Il caso Watergate rappresenta, ancora oggi, una delle pagine più iconiche del giornalismo d’inchiesta mondiale. Non si tratta solo di uno scandalo politico – e già questo basterebbe – ma del momento in cui la stampa americana ha dimostrato di poter mettere in discussione il potere assoluto, fino ai vertici della Casa Bianca.
Tutto cominciò nel 1972, con un fatto apparentemente marginale: l’irruzione di cinque uomini negli uffici del Partito Democratico all’interno del complesso Watergate, a Washington. Fu la tenacia di due giovani giornalisti del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, a trasformare quella che sembrava una vicenda di criminalità minore in un’indagine capace di scardinare l’intero sistema politico. A fare la differenza non furono solo il coraggio e la perseveranza, ma il metodo con cui lavorarono: verifica delle fonti, prudenza, approfondimento, e un rispetto assoluto della verità. In un’epoca senza internet, senza smartphone e senza social media, la loro arma più potente era il telefono, la macchina da scrivere… e la fiducia delle fonti.
Tra queste, una ha assunto un’aura quasi leggendaria: “Gola Profonda”, il nome in codice usato per proteggere l’identità di una fonte anonima, che si rivelò poi essere Mark Felt, alto funzionario dell’FBI. Felt non fornì mai documenti clamorosi, ma indicò la strada, suggerì dove guardare, cosa incrociare, chi interrogare. È lui a dire a Woodward la celebre frase: “Segui i soldi”. Quell’invito divenne la bussola morale e investigativa dell’intera inchiesta.
La forza del caso Watergate sta anche nel contesto in cui si sviluppò: un’America divisa, uscita da poco dalla guerra del Vietnam, con una crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni. Quando la verità emerse – intercettazioni, abusi di potere, tentativi di insabbiamento – l’opinione pubblica e la magistratura non poterono più tacere. Il risultato? Le dimissioni di Richard Nixon nel 1974: la prima e unica volta nella storia americana in cui un presidente ha lasciato la Casa Bianca prima della fine del mandato.
Il Watergate ha avuto un successo giornalistico enorme perché ha dimostrato che il giornalismo può davvero fare da contrappeso al potere. Ma soprattutto ha insegnato una lezione che vale ancora oggi: la verità richiede tempo, pazienza, rigore e indipendenza. Non basta la notizia “scoop”, servono prove, responsabilità e il coraggio di andare controcorrente.
Ecco perché, a distanza di oltre cinquant’anni, il Watergate resta un modello di riferimento. È il simbolo di un’informazione che non si limita a raccontare i fatti, ma li cerca, li smaschera e li rende pubblici, anche quando fa paura. Perché, come diceva proprio Woodward, “il giornalismo è il primo abbozzo della storia”.
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