La prima guerra mondiale ha rappresentato per l’Italia il
primo conflitto in cui di fatto è nata la Nazione, l’unità d’Italia si è
cementata nelle trincee sul carso e negli altipiani trentini prima ancora che
dal punto di vista giuridico. Una guerra aspra, dura, in cui la tecnologia l’ha
fatta da padrone e in cui i fanti erano carne da macello. Milioni di morti sui
vari teatri di guerra per una supremazia, territoriale, economica e di prestigio.
Era la dipartita del vecchio mondo, del vecchio modo di fare la guerra, da
scontro di movimento, si pensi alle guerre napoleoniche, si passava alla guerra
di posizione, quella in cui bisognava lottare per un centimetro. Ogni paese,
ogni municipio in Italia è disseminato di steli, di marmi che ricordano il
sacrificio dei propri figli, e ogni muro civico contiene i nomi di decine se
non centinaia di soldati che spesso, nell’età migliore, tra i venti e i trent’anni
si sono arresi di fronte a una pallottola o a una granata, ma era il concetto,
fuor di retorica di una nazione che combatteva per un obiettivo e per una
finalità. Eppure, non sono dati purtroppo falsi, da allora si sono scritte fior
di pagine su Caporetto e sulla nostra sconfitta piuttosto che sulla volontà
della rivincita maturata a Vittorio Veneto. La memorialistica e la storia
parlano di 200 titoli per la sconfitta contro a malapena 20 che citano il 1918.
Questa purtroppo è sempre stato un vezzo puramente italico guardare alla
negatività piuttosto che all’aspetto positivo. In questo siamo profondamente
diversi dalle altre popolazioni europee.
L’esempio classico: Dunquerke una sconfitta colossale trasformata in una vittoria e in una resistenza integerrima. Da noi Adua, Custoza, Lissa Caporetto sono stati sempre sinonimo di tragedie infinite con colpe e imputati, eppure ognuna di questa pagina meriterebbe magari uno studio approfondito. Oggi però è la giornata del ricordo e della testimonianza per tutti i nostri caduti e a loro deve andare la nostra riconoscenza
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