mercoledì 28 marzo 2018
Il disagio sociale la cura è la prevenzione
Il disagio sociale che porta le persone a togliersi la vita è sicuramente una piaga della nostra società, la realtà biellese non né è immune e spesso, fatti di cronaca, riportano alla luce l’epilogo di una storia di sofferenze. Chi scrive, come molti, ha avuto i suoi lutti in famiglia, determinati da un disagio che non è stato colto in tempo per evitare l’estremo gesto, per cui la sensibilità sul tema è quanto mai presente nell’animo di chi scrive. Proprio per questo motivo e dopo aver fatto un tentativo tre anni fa in consiglio con altri colleghi (che generò un tavolo tecnico alla presenza di esperti Asl che presero decisione di non proseguire sul discorso barriere), ho chiesto agli estensori della mozione di rimandare l’argomento in consiglio a una successiva riunione tecnica, ritenendo luogo più consono quello rispetto alla seduta pubblica. La discussione ingenerata in quel consesso non mi è piaciuta per niente, è sembrato solo un modo per guadagnare un minimo di notorietà che, un tema del genere, non meritava. Da qui la manifesta volontà di non proseguire la discussione sul tema e la successiva uscita, di tutti i consiglieri del PD, dall’aula consigliare. Non è una questione di pudicizia e men che meno di nascondere la testa sotto la sabbia come solerti commentatori hanno sottolineato, ma quello di rimandare a un più elevato consesso, dotato delle necessarie competenze, la risoluzione del tema. Ben sapendo che qualsiasi verdetto avrebbe incontrato il mio pieno appoggio. Il clamore mediatico che poi è stato suscitato con la posa di un’installazione artistica che, nelle intenzioni dell’autore, dovrebbe far riflettere e che invece trovo di cattivo gusto (giudizio personale) non ha fatto che scatenare i partigiani di due filosofie come se stessimo assistendo a una partita di calcio. Ma qui in gioco non c’è una vittoria di una fazione sull’altra, qui si sta parlando di un tema profondo come il disagio sociale e credo, sommessamente, che maggiore attività di prevenzione con incontri mirati nelle scuole (per aiutare i più giovani) oppure un sostegno ai tanti, associazioni comprese, che lavorano sul dialogo e sulla prevenzione al disagio possa fare di più di una qualsiasi barriera mentre una sedia penzolante nel vuoto evoca purtroppo brutti ricordi.
martedì 27 marzo 2018
Dai nostri 643 cuori un unico grido. Tutti a Balaklava
Guardando le varie ricorrenze e soprattutto
i corsi e i ricorsi storici la data odierna era quella che indicava la
dichiarazione formale tra i governi inglesi e francesi da una parte e russo
dall’altro della Guerra di Crimea. Una dichiarazione che viene fatta nel 1853
ma, che per le lentezze dei vari eserciti, e anche di una verifica di quelli
che erano gli equilibri europei verrà giocata solo più tardi. Lo scontro
avviene nella penisola della Crimea dove si fronteggiano gli eserciti europei e
dove muove i primi passi, dopo la sconfitta di Novara, anche il novello
esercito piemontese. Guidati dai fratelli biellesi Alfonso e Alessandro, la
Campagna di Crimea darà il via alla presenza dell’Italia (all’epoca ancora
regno di Sardegna) nel contesto europeo. Sarà l’occasione per i “pistapauta” come
era affettuosamente chiamati i fanti piemontesi, di entrare in azione contro
eserciti ben più rodati. Scontri pochi ma epici, la famosa carica di Balaklava
(la light brigade inglese contro i cannoni russi) e quella della Cernaia in cui
di distinsero i nostri. Più che morti in battaglia a migliaia morirono sotto i
colpi delle malattie epidemiche per un risultato che poteva essere anche
raggiunto a tavolino, ma si sa all’epoca la forza delle armi voleva essere una
dimostrazione di forza quanto mai importante per incutere timore all’avversario.
Strano solo notare che, nella recente guerra delle spie, a distanza di 165 anni
sia ancora in atto uno scontro muscolare tra Russia da una parte e Inghilterra
ed Europa dall’altra, attaccheremo mica ancor la Crimea? Impareremo mai ?? No !!!!
E allora tutti a Balaklava
Cos'è il genio se non equilibrio sul bordo dell'impossibile
Non pensavo che a questo punto
della stagione dopo la fase deficitaria con Montella e l’innesto di Ringhio
potessimo essere a una sorta di punto di svolta della stagione. E che siamo
tornati a essere un pelino importanti è la determinazione con cui il marchio
viene attaccato. Prima sul fronte societario, fallimento in Cina della cosiddetta
cassaforte del Presidente LI e lungo elenco di articoli che ci spiegano che
siamo falliti (ma stipendi e resto sono puntuali mah) poi ci attaccano per un
murales imbrattato per i 110 anni dell’Inter, non mi sembra di aver visto la
squadra tirare pomodori sul suddetto dipinto, manco fosse l’urlo di Munch.
Probabilmente torni a fare paura, rientri nel cosiddetto calcio che conta e
allora vai di discredito che è uno dei mantra della comunicazione social e non
solo di questo periodo. La madre di tutte le partite si giocherà sabato contro
la Juve, la potentissima Juve allo Stadium. Abbiamo il vantaggio di poter
giocare contro una squadra che ovviamente penserà al Madrid (si sa la Champions
ormai è una sorta di ossessione) e quindi la possibilità di fare il colpaccio
potrebbe essere lì da cogliere. Sinceramente preferirei vincere non in
campionato ma alla finale di Coppa ma quella partita è lontana e quindi il
tifoso si gode il momento. Certo è che potrebbe essere l’occasione per chi
doveva spostare gli equilibri di farlo veramente. Vedere gioire Bonucci allo
Stadium sarebbe di per se uno spettacolo e forse ricaccerebbe in gola tutti gli
sfottò di questi mesi. Ma non facciamoci la bocca buona, la speranza è di aver
finalmente intrapreso un cammino positivo, i successi arriveranno
giovedì 22 marzo 2018
Le cinque giornate di Milano. 170 anni fa
170 anni fa la prima guerra d’indipedenza scoccava al
momento in cui i milanesi si liberavano del gioco austriaco dopo 5 giornate di
scaramucce nel centro città. Il Maresciallo Radetsky cercava di preservare la
fuga delle sue truppe e abbandonava la città forte di una guarnigione di 8000
uomini insufficiente però a reggere l’assalto delle truppe piemontesi. Cinque
giorni in cui il popolo mise a dura prova la resistenza delle truppe regolare
austriache. Più di 400 furono i caduti per la libertà, in gran parte operai e
popolani contro circa duecento militari stranieri. 5 giorni in cui cambiò
letteralmente il mondo; non a caso fare un 48 è diventato poi un modo di dire.
La libertà per i milanesi è durata poco, la sconfitta dei piemontesi a Custoza
riportò a Milano le giubbe bianche con conseguente fuga di gran parte dei
rivoltosi. Fa specie pensare che il centro della rivolta fosse in Via
Montenapoleone, ora movida modaiola. Così come mi fa sorridere pensare alla
figura dello storico calzolaio Pasquale Sottocorno (io ho abitato tre anni in
quella via al Civico 7, durante l’università) che il 21 marzo incendiò la porta
del Genio permettendo a Luciano Manara di conquistare il Palazzo. Barricate e fucilate in centro, popolo contro militari, una rivoluzione
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