa di sapere se i cinesi troveranno l’iban per definire la parte finale contrattualistica per l’acquisto, anche se sapete come la penso, faccio due riflessioni. L’involuzione, o per meglio dire la mancanza di risultati nell’ultimo mese, dopo la Supercoppa di Doha ha rigettato nello sconforto le truppe rossonere. Sconfitte, frutto alle volte di cali di tensione e anche di problemi di tenuta fisica che hanno portato a infortuni, come quello di De Sciglio e soprattutto di Bonaventura. Tutto questo mette a dura prova la tenuta psicofisica dei milanisti tifosi. Costretti, al momento, a ripensare all’ennesima stagione, la prossima fuori dai confini internazionali. Noi no non issiamo muri fisici però è fin troppo ovvio che diventa difficile pensare a uno sviluppo della squadra nei prossimi anni. Il ritorno ai favolosi anni settanta, quelli di Giagnoni, quelli del salvataggio alla penultima giornata diventa ahimè un deriva possibile, insomma siamo tornati ai tempi in cui si gioiva solo per una sconfitta avversaria, oppure se ti andava di fondoschiena arrivavi in finale di Coppa Italia. E la Cina ? E i sogni ? e le speranze ? insomma per quelle ipotesi è come quando con il telefonino non trovi campo, o meglio, quello almeno lo abbiamo preso Ocampos, tutto quello che ci rimane, con buona pace del Signor Bonaventura.

Contro la Corrazzata Reggio Emilia si lotta fino alla fine

  Si andava in casa della capolista contro un gruppo che non ha mai perso e ha solo concesso un pareggio nelle partite precedenti. L’abbiam...